La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 11 - gennaio 1996

Quando appunto q_uestacultura si cronicizza, le chance educative si azzerano: lo studio diventa qualcosa di improponibile (a maggior ragione fintanto che la scuola non riuscirà a parlare della realtà), l'idea di progetto ritrae la nes.azione stessa della pratica quotidiana di vita, il lavoro si fa assai precocemente l'unica scelta allettante - perché dà immediatamente denaro, la risposta a ogni bisogno - e ben presto entra in competizione con l'alternativa ancora più coerente ad una logica di soddisfazione immediata del desiderio, cioè la microcriminalità. Anche un altro tratto culturale, l'esplosione delle possibilità di scelta, ha non pochi limiti e controindicazioni, al di là dei presunti effetti di democratizzazione della società e di collocazione sovrana del consumatore. Perché per scegliere bi~og?-apoterlo fare - aver opz1oru concrete, alternative praticabili - e saperlo fare - avere una cultura, una struttura normativa che orienti, consenta la formazione di una strategia - e quello della scelta è diventato uno dei terreni in cui si consumano le più forti disuguaglianze sociali. L'area del lavoro giovanile ne è una prova: appartenere all'élite vuol dire anche trovar un bel lavoro a seicento chilometri di distanza mandando un messa~_giosu Internet, vivere in penferia (fisica, simbolica) significa che il lavoro arriva quando si interrompe di colpo la scuola perché l'elettrauto sotto casa ha bisogno di una mano e, bontà sua, è disposto a pagare quattrocentomila lire al mese, in nero. Il fatto quasi drammatico, è che, se latita la capacità di progetto, non manca invece quella di sogno: chi lavora coi ragazzi dei quartieri disagiati di Milano si scontra con fantasie ancora vive su un ambizioso fqturo lavorativo ma al tempo stesso con una rassegnazione di pari forza nell'accettare quello che capita, pur di guadagnare qualcosa. E quasi una "schizofrenia sociale", da un lato un immaginario spontaneamente ricco ma televisivamente drogato dal mercato, dall'altro una realtà depauperata, crudele nel ricollocare ciascuno al proprio posto. È così che la stragrande maggioranza di loro finisce per fare il barista, il meccanico o il parrucchiere, cioè i tre mestieri che l'opulenta Milano offre con larghezza a chi sul mercato del lavoro ha pochi titoli e molta fretta. Senza dir loro però che questi sono lavori a mobilità orizzontale, che offrono cioè forse la possibilità di saltare di esercizio in esercizio, ma assai difficilmente di ritagliarsi una professionalità e una carriera retributiva. Senza dir loro, quindi, che, se va bene, potranno in un caso su cento realizzare il sogno di ogni barista/meccanico/parrucchiere, cioè aprire il proprio negozio/locale - ma diciamo la verità, questo è spesso il sogno di una vita abbrutita nel lavoro, è la fuga mentale che ci si dà per accettare la schiavitù del perdente - ma altrimenti la disoccupazione sarà un rischio continuamente latente. Fra gli utenti dell'Ufficio Adulti in Difficoltà del Comune di Milano - il servizio sociale che si occupa di chi, fra i 18 e i 60/65 anni ha problemi economici - non si contano gli ex baristi caduti in disgrazia, più o meno alcolizzati. E non è questo un fenomeno esclusivo delle periferie milanesi: i dati sulla povertà hanno ormai smascherato il legame fra disoccupazione e povertà rivelando come al Sud l'abbinamento fra queste due condizioni sia tutt'altro che scontato. e gran parte delle famiglie sotto la soglia di povertà in Meridione siano caratterizzate non tanto da disoccupazione bensì da sottoccupazione, cioè da una collocazione precaria e deprofessionalizzata nel mercato del lavoro dei diyersi loro membri, figli in età scolare compresi. La forbice quindi si allarga: da un lato la nota "moratoria" delle scelte, i giovani che si possono permettere il lusso di aspettare - e nel frattempo studiare, formarsi e informarsi, come dire concretamente sviluppare le possibilità e capacità di scelta - per esordire in grande stile sul mercato del lavoro o farlo semplicemente con una strategia di sperimentazione, comunque sempre all'interno di un pro~etto che ha l'autorealizzaz10ne come ambizione ultima. Dall'altro lato rimane il meccanico estrarre una delle tre carte che il mazzo ti offre - barista, meccanico, parrucchiere - e solo quando è il tuo turno, senza poter passare la mano. C'è però forse un deficit che accomuna questi estremi dell'universo g10vanile, alle prese con l'esordio nel mondo del lavoro. Senza voler riprendere la polemica sugli effetti nocivi della televisione, è opinione comune di chi opera nei servizi che le ultime generazioni siano sicuramente caratterizzate da un fenomeno, l'esser cresciuti come puri spettatori. E l'esser stati da sempre molto più spettatori che attori vuol dire esser privi di una proteina fondamentale alla crescita, quella dell'esperienza, sia essa di gioco, di relazione, di comunicazione, di impegno in un'attività fisica o intellettuale. Forse per questo fallisce la gran parte degli inserimenti lavorativi protetti che i servizi sociali apprestano per gli adolescenti e i giovani "difficili": quando questi, dopo poclie settimane, non si ripresentano più, diventa chiaro che il problema è g,uello di una mancanza di consapevolezza su ciò che si vuol fare, sull'impegno richiesto, sulla capacità di reg~ere l'inedita fatica di un lavoro e i mille vincoli che impone. Allora, se ai giovani meno abbienti non manca la capacità di sogno, a quelli ap~artenenti alle élite non manca l'accesso alle mformazioni e le capacità di elaborarle, il deficit dell'esperienza però li accomuna, portando sii uni a sbagliare subito la prima mossa, gli altn a ritardarla fino alla soglia del tempo limite. Bisogna giocare di più, amare di più, cominciare prima a prendere contatto con l'autocontrollo e l'autoeducazione che richiede un lavoro, capire prima la propria consapevolezza e vocazione. In fondo, prima e meglio si precipita nella realtà e più si cade in piedi. ♦ suou; DI VENTO

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