La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 10 - dicembre 1995

amati "Maestri e compagni" 1 ): basta saggiare la ragionevolezza cieca che ha spinto Bobbio e che ci spinge tutti al rifiuto di una soluzione già da tempo a disposizione. Perché mai si è scelto di ricacciare nel non-luogo e nel nontemro dell'utopia quel liberalsocialismo che Cap1tini non invocava .come oggetto miracoloso o velleitario, ma rintracciava come un metro e un metodo, o come si diceva ieri"come un 'progetto' politico, questo sì tutto di Sinistra. "Occorre creare condizioni non soltanto politiche ma anche economico-sociali che consentano di fare della libertà una realtà concreta per tutti" 2 , altrimenti che libertà è? Capitini così non rivendicava una magica fusione di valori divergenti, ma spiegava come lo sviluppo armonico e completo del princìpio di libertà imponesse o meglio incontrasse necessariamente l'uguaglianza, realizzando un socialismo che non gli appariva come il contrario ma come l'approfondimento estremo del liberalismo. Certo, di un liberalismo "radicale", quando radicale voleva dire anche "di tutti" e spingeva il liberalismo a trascendere naturalmente l'individuo, che è il suo eterno motore ma non la sua definitiva prigione. Un socialismo della libertà, perché mai sarebbe utopico? Perché, come ormai si sa fin troppo bene, è fuori dalla storia? E forse in questo estrèmo, paradossale rispetto della storia il fondamento di una democrazia senza più divenire. Quando si confonde la realtà con la storia, soltanto l'analisi e non più il progetto diventa praticabile, e tutti coloro che sfidano o, come Capitini, detestano la storia non sono più riconosciuti nemmeno come sognatori. Per questo, Capitini non è affatto «attuale». Così ci spieghiamo meglio il nostro stesso sconcerto davanti ai suoi scritti e ai suoi pensieri, intraducibili senza l'accettazione di una non più accertabile tensione. Così ci perdoniamo di aver voluto tante volte anche noi evitare il confronto con la sua ferma incompatibilità, per abusare in cambio del conforto (e del fascino) della sua - altrettanto deliberata - ingenuità. Ma per comprendere l'apertura in cui consiste la sua posizione politica e morale occorre per davvero uscire dalla gabbia della cultura «attuale» e dalle sottili dittature del dato reale - o 'storico' - e della sua statica ideologia. · Capitini può allora rivelarsi una fonte di salutare e totale relativizzazione, quando finalmente si conosce come la sua distanza dalla realtà sia fondata su un col).sapevolee ostinato rifiuto del realismo: rifiuto che non è il prodotto di una ignoranza sociologica ma soltanto di una ingenua, anzi «primitiva» resistenza religiosa a ciò che viene dato e ritenuto reale e dunque - chissà perché - immutabile. Il nucleo della totale inattualità di Capitini è - oggi perfino più di ieri - in quella critica, in quella opposizione contro la realtà che è divenuta felicemente incomprensibile: la critica, la provocazione, il dissenso è oggi concepibile soltanto all'interno del dato, e per di più secondo le regole del gioco. Invece, per Capitini, il dissenso sociale e culturale ha una origine davvero radicale. Prima ancora della società è la realtà (intesa e definita come 'mondo') che va presa in esame e - senza essere mai negata o trasc~sa - deve essere sempre giudicata dalla coscienza. Il radicalismo capitiniano è dunque dato dal confronto anzi dallo scontro fra Realtà e Coscienza. Una coscienza cpe viene prima e che sta al di sopra della realtà, "di questa realtà pervasa di Male", nelta quale si è collocati ma contro la quale è per così dire naturale il rifiuto. Anzi, la "non accettazione". Per Capitini, "il mondo così com'è non è accettabile". · In fondo, sta tutta in questa frase la confluenza, ma non la confusione, fra ingenuità e incompatibilità. Radicali. . "Quando incontro una persona, e anche un semplice animale, non posso ammettere che poi quell'essere vivente se ne vada nel nulla, muoia e si spenga, prima o poi, come una fiamma. Mi vergogno a dire che la realtà è {atta così, ma io non accetto. E se guardo meglio, trovo · anche altre ragioni per non accettare la realtà così com'è ora, perché non posso approvare che la bestia più grande divori la bestia più piccola, che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realtà così non merita di durare. È una realtà provvisoria, insufficiente, ed io mi apro a una sua trasformazione profonda, ad una sua liberazione dal male nelle f orme del peccato, del dolore, della morte. Questa è l'apertura religiosa fondamentale" 3 Nell'apertura, dunque, la coscienza sembra affermarsi come il contrario della consapevolezza. La cosa non ci deve stupire: in inglese, ad esempio, ci sono due rarole diverse per indicare ciò che noi mescoliamo nel termine 'coscienza', conscience e consciousness, così che soltanto la prima può essere usata per indicare una primitiva e insopprimibile essenzialità, un sapere o un sentire legato-all'essere e in qualche modo separato dal prodotto di una benché minima acculturazione. Coscienza può allora indicare il fondamento ma non il frutto della cultura, un livello essenziale a cui si può fare riferimento e, se del caso, ritorno. Per questo la 'coscienza' è chiamat_ain causa e rivendicata in vita dall'esperienza morale o religiosa: la sua profondità garantisce una zona dell'intimità che si può considerare per così dire 'pura', nel senso di intoccata e, se si vuole e si crede, perfino intoccabile dalla successiva esperienza della consapevolezza. Capitini non inventa nulla; soltanto sceglie la coscienza e assolutizza la sua virtù tramutandola in funzione. La coscienza allora deve restare attiva perché ha lo scopo di orporsi alla consapevolezza, perché deve contmuare ad affermare e difendere "un fare e un sarere" diverso, altro e alto, rispetto alle operaz10ni e alle informazioni che c1servono nella vita quotidiana. Tutto ciò di cui si è consapevoli è, al massimo, appena la.Realtà. Quello di cui si deve rimanere coscienti è il nostro, radicato e radicale, rifiuto. Certo è che in tempi come questi, in cui le encicliche del Papa sul valore della vita vengono da tutti - credenti e non credenti - tradotte in scelte demografiche e in disposizioni sanitarie, è difficile riaprire un varco alla definizione o alla funzione 'religiosa' della coscienza. Si può più facilmente constatare come - in tempi in cui la realtà non solo è onnivora del passato e del presente ma si dispone ad impegnare e determinare in modo univoco anche il futuro - accettare il reale sia divenuta, in coscienza, la più forte e la più intima delle regole. Può essere chiaro, adesso, che, se si vuole lnlQJ:fJ.

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