viveri e degli abbigliamenti è stata, infelicemente, affidata alla Croce Rossa belga, il programma alimentare alla Pam, la scolarizzazione all' Aide Action (ong francese), all'InterSOS il compit9 dell'attivazione di atelier di formazione (atelier di cucito, di costruzione delle stuoie, di falegnameria, di danze e canti tradizionali, di. attività sportive ...) e infine il delicato compito del ritrovamento e della ricongiunzione dei bambini, i cui genitori sono dispersi, a possibili familiari superstiti. Per volgere tutte queste attività sono stati assunti 54 collaboratori, ciascuno dei quali si occupa di un settore. . Per l'assistenza sociale vi sono 12 assistenti (2 per ogni zona), 3 nell'ospedale da campo per casi più gravi, 4 ragazze i occupano dei bambini abbandonati, 2 della scuola di cucito (frequentata da una cinquantina di ragazzine, due dell'atelier di Nat (le stuoie) frequentato da circa ottanta ragazze, due della falegnameria freq:u~nt_atad~ una venti_nadi rasazzi. ~ltre attivita ricreative e spornve, a cui partecipano un centinaio di ragazzi, sono gestite da animatori. È questo il modo per restituire una parvenza di normalità a un popolo schiacciato, umiliato e traumatizzato dal genocidio compiutosi appena due mesi prima. Da una prima indagine statistica si era accertato che la percentuale dei minori, nel campo, si aggirava intorno al 50-60% dei rifugiati. Occorreva offrire loro il coraggio di vivere, la forza di ricominciare a sperare, la possibilità di potere ritornare in patria. Restituire loro la dignità calpestata dagli orrori della guerra, nonostante molti loro familiari avessero perso la vita. Ognuno di loro era stato testimone di atroci e inenarrabili violenze, crudeli massacri, di cui per sempre porterà indelebili ferite, un ricordo terrificante di morte e di distruzione. I bambini ritornavano a giocare, a sorridere, anche se soffrivano i freddo la notte o se portavano addosso un lurido straccetto. Altri avevano perso forse irrimediabilmente la capacità di sorridere, di giocare, e restavano tristi e solitari, quasi ad attendere, disillusi e stanchi, la morte. Ogni giorno arrivavano al campo bambini abbandonati, con uno straccetto logoro addosso e con lo sguardo smarrito, chiedendo un rifugio, una protezione, un affetto. Nel campo di Ugano non vi erano le scene a cui la televisione, forse in modo cinicò, ci ha abituati; i profughi del campo sono i sopravvissuti scampati al genocidio. Ma dentro i ricordi dei cari trucidati, e della tragedia di guerra non ancora finita. per loro abbiamo organizzato un orfanotrofio o meglio una casa di passaggio, in cui alcune generose ragazze si prendono cura dei bambini. Ricordo Beatrice, che aveva preso con sé più di trenta bambini che le si erano affezionati come ad un mamma. Tutti conoscevano Beatrice per la sua semplicità, per la sua dolcezza e la sua generosità. A lei e ad altre ragazze, che come lei avevano perduto i loro cari e avevano accolto nel loro cuore i bambini abbandonati, fu poi affidata la cura della "Casa di passaggio". La presenza dei nostri collaboratori, il loro impegno, la loro generosità e la loro naturale affabilità ci facevano dimenticare gli orrori della guerra appena trascorsa e non del tutto finita. mi sono spesso chiesto come era stato possibile che un popolo dai costumi così ele- .ganti e gentili abbia potuto commettere un genocidio. Non dovevo dimenticare che tra i 26.000 rifugiati vi potevano essere i responsabili del geno·cidio? che avrebbero voluto ricostruire il paese· pacificamente, assieme ai fratelli, di qualsiasi etnia fossero. Doeo appena una settimana dal mio arrivo a Muymga, l'Hcr ci convocò d'urgenza, per predisporre un eventuale piano di evacuazione. Il momento politico in Burundi era particolarmente teso e vi erano ragionevoli motivi per pensare che da un momento all'altro sarebbe potuta scoppiare la guerra. Il governo provvisorio burundese, governato dagli hutu era minacciato dai tutsi che da sempre avevano il controllo dell'esercito. I responsabili dell'Hcr ci diedero le istruzioni nel caso in cui fosse scoppiata la guerra. Ci raccomandarono di preparare un solo bagaglio con lo stretto necessario e di attenerci scrupolosamente alle indicazioni date per consentire nel miglior modo possibile l'eventuale evacuazione. Al termine delle dettagliate istruzioni chiesi se avessero previsto una sicurezza nei campi profughi nel caso dovesse scoppiare la guerra. Mi fu risposto in modo laconico che la sicurezza del campo non rientrava nei loro compiti istituzionali. La risposta mi freddò il sangue nelle vene. Mi balenò per un momento la terrificante scena che si sarebbe potuta verificare nel campo profughi in caso di guerra: i militari tutsi burundesi che dovevano garantire la sicurezza nel campo sarebbero stati i carnefiçi dei potenziali nemici profughi hutu. Qualche mese prima, allo scop_pio della guerra in Ruanda, i can:ip_pi rofughi_ burundesi erano stati teatro di orribili massacri. Mi chiedevo inorridito che senso avesse provvedere alla alimentazione, alla salute, all'abbigliamento di centinaia di migliaia di profughi hutu in Burundi, Quando il0 paese non era in grado di garantire la pace e gli organismi internazionali si dichiaravano impotenti nell'assicurare il diritto alla vita in caso di guerra. Perché tanta cura e scrupolo nel salvare una cinquantina di adulti occidentali e tanta noncuranza, insensibilità, spregiudicatezza, cinismo, per la vita di 300.000 profughi presenti in Burundi? Mi appellai alla Convenzione di Ginevra, alla Dichiarazione dei diritti umani , alla proclamazione dei Diritti dei bambini: inutili parole, coloro che _permandato dell'Onu agivano in nome dei diritti umani, di fatto trascuravano spregiudicatamente i principi per i quali dicevano di agire. · Rifiutando questa perversa logica, feci formale richiesta di rinunciare alla protezione dell'Onu e di dormire nel campo profughi; forse a la mia presenza avrebbe potuto servire, in caso di guerra, come deterrente nei confronti dei militari tutsi, per tentare di salvare i bambini dell' orfanotrofio. La risposta fu negativa: l'Onu non poteva permettersi di perdere un occidentale affidato alle sue cure! Avevo dimenticato di essere bianco, ed europeo! Preparai, con l'aiuto della mia organizzazione, un documento-denunzia che fu inviato, spero, a Ginevra. Informai i miei collaboratori profughi della vicenda e li sollecitai a sollevare loro stessi la questione all'incontro dei rappresentaµti del campo con gli organismi internazionali. Ma, anche in quell'occasione, il documento presentato da un nostro valido collaboratore non ebbe seguito. Anzi questi fu tacciato di fare poliPIANETATERRA
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