La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 10 - dicembre 1995

RICCHI E POVERI La strada del privato sociale Giulio Marcon Viviamo un'epoca di mutazione genetica della cultura politica democratica, di sinistra. Per acchiappare qualche voto in più tra i moderati si agevola l'approvazione di un decreto sull'immigrazione liberticida. Si capovolgono le situazioni. La deriva culturale è tale che persino Di Pietro nella lettera a Prodi su La Repubblica, ~li chiede - tra gli otto punti sui quali chiede chiarezza - quale sia la sua posizione sulla garanzia del diritto di accoglienza e di integrazione degli extracomunitari. Sul terreno istituzionale si rispolvera un presidenzialismo vacuo. Sulla politica della difesa viene detto che la ridu- ~io~: delle spese militari non e prn un valore, mentre una volta si chiedeva di "svuotare gli arsenali, riempire i granai". Parte della scuola in mano ai privati: l'educazione, affare del mercato. La conquista del centro diventa l'obiettivo di una politica indifferehziata. In campo economico rigore finanziario e privatizzazio- .ni, impresa e modernizzazione sono le parole d'ordine di un nuovo credo, di un "pensiero unico", che lascia alla solidarietà il ruolo residuale della risposta al mancato rispetto dei diritti sociali. Si ragiona sulle compatibilità del sistema, sugli indici di produttività, sul costo del lavoro. Le com.ratibilità ecologiche, gli indici di sviluppo umani, i costi sociali rimangono sullo sfondo. Magari og~etto di studio di antropologi, sociologi e centri studi, di fondazioni più o meno illuminate. Quello che di più innovativo che la cultura solidale, del movimento contadino e operaio, aveva creato in questo secolo, in questo paese, è andato perduto. Qualche hanno fa la Lega delle Cooperative (erano gli anni ottanta, gli anni dell'offensiva craxiana) organizzò un suo congresso che aveva come parola d'ordine: "Dalla solidarietà all'impresa". Le conseguenze di affarismo e corruzione sono emerse con Tangentopoli. Il mutualismo si è anch'esso modernizzato: talvolta come assistenzialismo corporativo o al massimo come un nuovo marchio (democratico) di as-· sicurazioni, polizze vita o antifurto. Nelle organizzazioni sociali ed economiche create dal movimento operaio si è annidato il vulnus privatistico. La competitività ne è una componente. Ormai è già abbastanza datato, eppure sempre attuale, il lavoro del "gruppo di Lisbona" (un gruppo di studiosi e scienziati sociali, dell'economia di diverse paesi del pianeta) sui limiti della competitività. Questo dogma dell'economia di mercato, produce d.iseguaglianze, ma anche diseconomie, spreco di risorse e di ricchezza sociale. Ne produce solo per le ristrette élite dei gruppi economici dominanti. Oggi, la novità (anche per la cultura politica e sociale) in campo economico -sociale viene dall'esperienza delle organizzazioni di base e sociali. Il futuro è (può essere) del Terzo Settore. Cioè, quel complesso mondo di organizzazioni non profit del volontariato, della cooperazione sociale, dell'associazionismo che produce beni sociali (assistenza, servizi, ecc.), fuori dalle logiche del mercato e fuori dai meccanismi della struttura pubblico -statale. Non è un fenomeno solo italiano. Anzi. Se in Italia questa forma di economia sociale rappresenta 1'1,8% del Prodotto Interno Lordo, negli Stati Uniti è oltre il 6%. Ma conta la tendenza. Il futuro - sostiene l'economista americano J eremy Rifkin - promette una prospettiva sociale senza lavoro, nella sua accezione tradizionale. La ristrutturazione tecnologica (reengineering) delle imprese produce maggiore competitività (più proauttività e più profitti) e diminuzione dei posti di lavoro. Infatti l'automazione elimina il bisogno di manodopera, gradualmente, Ìna in modo progressivo e inevitabile. A differenza di altri periodi della storia del capitalismo, questa volta l'innovazione tecnologica non sostituisce ciò che distrugge con la creazione di nuove opportunità in altri settori produttivi. L'industria assorbì gli esuberi dell'agricoltura. Poi, i servizi e il terziario furono il serbatoio per la rivoluzione tecnologica fordista. Oggi, la nuova rivoluzione informatica e dell'automazione non crea altre consistenti opportunità. Il "settore della conoscenza" (informatica, comunicazioni, ecc.) non. sembra in grado di rappresentare un'alternativa valida. La prospettiva di una crescente disoccupazione è sempre più presente. Il mercato, la competitività, la produttività girano sempre più su se stesse e sulle centrali di potere transnazionali dell'economia e della finanza: l'impatto umano è una variabile trascurabile. La base umana della produzione si restringe. Due - sostiene ancora Rifkin nel suo libro La fine del lavoro - sono le possibili.,.soluzioni: la riduzione dell'orario di lavoro (e la sua condivisione tra occupati e non occupati) e il sostegno alla creazione di lavori socialmente utili nel Terzo Settore. Attraverso incentivi, sostegni, politiche di agevolazioni, utilizzando mezzi finanziari già esistenti (come i Fondi Pensione: avviene già negli Stati Uniti. In Italia, ancora no) e che oggi producono solo rendita o speculazione finanziaria. Senza contare i risparmi che questi produrrebbero: in termini di servizi e di politiche sociali. Non si tratta di stampelle al Welfare State da tempo in crisi, ma di qualcosa di diverso: un modello autogestionario e comunitario di risposta ai bisogni sociali, che fa leva su motivazioni e aspettative diverse da quelle che governano il .lavoro nel settore pubblico e quello privato. In alcuni casi si tratta di un semplice spostamento di risorse. Un esempio è quello dell'industria bellica. Ogni anno lo Stato le

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