La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 11 - gennaio 1996

SICILIA, ARTICOLO 23: LAVORI SOCIALMENTE UTILI? Dario Lanfranca Dario Lanfranca, palermitano, si è laureato in Lettere con una tesi su Aristofane. ♦ All'Ufficio di collocamento L'art. 23 della le~ge 11 marzo 1988, n. 67 stabilisce che "per gli anni 1988, 1989 e 1990 il Ministero del lavoro e della previdenza sociale finanzia, nel limite di lire 500 miliardi l'anno, la realizzazione nei territori del Mezzogiorno di iniziative a livello locale temporalmente limitate, consistenti nello svolgimento di attività di utilità collettiva mediante l'impiego, a tempo parziale, di giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni, privi di occupazione e iscritti nella prima classe delle liste di collocamento". È proprio dall'Ufficio di collocamento di Palermo che comincia il mio viaggio tra gli "articolisti". So che molti di loro lavorano qui e desidero raccogliere qualche impressione per capire perché almeno una volta alla settimana tutta la città si blocca dietro i cortei che si dirigono sempre a Palazzo dei Normanni, sede della Regione. All'ufficio di collocamento le porte sono chiuse; è mercoledì e non viene svolto alcun servizio al pubblico: ma nonostante questo c'è un folto gruppo di disoccupati che attende non si sa cosa, ma sta lì. Per fortuna incontro al bar un giovane che sembra fare al caso mio: è un articolista. Lavora lì da quasi sei anni, dal 1988, anno in cui l'articolo 23 diede avvio a progetti di pubblica utilità proposti da ammmistrazioni pubbliche, imprese, e attuati da cooperative gestite soprattutto da sindacati e Acli. Questi progetti avrebbero dovuto avere la durata di un anno ma in Sicilia si sono protratti fino a oggi, grazie a tre proroghe accordate dai vari governi regionali in momenti strategici dal punto di vista elettorale, che coincidevano con la fine della legislatura. La prima proroga risale al governo Nicolosi (1989) e alla volontà di Angelo Capitummino, allora assessore alla presidenza e oggi presidente dell'Assemblea regionale. Di proroga in proroga i giovani dell'art. 23 si contano nell'ordine delle 36.000 unità e si organizzano come un movimento, indubbiamente, al di là del giudizio sull'attività da esso svolto, il più grande movimento di disoccupati a livello nazionale. Gli articolisti sono stati inseriti in molti enti pubblici con le mansioni più disparate: dall'Ufficio di collocamento di Palermo alle ambulanze della Croce Rossa, dalla cancelleria del tribunale di Termini alle spiagge di Mondello. Il mio interlocutore, al quale per un tacito accordo non ho chiesto il nome, quasi lo potessi mettere in difficoltà, mi chiede se lavoro. Io gli dico che sono disoccupato e lui conclude che siamo tutti nella stessa situazione. Ma questo non è vero e lui lo sa, perché anche se entrambi risultiamo disoccupati con tanto di tesserino, lui come articolista lavora le sue ottanta ore e guadagna 600.000 lire mensili. Quella folla che attende e che non ha avuto la fortuna di essere inserita nella graduatoria dell'art. 23 per motivi di età o di scarse "conoscenze" li considera disoccupati di serie A o raccomandati da segreterie di partito. Ma in realtà si tratta di semplificazioni che mettono insieme alcuni elementi di verità. Ad esempio è una falsità descr.ivere gli articolisti come dei privilegiati, perché pur essendo loro state indirizzate delle attenzioni particolari da parte del1'Assemblea regionale siciliana, di fatto essi non ne hanno mai ~oduto. Ad esempio, formalmente gli articolisti si collocano in condizione di favore anche rispetto ai giovani qualificati in attesa di prima occupazione, poiché è a loro riservata una corsia preferenziale del 50% nei concorsi pubblici. Ma in realtà la riserva, eccetto che per un concorso di 400 catalogatori alla Reg10ne, non ha praticamente funzionato perché gli enti pubblici sono già pieni. La regione, per fare l'esempio più eclatante, ha un esubero di diecimila dipendenti su trentamila. Il mito del posto pubblico e la Regione Sicilia Tuttavia la riserva del 50% e tutti quei privilegi offerti per compensare la condizione di "non lavoro vero" ha funzionato in un altro senso: ha sicuramente fomentato il mito del "posto" pubblico, tanto radicato da queste parti, scoraggiando la ricerca individuale di lavoro o di specializzazione da parte dei giovani come mi conferma l'articolista del collocamento: "Sono rimasto per cinque anni fermo, senza poter fare altri corsi o cercarmi un lavoro vero, perché la legge lo vieta". Una delibera del 1991 a firma dell'assessore Giuliana stabilisce infatti che i progetti di utilità collettiva sono incompatibili con altri lavori. Motivo per cui gli articolisti non hanno potuto presentare domande di supplenza nelle scuole o cercare un altro lavoro part-time. Ne è derivato un prevedibile incremento del lavoro al nero. Il mio interlocutore, ad esempio, non può fare a meno di svolgere un altro lavoro per sostentarsi: "in realtà nessuno di noi vive di solo articolo 23, facciamo tutti un doppio lavoro oppure alcuni studiano. Io per esempio, 'faccio i capelli a casa', perché ho fatto per anni il parrucchiere. Questo doppio lavoro o lo studio lo facciamo perché sappiamo che non possiamo contare sul lavoro dell'articolo 23 che da un giorno all'altro può finire". · Questa delibera è stata abrogata nel 1994, ma ha costretto gli articolisti a fare la scelta di lasciare o continuare, con la rinnovata convinzione che compiere un tale sacrificio avrebbe significato la garanzia della ricompensa e che a chi continuava spettava con maggior certezza un bel posto pubblico. La delibera è dunque esemplificativa del meccanismo perverso i~ cui sono stati cacciati i giovani della generazione dell'art. 23, vittime e al contempo carnefici della cultura delle proroghe e dei favori. La classe politica regionale, per creare una potenziale clientela o un bacino di voti, ha giocato con la speranza-ricatto dell'ingresso alla regione o in posti pubblici. Non bisogna dunque stupirsi se nel loro status si trovano SUOLEDI VENTO

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==