con cui oggi potrebbe, come sui chiodi.del kilim di un fachiro, dividere le sue ~esponsabilità per i disastri. Attualmente, i Serbi fuori di Serbia sono ridotti al 40% di quel che erano nel 1991; l'economia è andata distrutta a causa dei furti e della cattiva gestione assai più che dell'imbargo internaz10nale (Milosevic rischia così, con l' abolitione delle sanzioni, di dimostrare che "il re è nudo"); più di 300 mila rappresentanti delle élites nazionali (tutti antinazionalisti e democratici e per la maggior parte giovani) hanno abbandonato la Serbia; contemporaneamentee, con l'arrivo dei rifugiati serbi, la Serbia è diventata sovrappopolata .... Una "terza via", incoraggiata perché democratica (almeno finorfa, ed è fatto inedito per la ex Jugoslavia), potrebbe riconciliare la Serbia con i suoi vicini; potrebbe battersi efficacemente affinché i rifugiati serbi rientrino nelle loro case e perché vi siano rispettati come cittadini della Croazia e della BosniaErzegovina; potrebbe avviarsi il dialogo con gli Albanesi del Kosovo a proposito dell'instaurazione .di un Kosovo facente p'arte (né più né meno della Serbia "propriamente detta") di uno Stato complesso dotato degli obblighi e dei vantaggi di una sorta di indipendenza "interna" in seno a questo Stato; potrebbe finalmente riaccostare la Serbia all'Europa. La Serbia vive oggi un'immenso vuoto politico. Le autorità attuali apporofittano largamente di questo vuoto. In Serbia, i nazionalisti hanno dimostr_ato cosa sapevano fare; tocca ora ai patnoti democratici e antinazionalisti salvare quel che è possibile salvare. Una Serbia siffatta, peraltro, è attesa con impazienza dai democratic.i bosniaci e croati. È possibile immaginare che il potere attuale di Belgrado non farebbe più paura ai Musulmani; è possibile immaginare che questo potere organizzi il ritorno dei rifugiati (la cui manipolazione e poi l'esodo, indipendentemente dalla responsabilità di Zagabria, per esempio, è frutto unicamente dei "socialisti" serbi); è ipotizzabile un dialogo tra l'oppressore e l' oppresso, come nel caso degli Albanesi, salvo che sia l'accettazione della secessione pura e semplice del Kosovo; è realistico vedere qualche appartenente al potere locale che discuta domani a Bruxelles mentre ali'Aja vi~ne citato tra i criminali di guerra? Sì, tutto questo è possibile, ma è poco probabile. E, per finire: una Serbia forte e democratica sarebbe necessaria ai suoi vicini, all'Europa e agli Stati Uniti, NORD E SUD ma è anzitutto indispensabile ai Serbi. Essa lo è anche perché l'accordo di Dayton non sia il solo e unico atto del "piano americano". ♦ Coperazione allo sviluppo; ma di chi? Nicola Ferrone "Cooperare per sviluppare le imprese italiane, attraverso la legge 49, il trasferimento di tecnologia, il sostegno all'imprenditorialità in crisi nel nostro paese, potenziando le esportazioni e affidando loro la realizzazione di opere infrastrutturali nei paesi del Sud del mondo impoverito. «le imprese degli altri paesi europei, i nostri concorrenti, sono favoriti, utilizzano l'aiuto allo sviluppo come strutnento di penetrazione commerciale. Noi italiani siamo tagliati fuori» (Federico Galdi, direttore dei rapporti con l'estero della Confindustria). Cooperare per aiutare a sviluppare le Banche italiane nei paesi in via di sviluppo, magari per finanziare opere faraoniche, come la metropolitana di Lima, che poi restano non utilizzate e creano dipendenze permanenti, o qualche centrale idroelettrica da un milione e 700mila dollari ... Oppure si potrebbe pensare a «mandare nel Terzo mondo come volontari i 30mila dipendenti in esubero nel settore bancario, magari per brevi periodi, ...» (Gianfranco Imperatori, presidente di Mediocredito Centrale). · L'Italia ha "internazionalizzato" troppo poco le sue imprese: cooperiamo per sviluppare più multinazionali. Cooperiamo per sviluppare l'esportazione del nostro modello industriale: se si porta in tutto il pianeta, qualche briciola andrà anche ai poveri del Terzo mondo, destinati ad essere gli schiavi del Duemila. Rafforziamo pure la politica estera, soprattutto quella "economica", per essere presenti sui mercati mondiali. E cerchiamo una mediazione tra profitto e solidarietà. Cooperiamo allo sviluppo del nostro benessere e della nostra sicurezza di fronte ai flussi migratori e ai cittadini non italiani provenienti dal- !' Africa e dai paesi dell'Est: a colpi di decreto e norme pena li, mettiamo in galera i clande~tini, non è razzismo, è garanzia ... Mai come in questa fase storica la complessità sociale ha permesso l'affermarsi della confusione, e le parole hanno assunto significati ambigui. Il risultato ( la massificazione del linguaggio, con la conseguenza che non si capisce più di che cosa si parli, e con uno stravolgimento di senso a tutti i livelli: culturale, antropologico, comunicativo, politico. L'occasione per questa riflessione ce l'ha offerta la conferenza "Cooperazione allo sviluppo: nuove politiche, nuovi soggetti, nuovi strumenti. Le proposte dell'area Progressista", promossa dal Gruppo parlamentare progressista di Camera, Senato e Parlamento europeo, svoltasi a Roma al Residence di Ripetta il 19 dicembre scorso. Cooperazione allo sviluppo: che cosa significa? Quali sono i relativi valori e gli obiettivi fondamentali? Quali sono i "nuovi" soggetti della cooperazione, che lavorano per lo sviluppo di chi? Qual è il modello ,di sviluppo? Che ruolo hanno i cittadini e le organizzazioni del S~d deJ m_ondo? E le Orga111zzaz1011n1on governative (Ong) del Nord? YQQ
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