Saggi Michel Foucault Discorso e verità nella Grecia antica Introduzione di Remo Bodei pp. 144, L. 25.000 Biblioteca Benjamin Constant La forza del governo attuale Sulla necessità di uscire dalla Rivoluzione Introduzione e cura di Marina Valensise Postfazione di Ernesto Galli della Loggia pp. 128, illustrato, L. 28.000 Interventi Mario Deaglio Liberista? Liberale Un progetto per l'Italia de/Duemila pp. 156, L. 18.000 Narrativa Eva Hoffman Come si dice Traduzione di Maria Baiocchi pp. 320, L. 30.000 DONZELLI EDITORE ROMA Il fondaco di MicroMega/3 Marcel Gauchet Tocqueville, l'America e noi Introduzione di Paolo Flores d 'Arcais pp. 100, L. 12.000 I Centauri Ugo Dotti La Divina Commedia e la città dell'uomo Introduzione alla lettura di Dante pp. 156, L. 28.000 I libri di Reset Norberto Bobbio Augusto Del Noce Centro: tentazione senza fine Introduzione di Lorella Cedroni pp. 64, L. 8.000 Libri di idee
LA TERRA VISTA DALLA.LUNA Rivista dell'intervento ...... N.11, gennaio 1996 VOCI sociale Vinicio Albanesi, Palermo: un'ipotesi "culturale" per la Chiesa italiana? (2), Roberto Alajmo, Andreotti a Palermo ( 5 )Goffredo Fofi, Dubbi e domande sulla Chiesa ( 6). PACE E GUERRA: Alexander Langer, Ernst Gulcher, Per la costituzione di un corpo civile di pace dell'Onu e dell'Unione europea (18), Ivan Djuric, Un americano a Parigi (21). NORD E SUD. Nicola Perrone, Cooperazione allo sviluppo, ma di chi? (23). ARTE E PARTE. Maria Nadotti, New York al di là del ponte. Su "Smoke" (40), Giulio Marcorz, La guerra infinita di Kusturica (42), Vittorio Giacopini, "Underground", come sono belle le tue bugie (44). Poesie di Antonio Sonnati e Filiberto Borio, a cura di Michele Ranchetti (47). SALUTE E MALATTIA. Paolo Crepet, Dove nasce il diagio giovanile (59), Silvana Quadrino, Il potere e la parola. Scorci di '95 (61). PIANETA TERRA LA CHIESA IN AFRICA Andrea Berrini, I nuovi compiti (8), Celia dos Santos, Rifiuti (10), Nino Rocca, Tra hutu e tutsi, diario dal Burundi (14). PIANETA TERRA REPUBBLICA CECA Marina Pavlova-Silvanskaya, Havel contro Havel. Esiste davvero una politica morale? (25), Stephen Holme's, L'economia politica nella Repubblica ceca (28). SUOLE DI VENTO I GIOVANI E IL LAVORO Stefano Laffi, Baristi, meccanici, parrucchieri ... (32), Antonella Tarantino, Giovani e mercato del lavoro (34), Dario Lanfranca, Sicilia art.23: lavori socialmente utili? (37). GIRO D'ITALIA. Tiziano Scarpa, Cattive ragazze (72), Emiliano Morreale, "Studenti e C." a tu per tu con il Ministro (73), Michele Colucci, Occupazione, nuovi riti (75), Luca Rossomando, Occupazioni, ognuna una storia (76), Luca Mosso, Facce di tolla. Cinema Giovani a Torino (77), V. De Biasi, F. Frangipane, D. Gaglianone, A. Negri, Esordienti (78), Alessandro De Falco, Genova: la musica in una città difficile (81), Nino Garrone, Immigrati a Roma: spirito d'iniziativa (83). SCUOLA STORIE DI HANDICAP Andrea Canevaro, Vivere l'ìntegrazione nella scuola e non solo (49), Milena Bernardi, I Ragazzi Sfuggenti (51), Salvatore Sasso, Cosa vuol dire integrazione (54). LACITTA' TORINO E DINTORNI Arnaldo Bainasco, a cura di FrancescoCeci, Dopo la Fiat (63), Cristina Lanfranco, Settimo Torinese, alla perifena della Fiat (70). IMMAGINI Alberto Giuliani: Strade e bambini (tra le pagine 42 e 43). In copertina foto Hulton Deutsch. I disegni che illustrano questo numero sono di Simona Mulazzani. Direttore: Goffredo Fofi. Direzione: Gianfranco Bettin, MarcelloFlores, Piergiorgio Giacchè,Roberto Koch, Giulio Marcon, Marino Sinibaldi. Segretariadi redazione: Alessandra Francioni. . Collaboratori: Damiano D. Abeni, Roberto Alajmo, Vinicio Albanesi, Enrico Alleva, Guido Armellini, Lucia Annunziata, Ada Becchi, Marcello Benfante, Stefano Benni, Alfonso Berardinelli, Andrea Beretta, Andrea Berrini, Giorgio Bert, Luigi Bobbio, Giacomo Borella, Marisa Bulgheroni, Massimo Brutti, Mimmo Càndito, Francesco Carchedi, Franco Carnevale, Luciano Carrino, Marco Carsetti, Francesco Ceci, Luigi Ciotci, Giancarlo Consonni, Paolo Crepet, Mirta Da Pra, Zita Dazzi, Giancarlo De Cataldo, Stefano De Matteis, Elena Fantasia, Grazia Fresco, Rachele Furfaro, Giancarlo Gaeta, Fabio Gambaro, Saverio Gazzelloni, Rinaldo Gianola, Vittorio Giacopini, Giorgio Gomel, Bianca Guidetti Serra, Gustavo Herling, Stefano Laffi, Filippo LaPorta, Franco Lorenzoni, Luigi Manconi, Ambrogio Manenti, Bruno Mari, Roberta Mazzanti, Santina Mobiglia, Giorgio Morbello, Cesare Moreno, Emiliano Morreale, Marco Mottolese, Maria Nadotti, Grazia Neri, Monica Nonno, Sandro Onofri, Raffaele Pastore, Nicola Perrone, Giuseppe Pollicelli, Pietro Polito, Georgette Ranucci, Luca Rastello, Angela Regio, Luca Rossomando, Bardo Seeber, Francesco Sisci, Paola Splendore, Andrea Torna, Alessandro Triulzi, Giacomo Vaiarelli, Federico Varese, Pietro Veronese, Tullio Vinay, Emanuele Vinassa de Regny, Paolo Vineis. Grafica: Carlo Fumian. Hanno contribuitoallapreparazionedi questonumero: Pina Baglioni, Claudio Buttaroni, Monica Campardo Giuseppe Citino, Pietro D'Amore, Ornella Mastrobuoni, Simona Zanini. I MANOSCRITTI NON VENGONO RESTITU!Tl La Terra vista dalla Luna iscritta al Tribunale di Roma in data 7.7.'95 al n° 353/95. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Edizioni La Terra vista dalla Luna s.r.l. Redazione e amministrazione: via Mentana 26, 00185 Roma, tel. 06-4467993 (anche fax). Distribuzione in edicola: SO.DI.P. di Angelo Patuzzi spa, via Bettala 18, 20092 Cinisello Balsamo (Ml), tel. 02-660301, fax 02-66030320. Stampa/StilGraf della San Paolo Tipografica Editoriale - Via Vigna Jacobini 67/c - Roma Finito di stampare nel mese di gennaio 1995
Da Palermo un'ipotesi "culturale" per la chiesa italiana? Vinicio Albanesi Riassumere quanto è avvenuto a Palermo, alla terza assemblea ecclesiale italiana, significa fare riferimento alle attese con le quali è avvenuta la partecipazione, naturalmente diversa da delegato a delegato. Andando a Palermo parlavamo di miracolo, nel senso di aspettare dall'assemblea una spinta e una prospettiva della chiesa italiana che la fa- . . cesse apparire coragl?10sa, unita e forte, capace d1 dare prospettive al nostro paese. Non per desiderio di potere - giacché oggi, come ieri, tutti i poteri , sono diabolici - ma per riferimento per l'Italia nella fede di chi si professa cattolico, ma anche nel rispetto di quanti, pur di altré fedi e convincimenti, hanno a cuore il benessere materiale e seirituale dei cittadini e delle cittadine. Nella prospettiva delle attese, l'assemblea ecclesiale di Palermo ha mostrato luci ed ombre. Tra le sfide accolte quelle della funzione dei laici e delle donne nella chiesa. Preceduta dalle dichiarazioni di Giovanni Paolo II, la chiesa italiana si è impegnata solennemente a dare "dignità concreta" ai ruoli del laicato, alla donna. Che cosa comporterà o quanto tempo dovrà trascorrere nell'applicazione pratica di questa dignità riconosciuta, occorrerà aspettare e vigilare. Quanto trent'anni fa dichiarava il Concilio è finalmente calato nella Chiesa particolare d'Italia: un sollievo è stato avvertito al riconoscimento del popolo di Dio che, per sua stessa costituzione, è un popolo che comprende, con dignità eiena, il popolo dei battezzati, nelle sue caratteristiche naturali: maschi e femmine, giovani e adulti, celibi e sposati, laici e chierici. Al clima di rispetto e di accoglienza ha certamente m.CL contribuito lo "stile" con la quale la Chiesa palermitana ha accolto i convegnisti. Seicento ~iovani adulti che si sono messi a totale disposizione dei delegati "stranieri" perché la loro permanenza fosse calda, accogliente, piena di premure. Un clima che ha certamente giovato alla permanenza fosse calda, accogliente, piena di premure. Un clima che ha certamente giovato alla permanenza in un convegno, gestito con stile nordico di puntualità di tempi, di impegni e di spostamenti. Il cuore della proposta scaturita da Palermo Le relazioni del sociologo Garelli, del teologo Coda e del Card. Ruini hanno fatto esplicito riferimento al progetto culturale-pastorale come possibile filo conduttore per la Chiesa italiana nel prossimo futuro. Nella relazione Garelli, lo studioso appella al progetto culturale capace "da un lato di ricostruire il tessuto morale e civile del Paes~ (che risulta alquanto deperito) e dal- )' altro lato di rappresentare un elemento di unità nel variegato mondo cattolico (che si rappresenta sufficientemente disperso, sia nelle forme pastorali che in quelle associative)". Prosegue Garelli che l'idea ha suscitato notevole interesse e dibattito tra i Vescovi. "Il Card. Martini - riassumendo i lavori dell'ultima Assemblea generale dei Vescovi - ha parlato di un "progetto pastorale con valenza culturale", con riferimento a tutto il lavoro di formazione (spirituale, pastorale, catechistico, educativo) che la comunità cristiana mete in atto per influenzare il modo di pensare collettivo della ~ente, non soltanto dei gruppi elitari. Per i pastori la promozione della cultura significa "pror.durre" comportamenti e stili di vita fondati sul Vangelo e alternativi alla cultura dominante. L'attenzione, quindi, è all'insieme della vita della gente, come si raggiunge almeno intenzionalmente nelle parrocchie, al di là di progetti avanzati che informano alcuni movimenti. La pastorale ordinaria sarebbe dunque il luogo di attuazione concreta di questo progetto culturale, ed essa dovrebbe giovarsi di un continuo scambio con la cultura alta, con l'elaborazione dei centri di ricerca, col cammino dei movimenti e delle associa- . . ,, ziom . L'idea del progetto culturale, reso indispensabile, dall'essere la cultura cattolica orfana attualmente di un "luogo" adeguato alla riflessione e alla progettazione, avrebbe il vantaggio di offrire l' occasione dell'esercizio della laicità, dando occasione di ricercare i modo "concreti" per declinare i principi irrinunciabili del cristianesimo nel contesto della vita di ogni giorno, coinvolgendo la stessa teologia, restituita a tutti i battezzati e liberata dalla s,eecificità dei chierici, così da nflette sui grandi temi etici (bioetica, senetica, questione ecologica ecc.). Auspica Garelli: "In questo quadro si tratta di valorizzare le istituzioni culturali della Chiesa, di creare cenacoli di riflessione e fucine di pensiero, di impegnare gli uomini di cultura - in un clima di accoglienza e di libertà - ad assumersi le proprie responsabilità. Conclude il relatore: "Sto quindi delineando un progetto culturale (o come vorremo chiamarlo) che non ha solo implicazioni pastorali, ma che può rappresentare nella Chiesa quell'effettivo luogo di unità e di confronto - attorno appunto all'antropologia cristiana - tra le varie componenti e i diversi carismi. È poi evidente il riverbero di tutto ciò sul piano pastorale, e la possibilità di fecondare i modo di pensare e di vivere dell'intera comunità. Il teologo Coda ha dato valenza teologica al progetto culturale. si è infatti così espresso: "Se la spiritualità ha acquisito, tra i quattro obbiettivi proposti per il nostro Convegno, un indiscusso primato, la cultura viene da tutti riconosciuta come priorità
che àttraversa trasversalmente le cinque vie preferenziali. Ed è comprensibile. Cultura è la molteplicità delle espressioni incarnate attraverso cui s'esprime l'intuizione del senso della vita di una comunità e all'interno della quale matura quella della persona. Pertanto, la capacità e la qualità d'essere segno e proposta di una cultura condivisa e condivisibile, ricca di memoria, aperta alla prof ezia, mordente sulla realtà, è, per una Chiesa, criterio e misura della sua fedeltà a Dio e all'uomo nella luce di Gesù Cristo, Verbo fatto carne. Anche a questo proposito la . consapevolezza delle nostre Chiese è cresciuta. Dalla percezione della portata dell'affermazione di Paolo VI, secondo cui "la rottura tra il Vangelo e la cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca" (evangeli nuntiand i, 20); alla comprensione delle conseguenze di quella di Giovanni Paolo II, secondo cui "una fede che non diventi cultura .è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata e fedelmente vissuta". Prosegue il teologo: Nella situazione variegata, complessa e di non facile decifrazione della cultura contemporanea, la scelta del popolo di Dio non può dunque essere quella di tirarsi fuon, ma di attmgere con fiducia e creatività alla sorgente del Vangelo della carità, e di giocare con convinzione e capacità di convergenza questa carta di grande respiro e di grande impegno, non per chi sa quali sogni egemonici, ma per un più cauto senso di responsabilità verso la verità di Gesù Cristo e di servizio alla società. Aggiunge: "La spinta che ci viene dal Vangelo della verità/ carità è innanzi tutto quella di uscire da una sindrome di subalterni o di semplice gioco in difesa e reazione che ha spesso caratterizzato la cultura di ispirazione cristiana. Di immergersi nel1'originalità dell'evento di Gesù cristo e di acutizzare la capacità di dialogo e di comune ricerca con tutti, nella consapevolezza che la Verità di Dio è "la sapienza e la potenza di Cristo Crocefisso, la Verità che si dona" (Veritas splender, 17). Solo così sarà possibile offrire, con coraggio e umiltà insieme, un contributo sostanziale per un compimento della svolta moderna verso il soggetto: che ne ripari gli errori e la reintegri nell'ottica della costitutiva apertura della persona alla trascendenza di Dio e all'intersoggettività come luoshi - indissolubilmente congmnti nell'evento di Gesù Cristo - dell'accadimento della Verità come/ nella carità". Concludendo il convegno il Card. Ruini, così si è espresso a proposito del progetto culturale: "Un altro tema l.i,rgamente condiviso è stato quello del progetto o prospettiva culturale orientato in senso cristiano. Esso anzi, come era nelle speranze esce dal convegno assai arricchito, precisato e irrobwnito. Una cosa in particolare è risultata chiara: non esiste alcuna opposizione o alternativa tra due dimensioni si questo progetto. Una è quella che mette l'accento sulla 'pastorale ordinaria', cioè sulla vita e sul lavoro quotidiano delle nostre diocesi, parrocchie, comunità, associazioni, scuole, oratori, iniziative di volontariato, come luoghi e ambienti che fanno cultura e che devono acquisirà una maggiore consapevolezza di questo loro ruolo e fiducia di poterlo assolvere. L'altra è quella della dimensione cosiddetta 'alta' della cultura, ivi q)mpresa la ricerca filosofica, scientifica e storica, la produzione letteraria ed artistica, la comunicazione sociale, ed anche, per altro verso, le problematiche giuridiche ed istituzionali. Fra queste due dimensioni non solo non si da alternativa, ma al contrario sussistono una evidente complementarietà, e reciproco sostegno e integrazioine. Accertato questo, non sarà difficile mettere appunto la formula meglio idonea per dare un nome al progetto esprimendone sia lo spessore culturale sia quello pastorale". Facendo riferimento alla tensione tra cattolicesimo sociale più spiritualista il cardinale aggiungeva: "Non tanto per risl?ondere ad interrogativi posti esplicitamente, ma per venire incontro piuttosto a un certo disagio o malessere che talvolta sembra di avvertire, vorrei aggiungere che non è fondata nemmeno un'altra alterantiva: quella, per esprimerci emblematicamente, tra l'opzione preferenziale per i poveri ~ i~ ruolo-guida d~lla fede cnsttana nel cammmo verso il futuro, l'una e l'altro fortemente riaffermati anche ieri dallo stesso Santo Padre. Da una parte infatti tale ruolo, per concepirsi ed esercitarsi in senso evangelico - quindi per non contraddire se stesso ed autodistruggersi - deve farsi carico di tutti, a cominciare dagli ultimi che per il vangelo sono i primi, e questo è appunto il significato dell'opzione preferenziale per i poveri. Reciprocamente, la medesima opzione fondamentale non è 'esclusiva', proprio perché non soltanto non esclude alcuna persona ma anche non impedisce od ostacola, bensì al contrario .stimola e sollecita l'assunzione di responsabilità verso il bene comune, inteso nel suo senso più alti ed integrale, e pertanto richiede l'esercizio della nostra creatività, l'acquisizione e l'impiego delle necessarie competenze e l'impegno di tutto il nostro coraggio morale. Così essa spinge i credenti proprio nel senso di un autentico ed evangeli 'ruolo-guida'". Occorrerà attendere tempo perché questa ipotesi _possa essere pienamente sviluppata, così da essere proposta, magari in piccole porzioni, alla "prassi ecclesiale". Da questi accenni si possono però trarre alcune considerazioni:· L'ipotesi culturale è debole L'ipotesi del "progetto culturale/pastorale" auspicata a Palermo, evidenzia forti limiti. Alcuni delegati, probabilmente pochi, tra i quali io stesso, non amano queste ipotesi. I motivi sono diversi. Prima i tutto il ritardo. Il concilio, nella "Gaudium et spes", trent'anni fa aveva indicato nel rapporto fede-cultura uno degli snodi Chiesamondo.Ritornare su questo snodo dopo così numerosi anni non ha senso. Perché nel frattempo si sono frantumate le culture, Cacciari, nel suo intervento a Palermo ha parlato esplicitamente di comportamenti "singoli" vissuti e intesi come principi di riferimento universali. In altre parole, la cultura cattolica non incontrerebbe nuclei di culture, ma atteggiamenti sin~oli e dispersi, tali da rendere impossibile un confronto. Proporre dunque una culYQQ.
tura a chi non ha, né avrà cultura di riferimento è dunque problematico e probabilmente inutile. Il secondo limite è ancora più forte. Il mondo moderno oramai chiama a "sfide" poderose, fondamentali. Non si tratta di culture, ma sfide di vita: la crescita demografica, l'abilità dell'atmosfera, le risorse energetiche, il benessere, il rispetto dell'uomo, le disuguaglianze, le frontiere della bioetica, l'eutanasia sono sfide di vita, non necessariamente legate a "culture". Un esempio illuminante è proprio il concepimento della vita: si assiste contemporaneamente a pratiche abortistiche diffuse e ad altrettante ricerche disperate di neonati. Quale cultura in questo caso, se non il proprio bisogno? Il, terzo limite è che l'ipotesi del progetto culturale presuppone una società a connota ti omogenei. Almeno nel mondo occidentale ciò non è più vero: la distinzione dei due terzi in stato di benessere e un terzo della popolazione in gravi difficoltà di livelli di v~ta dignitosa e_di partecipaz10ne democratica sta attuandosi anche in Italia. Lo schema delle culture si dirigerebbe nel migliore dei casi, verso i due terzi. Il restante terzo della popolazione quale tipo di rapporto potrebbe avere con una cultura che presuppone come risolti i bisogni primari? Se l'opzione dei poveri - come ha detto il cardmal Ruini non è esclusiva in quanto presuppone l'accoglienza di tutti, è pur vero che la risposta ai bisogni di uguaglianza e di partecipazione diventa pressante a tal punto da diventare significativa per tutti. Avevo scritto, prima diandare a Palermo: "La domanda centrale rimane: quale fede per le persone 'qui e ora', in una società opulenta e mercantile? Il rischio è di mediare le forme di comunicazione della fede a tal punto da svilirla. La fede risponde agli interrogativi ultimi della vita e si esprime in forme autentiche, senza sconti. In caso contrario è cultura, prassi, costume". Per fare un riferimento storico sembra di assistere, ancora una volta, alla discussione se accostarsi alla vita tramite la chiave della verità o invece quella della carità: chi conosce un po' di teologia Y.QQ. medioevale ricorda le discussioni tra domenicani e francescani, tra Tommaso D'Acquino e Duns Coto. Discussione, ripresa in filosofia moderna tra idealismo e realismo. Gia il documento preparatorio all'assemblea "Evangelizzazione e testimonianza della carità" aveva avuto riferimenti alla verità e alla carità come due riferimenti indispensabili. Dalle conclusioni di Palermo sembra prevalere lo schema "razionale" della verità: un Dio che è prima di tutto orientamento delle coscienze e che quindi discrimina tra vero e falso, tra errore e verità. Esiste un secondo schema che è più "vitale": risponde alla domanda che cos'è vita e che cosa non lo è, che cosa porta il bene e che cosa lo impedisce, che cosa favorisce la giustizia e che cosa l'ingiustizia. Anche in questo secondo schema si fa appello alla 'verità, ma alla verità vissuta, sperimentata, vitale: altrimenti la verità diventa ininfluente. A noi sembra d vivere in un mondo dove la discriminante vera non passa per le convenzioni delle condotte, ma sulle condotte stesse. È vero che non esistono più orientamenti univoci, ma proprio perché non esistono riportarli a verità, sembra - sottolineo sembra - la strada necessaria: in realtà tale percorso rischia il fariseismo. Sono convinto di una cosa ma le necessità mi spingono a comportarmi diversamente. Politica, povertà, famiglia Gli esempi della contraddizione di verità disconosciute possono essere tratti proprio dalle riflessioni di Palermo, riguardanti la politica, la povertà, la famiglia. Il Papa nel primo dei due suoi interventi a Palermo, ha detto esplicitamente che la Chiesa non deve identificarsi in nessun partito, inv}to ripreso ampiamente nei com- • menti a Palermo. Come si coniuga questo principio con l'insistenza con al quale, per decenni, pure dall'episcopato, era arrivato l'invito pressante "all'unità politica" dei cattolici? Non è possibile affidare alla storia gli anni appena trascorsi, senza mettere in rela- ~ione,q_':1es_tidueatteggiamenti cosi d1vers1. No affrontare che cosa è avvenuto e perché si è arrivati oggi a questa conclusione non è un bene né per il passato, né per il futuro. Rispondere che oggetto della politica è il "bene comune", è una risposta razionale e anche di etica cattolica, ma ininfluente. Che cos'è oggi bene comune? Per chi? In che misura? Le domande potrebbero diventare infinite. O meglio ancora che cosa è verità oggi nella politica italiana e che cosa ieri. L'appello della verità se non inficia i comportamenti, diventa, anche nel buon senso, menzogna. Quante ingiustizie perpetrate nella migliore coscienza? Così per il tema della povertà. Come non riflettere seriamente sui dati delle povertà materiali e immatei:iali presenti in Italia e nel mondo? Come non porre domande sulle cause produttrici di disuguaglianze e sui meccanismi che le aggravano? Si è parlato di povertà, ma non di economia, di poteri, di sviluppo. Ancora: l'immigrazione è un fenomeno grave per l'Italia, posta al centro ael Mediterraneo. Il fenomeno non può essere ridotto alla piccola risposta che le singole Parrocchie o le caritas locali possono fornire. Stesso atteggiamento per la "famiglia": se la famiglia moderna soffre di stabilità e di solitudine, occorrerà pure interrogarsi sui perché di questo stato di cose e su che cosa la Chiesa può pi;oporre per una crisi che, per l'Italia, diventa preoccupante. Crediamo che alle assemblee dei Vescovi nel Maggio · prossimo, alla quale i delegati di Palermo hanno affidato l'impegno di rendere operative le riflessioni del Novembre scorso, prevalga la linea culturale/pastorale, dettata indubbiamente da buone intenzioni, tesa a voler orientare le coscienze. Chiediamo che queste linee abbiano anche il coraggio di affrontare la realtà della società italiana così come essa è, non applicando uno schema corretto teoricamente, ma ininfluente. Restiamo invece convinti che la conversione del cuore fa la verità: l'atte&giamento della vita è la discriminante e non &iàl'adesione alla verità, .ormai manipolata da persone molto raffinate culturalmente e spesso altrettanto rozze e cimche nella vita. ♦
Andreotti, Palermo, l'indifferenza Roberto Alajmo Proprio: non si scappa. Quando si tratta di Palermo, sfug~ire ai luoghi comuni opposti e correlati è impossibile. Già si era visto dor,o l'insurrezione morale del 92. All'indomani della seconda strage i giornali mantennero per qualche giorno a Palermo i loro inviati col tacito intento di veder e se succedeva ancora qualcosa. E siccome non succedeva niente se non che la città scendeva in piazza, ecco che anche la società civile venne buona per giustificare un titolo, con articolo e nota SJ?ese conseguenti. Quasi subito le manifestazioni di massa divennero p~r i cronisti _un_mero eserc1z1O computistico. I partecipanti alla marcia o alla catena umana erano più o meno di cinquecento? Se era meno: Manifestazione fallita, Tensione antimafia in calo, Città indifferente. I partecipanti erano più di cinquecento? Ecco lo stesso un titolo pret-à-porter: In migliaia scendono in piazza contro la mafia, Palermo rialza la testa. Per cercare di sfuggire al ricatto il volontariato palermitano ha compostamente protestato, ma già gli inviati erano sul piede di partenza (in effetti, poi, non è successo niente) e così come era stato giornalisticamente pompato il fenomeno diventò giornalisticamente impalpabile. Non ci sono vie di mezzo: o la macellazione delle idee o l'invisibilità. Un ricatto molto simile a quello dell'o troppi o troppo pochi è stato tentato in occasione del processo Andreotti. Gli inviati dei giornali e delle televisioni· sono arrivati in masa, ma mentre per gli stranieri l'equivoco {'Oteva essere ~ius~ificabile? i giornalisti. it~- liam son o 1mperdonabiuh. Un americano può aspettarsi che un processo cominci e fin isca in termini commensurabili con l'esistenza umana. Il successo televisivo del processo Simpson era dovuto proprio alle caratteristiche della giustizia statunitense, che nell'arco di pochi mesi è in condizione di stabilire, con !'in evitabile approssimazione, se una persona è colpevole o meno. Ma il giornalista italiano è tenuto a sapere che in Italia non è così.Sei! processo Simpson era uno sceneggiato televisivo, il processo Andreotti è una telenovela. Ci sono impennate spettacoari, come la compresenza (nemmeno il confronto o) di. Andreotti e Buscetta. Il tutto però è estremamente diluito. Per questo è offensivo dell'intelligenza quel che è accaduto nei giorni immediatamente ~uccessivi all'esordio, quando 11processo del secolo si è rivelato quel che era, e cioè un estenuante rosario di scaramucce legali. È successo che i ~iornalisti, nazionali ed esteri, m mancanza di meglio, si sono voltati a guardare la città, aspettandosi che la città fosse pronta a rilasciare dichiarazioni pro o contro, di in dignazione o connivenza, che insomma avesse qualcosa da dire. E invece - sorpresa! - la città non ha niente da dire e quindi - titolo! - La città è indifferente. Nell'ambito della macellazione delle idee in nessun caso Palermo può sfuggire ai clichés. Quindi indifferenza significa senz'altro apatia, eterna indolenza dei siciliani, gattopardismo eccetera. E invece esiste, e in certi casi è sacrosanta, una indiff erenza con- sapevole. Il caso del rapporto fra Palermo e il processo Andreotti è uno di questi. Il palermitano sa certe cose perché le respira. Sa, per esempio, che quello ad Andreotti è una versione troppo tardiva del processo alla Democrazia Cristiana che Pasolini invocava alla metà degli anni Settanta, e sa che la Dc nel frattempo si è dissolta. Il palermitano sa, respira che il paradosso pasoliniano era, appunto, un paradosso e che anche il processo Andreotti è un paradosso, perché molto verosimilmente non si con concluderà nei tre gradi di giudizio, ma forse nemmeno solo nel primo, mentre l'imputato è ancora in vita. Dal punto di vista dell'accertamento della verità giudiziaria è quindi un processo inutile, dal quale non sapremo mai se l'imputato è colpevoe del reato di associazione mafiosa. Il palermitano sa, respira (aprescindere da come poi si regoli in cabina elettorale) che adesso il Nulla IdeologicoMafioso che secondo Pasolini era la Dc esiste sempre e ha assunto nuove incarnazioni fra l'altro molto riconoscibili, a livello di quartiere o di cellula sociale. Sa, respira che quindi anche dal punto di vista dell'accertamento della verità morale, (Pasolini proponeva almeno una pena simbolica) si tratta di un processo inutile,
perché nel frattempo c'è stato uno smottamento delle res~onsabilità per la disfatta civile italiana. Un processo inutile sotto tutti i punti di vista e allo stesso tempo, per ulteriore paradosso, idealmente indispensabile. Le cose cambiano leggermente se si considera il caso di quella percentuale di abitanti di Palermo che - per continuare nel filone pasoliniano - da sempre sa, ma non ha le prove. Sa e ha sempre saputo che Andreotti è Andreotti e che Andreotti è colpevole. Adesso questa percentuale più o meno minoritaria sa anche - respira, sospetta, teme - che il processo Andreotti potrebbe trasformarsi in un boomerang per il movimento antimafia. Per questo spera - respira, teme di no - che la Procura abbia in mano carte sufficienti - penalmente sufficienti - a mchiodare Andreotti alle sue responsabilità. Perché se così non fosse Andreotti sarebbe trasformato in un martire del giustizialismo. (Ancora non si sa ufficialmente se Bruno Contrada sarà assolto o meno, ma è quasi certo che si candiderà alle elezioni dalla parte del garantismo peloso. E il processo Contrada è stato la prova generale di quello ad Andreotti. Se Andreotti potrebbe da martire essere santificato, di Contrada si può dire che già è vicino alla beatificazione). Di certo chi ha vissuto per un mese a Palermo sa, respira, non può dubitare, che Andreotti era amico dei Salvo e che negando questa evidenza i suoi avvocati abbiano fatto le barricate troppo avanti, su posizioni indifendibili. Quasi certamente, dietro queste prime barricate si prepara una guerriglia giudiziana ancora più estenuante del deludente debutto. E alla fine di questa guerriglia, se mai ci sarà,, viene una domanda: l'amicizia dei Salvo è sufficiente a condannare o per mafia un senatore a vita? Palermo queste cose le sa, perché le respira nell'aria stessa di Palermo?. E l'indifferenza dei palermitani è l'unica risposta possibile a un microfono spianato e a un giornalista che chiede: Cosa pensate del processo Andreotti? ♦ TESTATINE Dubbi e domande sulla Chiesa GoffredoFofi È tipico dei non credenti italiani chiedere molto alla Chiesa (o accusarla delle troppe cose che essa, e essi, non fanno), da fuori, senza sopportare il peso di nessuna sua mterna contraddizione e in modi che risultano, come non è difficile comprendere, molto irritanti per i credenti. Non vorremmo aggiun~erci a questa schiera di esigentissimi "laici" (sul tema e la definizione di "laico" pubblicheremo alcuni interventi di teologi nel prossimo numero di "La terra") che sventolano questo loro "laicismo" e magan il loro ateismo. Di costoro abbiamo sia recente che antica diffidenza, consolidata dall' esperienza e dalle metamorfosi della politica degli ultimi decenni; e attribuiamo anzi responsabilità morali enormi a questo "laicismo" dei non credenti: sii ex comunisti e gli ex radicali, per esempio, accodati da tempo al "laicismo" dei padroni, cui il loro si è mescolato fino a scomparirvi tollerando, sponsorizzando e praticando un eguale cinismo e facendosene imbonitore attraverso i media, nel massimo di adesione a un modello unico e immutabile di società che viene da loro gabellato per universale destino immodificabile. Se diciamo anche noi qualcosa di ciò che ci convince o non convince della Chiesa attuale è perché questo ci viene, un po' paradossalmente, richiesto proprio da amici credenti, e addirittura da alcuni di quei sacerdoti che conosciamo e della cui amicizia ci onoriamo, membri di minoranze più sparute di quanto non credessimo quando le circostanze dell'intervento sociale e culturale ci hanno fatto trovare di nuovo vicini a loro in più e più occasioni. Anche in eassato era accaduto a chi scnve di incrociarne alcuni, noti e ignoti, perché tra minoranze, per esempio nei lontani anni Cinquanta, il sostegno reciproco era forte; ma allora la Chiesa era ancora quella di Pio XII e oggi è invece quella del dopo Concilio. · Sono proprio questi amici a rimproverarci oggi un' eccessiva benevolenza nei confronti della Chiesa, e a chiederci un'attenzione meno generica e ottimista nei confronti dela sua realtà e delle sue scelte. Cosa ci dicono? Ci dicono che le nostre opinioni sulla Chiesa sono imerecise ed esteriori, a volte piene di pregiudizi e di luoghi comuni che non corrispondono a ciò che essa è o è diventata, e che rischiano di essere inesatte non per difetto (cioè per scarsa considerazione del suo ruolo e delle sue possibilità) ma per eccesso (cioè per troppa considerazione del suo ruolo e delle sue possibilità). È insomma come se noi ci facessimo delle illusioni e pensassimo la Chiesa migliore di quanto non sia, più ricca di belle persone determinate a un'az10ne positiva nella società d_iquante in realtà non ve ne siano. È interessante, credo, riportare il loro ragionamento. Essi dicono che il nostro giudizio più positivo che in passato sulla Chiesa cattolica dipende dalla nostra reazione all'imbarbarimento del paese e del mondo. Che in Italia è provocato, e su questo i pareri non divergono, da una crisi di ideali e di conflitti e dalla omologazione dei suoi abitanti nei consumi culturali e non solo, ma anche dalla inefficienza o incapacità di progetto della sinistra, dalla sua supinità nei confronti del capitale e delle sue forme di produzione del consenso attraverso la manipolazione dei media, dalla mediocrità e miseria di tutto un ceto intellettuale che dei media è a rimorchio, dall'abbandono della scuola al suo vecchiume e alla sua inerte insulsaggine, e in
definitiva dall'assenza di altre agenzie collettive (indicatene, se ne conoscete!), oltre quelle religiose e para-religose, in grado di opporre a questo imbarbarumen to una qualche resistenza, di trasmettere valori e modelli non corrotti e non complici. Di fronte a tutto questo l'unica vassta forza organizzata che è rimasta è dunque la Chiesa, ed essa sola può impedire - penseremmo noi; secondo quanto ci dicono gli amici preti - le ultime escalations di desacralizzazione dell'esistente e di valorizzazione del'egoismo singolo e di gruppo in un'ottica unitaria e mondiale che, con qualche variante, è la stessa dovunque. Di conseguenza, avremmo concluso da tutto questo che non solo bisogna doverosamente prestare alla Chiesa un'adeguata e onesta attenzione, ma stimarla, considerarla e sostenerla quale ultimo baluardo crollato il quale e oltre il quale il disastro potrebbe farsi ancora più ·grande e forse in Italia totale. La nostra sfiducia verso il "laicismo" quale lo intendono, mettiamo, gli Agnelli e gli Scalfari e i D' Alema, e anche la massa alla Berlusconi e affini che si dicono "credenti" e si comportano assai "laicamente", è diventata col tempo così grande da spin~erci a una qualche idealizzaz10ne della Chiesa e del suo sistema di valori, che consideriamo certamente discutibile, ma che comunque conteml?la valori che possono esserci comuni, che ci sono comuni. Questo sarebbe il nostro ragionamento, e in questo c'è certamente del vero. Ma ci sono anche le nostre critiche alla Chiesa che andrebbero messe in conto, e che i nostri amici ben conoscono. Ne indico rapidamente alcune, che segnano differenze culturali e perfino "religiose" molto grandi: la morale "antropocentrica" che tuttavia la regge e le impedisce di apprezzare il posto della natura e degli altri esseri viventi e il rischio della sua fine per azione dell'uomo (e di una idea di progresso che la cultura occidentale è andata affermando dall'industrializzazione a oggi); l'illusione di un ruolo politico "occidentale" che ancora di conseguenza la anima; la vocazione a un potere che si insinua tra gli altri per condizionarli; il richiamo ai poveri senza la pratica della povertà è senza la scelta conseguente di stare davvero e sempre dalla loro parte; i disastrosi ritardi su acuni piani, per esempio quello dei rapporti tra uomo e donna e del ruolo della donna, e in genere dei comportamenti sessuali, che esi.- gono, pur se su antiche basi, una nuova morale e nuovi codici (tanto più che la morale cattolica si fa da sempre "doppia" - tra norma e pratica - quando questo le aggrada); la dimenticanza secolare e burocratica delle prioritarie lezioni evangeliche; l'ossessione autoritaria e verticistica; la difficoltà a mettersi in discussione e operare quando è necessario distinzioni nette sul fronte dei regimi politici in rapporto alla difesa degli oppressi; l'esasperato tatticismo che finisce per negare perfino l'arte della trattativa e del dialogo tra le parti laddove il conflitto si faccia insanabile, e per portare a scegliere troppo spesso la parte più "borghese"; eccetera. Ma ciò dicendo, ci avvertono altri o gli stessi amici, noi non faremmo che accodarci, bensì con la radicalità (troppo facile, se si ferma alle parole) dei non credenti e cioè secondo formazione ed esigenze diverse da quelle dei cattolici e dei credenti, ad alcune delle critiche avviate anche dentro la Chiesa al tempo del Concilio, e cui il Concilio ha cercato di dare 9ualche risposta (salvo poi dimenticarsene); e alcune soltanto, perché il dibattito interno alla Chiesa è stato più ampio e più specifico e muove ovviamente da tutt'altre basi. Ci troviamo così a mescolare immagini positive e negative della Chiesa che, per un verso o per l'altro, alla Chiesa non appartengono; ma proprio questo dovrebbe rendere più l?ro_ficuoun dialo~o. Pe~ commc1are, e senza spmgerc1 su terreni che non saremmo certo in grado di controllare, limitiamoci a considerare la prima pafrte di questo discorso: f uò essere o è la Chiesa que "baluardo" di fronte alla barbarie che consciamente o inconsciamente alcuni di noi hanno creduto o credono possa essere? E in questa domanda che dovrebbe essere evidente sia il nostro atteggiamento di rispetto per ciò che la Chiesa potrebbe fare e solo in parte e in modi a parer nostro confusi va facendo, sia la nostra distanza verso la sua natura burocratico-politica, il suo opportunismo, la sua difficoltà a cogliere pienamente nel possibile disastro del "nuovo" i pochi segni positivi, lasciandosi troppo spesso zavorrare, da un lato, dai suoi pregiudizi "storici" (alcuni dei quali, oltre quelli gravissimi di una compiacenza che ancora è frequente nei confronti dei poteri economici e politici in · molte parti del mondo, continuano a sembrarci insensati: e valga per tutti l'obbligo, o il presunto obbligo, della castità per i preti, e la diffidenza medi oeval e e oscura verso la donna e verso la sua capacità di poter esercitare il sacerdozio) e, dall'altro, lasciandosi trascinare e convincere dalla "mode" imposte dalla cultura dominante e occidentale. E sempre per tornare agli amici preti, davvero essi rischiano di rimanere mosche bianche, né più né meno che in passato, nel mare di costernante mediocrità che sacerdoti e vescovi continuano t~op: po spesso a mostrare, po1che su di loro continua a incombere un potere incerto, per fortuna contraddittorio, ma che vuol far passare per saggezza ciò che è perlopiù opportunismo. Anche nella Chiesa, dunque, si riproJ?one come in tutta la società 11problema di un difficile, faticoso r_apporto tra mmoranza e magg10ranza. ♦ TESTATINE
PIANETA TERRA LA CHIESA IN AFRICA Andrea Berrini Celia Dos Santos Nino Rocca I NUOVI COMPITI Andrea Berrini Paea Wojtila è di nuovo volato in terra d'Africa. Ha toccato tre grandi capitali, Yaoundè, Johannesburg e Nairobi, di tre nazioni tra le meno povere del continente, Cameroun, Sud Africa e Kenya. Che poi un più alto Pil pro capite corrisponda davvero a condizioni più decenti di vita per la gran parte delle _popolazioni di quei paesi, è altra storia. Sta d1 fatto che le folle che il Santo Padre ha incontrato sono le masse urbane delle grandi metropoli. Spesso, persone provenienti da periferie in condiziom di estremo degrado Davanti a queste folle, il Papa ha difeso la causa del contmente Africano. Ha chiesto la remissione di parte del loro debito alle grandi istituzioni finanziarie, ha attaccato le élites dominanti e i governi locali per la loro corruzione e la cinica indifferenza alle condizioni di vita di quelli che altro non sono se non i loro sudditi. Di tutto ciò, molto si è parlato sui nostri media. Meno spazio, invece, è stato accordato a quello che era il motivo sostanziale di questo viaggio: la chiusura del lungo processo di discussione interna alla chiesa cattolica d'Africa che ha visto il suo momento culminante nel Sinodo dei Vescovi per l'Africa tenuto a Ròma nel maggio '94, e la sua definizione finale nell'Esortazione Apostolica "Ecclesia in Africa", . resa pubblica proprio durante questo viaggio. I temi dibattuti al Sinodo sono stati molti. L'asse attorno a cui l'intero processo sinodale è ruotato era la presa d'atto della maturità della Chiesa cattolica in Africa e del magistero locale. "Si esaurisce la prima fase dell'attività missionaria, e ne comincia una nuova, nella .quale la Chiesa d'Africa si fa missionaria essa stessa". · I cattolici africani acquistano fisionomia PIANETATERRA definita. Si presentano sulla scena mondiale come voce autonoma e distinta, capace di proporre temi, individuare soluzioni. Il ruolo crescente del clero africano nelle vicende politiche e sociali dei propri paesi viene esaltato. Ma il tema che a me sembra più interessante è stato quello, sottovalutato dai media, dell'inculturazione. Con questa parola, si intende la necessità eer la Chiesa di rivalutare e assumere entro il proprio corpo dottrinale parte della cultura e della religiosità tradizionale africana. L'Esortazione Apostolica riflette solo in minima parte i fermenti della cattolicità africana su questo tema. E secondo alcuni, lo fa solo in modo strumentale. La battaglia di parte della Chiesa africana per imporre certi temi alle gerarchie vaticane è stata dura, e i risultati sono inferiori alle speranze. Ma un dato è certo: a decenni di distanza dalla negritudine e il panafricanismo, e da quel dibattito sulla specificità culturale del continente africano che accompagnava la conquista dell'indipendenza politica, l'unica tra le grandi istituzioni mondiali che sembra saper mettere al centro della propria riflessione i problemi degli abitantj del continente più povero della terra, non può fare a meno di ancorare la propria riflessione al problema irrisolto dell'identità culturale africana. Non è poco. Vediamo di cosa si tratta. Punto primo. Alcune delle Propositiones votate dai vescovi alla chiusura del Sinodo sono molto nette a proposito di inculturazione. "Proposizione 36: Venerazione degli antenati:...raccomandiamo che la venerazione degli antenati, prendendo le dovute precauzioni per non sminuire la vera adorazione di Dio o minimizzare il ruolo dei santi, sia permessa in apposite cerimonie, autorizzate e proposte dalle autorità competenti della Chiesa. Proposizione 37: Il mondo degli spiriti: è credenza . africana che i buoni spiriti portano fortuna mentre quelli cattivi provocano dolore ... Il Sinodo spera che quanto prima si organizzi un' équ1pe di ricerca multidisciplinare, allo scopo di esaminare questo problema che è comJ?lesso, oscuro e diffuso... C'è necessità di uommi santi e donne sante che attraverso il sacramento e i sacramentali e con le_preghieredi liberazione possano aiutare gli afflitti. Non si trascurino i mezzi moderni acquisiti dalla psicologia e dalla parapsicologia." Queste parole non sono riprese in modo letterale dalla Esortazione Apostolica, che parla in modo generico di commissioni di studio su vari temi inerenti alle religioni tradizionali
africane. Le proposizioni votate al Sinodo rappresentano una via di mezzo tra ciò che la Chiesa ha poi accettato di fare proprio e le posizioni più radicali di tanta parte dei teologi e del clero africano. Sono comunque parole approvate dal più im_portante consesso della cattolicità africana dei tempi moderni. La discussione sollevata in particolar modo dai teologi sottolinea alcuni caratteri f eculiari della religiosità tradizionale africana. I suo carattere olistico, e cioè la compresenza di religioso e profano, di materiale e immateriale in ogni aspetto della vita. L'approccio alla malattia che ne deriva: guarigione intesa come processo mai solo fisico ma sempre anche spintuale. Il legame dell'individuo con la comunità che lo circonda, legame simbolizzato in varie forme tra cui .i?ropriola venerazione degli antenati. Tutto ciò che sino a pochi anni fa veniva bollato come animismo e religiosità primitiva. Lo staff redazionale di "New People", una delle riviste cattoliche più importanti a livello continentale, in ·una lettera aperta al Santo Padre nel 1994, esprimeva i suoi timori di una non compre.µsione della cultura tradizionale africana, citando lo scisma della Chiesa d'Oriente, la Riforma in Europa, e i fallimenti della Chiesa cattolica in Asia come risultati della sua "romanocentricità" e sordità alle culture locali, paventando una similare rottura tra la Chiesa africana e il suo centro. Punto secondo. Gli ultimi due decenni hanno visto in Africa la ripresa e lo sviluppo di quel composito movimento che passa sotto il nome di Chiese Indipendenti Africane. Si tratta del _proliferare di piccole e grandi congregaziom cristiane (c'è chi parla cli settemila diverse Chiese per un totale di trenta milioni di fedelQ, seesso legate al~a_rip:esa letterale d~l testo biblico, portatrici di una teologia profondamente radicata nella tradizione africana, soprattutto per quanto riguarda i rituali di guarigione: al di là delle più discutibili forme di esorcismo, si tratta di rituali che esaltano la protezione che la comunità sa fornire ai singoli fedeli, affrontando tutte quelle "malattie dell'anima" (incubi notturni, insonnie, ulcere, mali di testa, incapacità a procreare, alcolismo) che affliggono in particolar modo le periferie diseerate delle grandi città. Proprio in q_ueste penferie, a volte baraccopoli sterminate, i vessilli delle Chiese indipendenti rappresentano il più im.J?ortantepunto di riferimento per i milioni di individui soli che le abitano, _persone sradicate dalle proprie famiglie e dai pro_pri villaggi di provenienza, e gettate nelle fauci di una modernità che non si sa più se definire incompiuta o al contrario pienamente.realizzata nel degrado delle bidonville. Queste Chiese nascono in modo spontaneo come scissioni dalle grandi Chiese missionarie (sulla falsariga di quanto avveniva all'inizio del secolo, e poi nel secondo dopoguerra con la crescita del movimento di lotta per l'indipendenza). Negli ultimi anni su questo filone si sono in parte purtroppo innestati i Pentecostali (spesso di origine nordamericana e finanziati dall'estero), legati in modo solo esteriore alla tradizione africana. Nonostante il divario di risorse economiche a disposizione degli uni e degli altri, le Chiese Indipendenti reggono la concorrenza dei Pentecostali proprio nelle periferie degradate, dimostrando la invincibile vitalità della cultura tradizionale là dove di questa c'è più bisogno. Nel complesso, l'avanzata dei Pentecostali e delle Chiese Indipendenti, accomunati spesso sotto il dispregiativo appellativo di sètte, preoccupa non poco le grandi Chiese missionarie. Punto terzo. C'è un luogo privile~iato dal quale guardare alla realtà africana di oggi, e questo luogo è lo slum, la periferia degradata in rapida crescita ovunque. Stime ragionevoli prevedono che la baraccopoli sarà la condizione abitativa di un africano su quattro entro il 2010. Bene, questo è un luogo dove non è e non sarà mai possibile inaugurare un discorso di giustizia sociale prescindendo dalla possibilità per chi lo abita di ricostituire un tessuto sociale e culturale, una rete di relazioni umane, un percorso di senso. Mi sembra molto interessante come in tutto il dibattito del Sinodo sia stata sottolineata l'inscindibilità di questi due aspetti. Se per la Chiesa cattolica africana parole come lotta, rivendicazione, diritti dei poveri sono all'ordine del giorno, è chiaro come queste debbano viaggiare di pari passo con altre parole come comunità, valori di convivenza, relazioni fra le persone. Nelle periferie degradate nessuna rivendicazione è possibile prescindendo dalla necessità che i poveri ritrovino dignità e fiducia in se stessi. Ricostruire cultura, dunque. Per quanto riguarda la religione, è indubbio che il linguaggio simbolico che sembra emergere in queste periferie sia quello che si forma nell'mtersezione tra le grandi religioni monoteistiche e la tradizione africana. Non è detto che tutto ciò sia stato raccolto dalla Ecclesia in Africa di Giovanni Paolo II. Anzi: sui temi dell'inculturazione c'è un rinvio a commissioni di studio successive, la parola guarigione non è neppure nominata, le Piccole Comunità Cristiane che secondo molti teologi dovrebbero essere il perno dell'azione sociale della Chiesa (omologhe alle comunità di base della teologia della liberazione latinoamericana) vi hanno pochissimo risalto. Il documento è invece di grande im.J?attonella denuncia dei vari malanni del contmente e nel rilievo accordato alle tematiche economiche, ve- _ranovità che porta la Chiesa a essere forse l'unica istituzione che oggi afferma la sua "opzione preferenziale per i poveri". Anche tra chi si è battuto in questi anni per introdurre i temi della giustizia e dell'inculturazione nel dibattito sinodale, emergono valutazioni contrastanti sulla Ecclesia in Africa, tra chi ne sottolinea le insufficienze, e chi si preoccupa invece di rimarcare le novità, come un punto senza ritorno, una conquista che faccia da base di partenza per le battaglie successive. Resta il fatto che la parola inculturazione entra nel lessico ufficiale della Chiesa d'Africa, e che i valori fondanti della tradizione culturale e religiosa africana trovano nuov~ e imprevedibile vita. ♦ PIANETATERRA
RIFIUTI Celia Dos Santos a cura di Andrea Berrini A Korogocho, una delle baraccopoli di Nairobi, lavora da anni come organizzatrice comunitaria Celia Dos Santos, filippina, che ci ha rilasciato questa intervista. • Che cosa ~ignifica esattamente Organizzazione Comunitaria? Dal punto di vista tecnico, l'Organizzazione Comunitaria è un lavoro di moltiplicazione delle capacità necessarie ad affrontare le difficoltà che le persone si trovano di fronte giorno dopo giorno, e delle conseguenti capacità di analisi dei propri problemi m vista della loro risoluzione. Noi prendiamo come riferimento i problemi quotidiani della comunità nel suo complesso, come possono essere la mancanza di acqua, la sua non potabilità, o l'assenza di vie di scolo adesuate. O la questione dei rifiuti, chi li raccoglie, dove vanno gettati: bisogna pagare qualcuno perché lo faccia, oppure bisogna organizzarsi su base volontaria? Si gettano nel fiume o dove? Sono tutte opzioni che vanno discusse, tutti gli aspetti della vita dei residenti della baraccopoli sono oggetto della riflessione iniziale. Siamo a Korogocho da due anni. L'obbiettivo del nostro intervento è la costruzione di un'organizzazione di residenti precisamente localizzata, che veda crescere di pari passo la percezione che gli abitanti della baraccopoli hanno di sé stessi come comunità. Si tratta di costituire una visione unitaria dei problemi: unità nell'individuazione delle soluzioni, nell'identificazione delle metodologie necessarie. Le domande a cui dare una risposta sono domande semplici. Ad esempio: chi deve intervenire per risolvere una certa questione: saremo noi o il governo? E la mia•OJ?inione è che non tutti, ma alcuni dei problemi vanno affrontati e risolti direttamente dalla gente, altri dalle istituzioni. È necessaria la compresenza di ambedue queste modalità di intervento. In assenza dell'una o dell'altra, le cose non cambiano. Lo stadio iniziale è quello della presa di coscienza. Può sembrare paradossale, ma la discussione ruota attorno ai metodi per portare i residenti alla chiara percezione che questi problemi quotidiani sono i loro, e non quelli di qualcun altro. Non è il governo che subisce queste condizioni: sei tu che ne paghi il prezzo. Non sono i miei figli che moriranno: sono i tuoi. Il problema degli anziani, o delle condizioni sanitarie sono affar tuo, una preoccupazione immediata. Certo, diventano poi anche affare del governo, ma la presa di coscienza PIANETA i'ERRA consiste nel fatto che la gente vede la realtà del problema: riguarda me, ricade su di me. Sono 10 che sento la puzza dei rifiuti, e coscientizzazione vuol proprio dire: io sono stufo di sentire la puzza e quindi cerco delle soluzioni. Questo cambio di mentalità è così difficile? Tu rendi l'idea di persone che hanno invece un 'attitudine completamente differente. Sì, chi viene nella grande città sembra pensare: questa è la città, lei si prenderà cura di me. Oppure: non è cosa mia, non è un posto mio, e quindi io aspetto che sia la città a risolvere i suoi problemi. A questo si aggiunge ben presto la assuefazione alla rinuncia, all'abbandono di ogni speranza. Nei fatti la gente si abitua a non usare più il pensiero. Il nostro metodo tende a svegliarli. A stimolare la domanda: cosa accade attorno a me? Cosa posso fare? I nostri operatori, che noi chiamiamo organizzatori comunitari e sono addestrati in questa metodologia specifica, devono riuscire a parlare almeno con venti persone al giorno nell'area di competenza. Si tratta di integrarsi con loro, conoscere i loro nomi, la loro storia, i loro problemi. Capire cosa pensano rispetto a quei problemi. A questo punto la gente comincia a parlare con loro proprio grazie a questa presenza continua, giornaliera. Questo processo di integrazione dura per tre mesi. Ogni organizzatore comincia a conoscere la sua area e le duemila persone che la abitano. Su questo lavoro l'organizzatore redige un rapporto settimanale. La funzione più importante di questo rapporto è quella di elencare i temi che le persone affrontano più spesso nelle discussioni con l'organizzatore. Tramite il lavoro necessario alla formulazione di questi rapporti si migliorano anche le qualità degli operatori. Aumentano la loro capacità di memorizzazione dei dati ambientali e la loro conoscenza delle persone. Viene anche richiesto loro di scrivere un diario, aumentando così le loro capacità di fissare dati e comunicare per iscritto. Questo vuol dire che il loro addestramento si svolge all'interno di una realtà comumtana m evoluzione: se gmngono a conoscere a fondo la realtà di mille persone, portandone cento a riunioni collettive, influenzandole e dando loro le motivazioni necessarie a trovarsi insieme, questo è indice di un lavoro eccellente. Che ciascuno dei residenti dell'area si convinca di poter dare il proJ?rio contributo: questo è un primo passo psicologicamente indispensabile, e questa esperienza viene ripetuta per molti giorni, orgamzzando molte riunioni. E tra la gente che partecipa, comincia a emergere una leadership. No, selezioniamo i leaders sulla base di più necessità. Prima di tutto, è necessario che il leader abbia una competenza specifica del J?roblema che viene identificato come essenziale. Che ne sia cioè direttamente coinvolto: ad esempio se il problema è quello dei rifiuti il leader deve essere qualcuno che ha parlato della puzza dei rifiuti. In questa prima fase l'organizzatore comunitario comincia a conoscere bene lo spazio in cui lavora, sa come procedere nel suo lavoro di contatto. Sa ad esempio, che il modo migliore di contattare persone è andare a cercare coloro che vivono a fianco dei rifiuti. Chi sarà più interessato al problema del drenaggio di acque reflue se non chi vive a fianco dei mucchi di pattume e subisce gli allagamenti durante le piogge? Se c'è un gruppo di famiglie preoccu-
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