La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 8 - ottobre 1995

senso della scuola. Oggi non si può più pensarla senza pensarla con il senso della differenza e questo ne muta la lettura complessiva. Per esempio, possiamo davvero parlare di scuola allo sfascio se teniamo veramente conto che la parte femminile (che è più della metà) vi ha riposto e vi ripone ancora delle aspettative? Il pensiero va subito a un'immagine più mitigata, più positiva della scuola e del suo funzionamento. È un luogo dove -ancora c'è chi va a cercarvi qualcosa, dove ancora c'è chi trova qualc?,~aper _sé.Ciò non le toglie al~un~"mali oscun d, cm questo testo vuole rag10nare, ma a partire da una scuola che già funziona - meglio le elementari e le medie, pe~gio le superiori - in Italia. La grande insocld,sfazione che vi circola (per il contratto, per la nuova scheda) è sintomo di una più profonda alienazione che chiede pensiero e pratiche nuove (orgoglio docente è stata la parola d'ordine delle occupazioni di siugno), per uscire dalla morsa micidiale tecmcismo/ gerarchia. Recentemente hà riconosciuto la centralità della differenza a scuola anche un ispettore ministeriale, Raffaele Iosa, che ha ragionato in quest'ottica sui dati ormai noti per cui su 10 che non ottengono la promozione 8 sono maschi, così u~almente per chi assume sostanze stupefacenti ecc.: a scuola (e nella società) c'è un più forte disagio maschile2. Iosa, però, trova spiegazione nel sesso opposto: attribuisce l'insuccesso maschile al fatto che ci sono troppe donne che insegnano; inevitabilmente arriva a proporre quote riservate per i maschi nei concorsi per l'insegnamento. Comunque coglie un aspetto vero: gli uomini non scelgono più di insegnare. Più precisamente nella scuola di base, se ci sono, in prevalenza sono direttori o presidi o psicopedagogisti, o è un ripiego, mentre la loro presenza aumenta alle supenori ed è massiccia all'università. Solo una minoranza lo fa con passione e tra essi ci sono voci autorevoli per ciò che dicono e scrivono, che rischiano di avere poca presa sul cambiamento della scuola se rimangono inconsapevoli della differenza. Quanto, per esempio, la disaffezione maschile all'insegnamento è ~onnessa con la perdita di riconoscimento sociale per la nostra professione e con il fatto che attualmente nella scuola il lavoro di meno valore è considerato proprio quello a contatto con la scolaresca, mentre il prestigio e l'incentivazione economica si rivolgono a quello organizzativo e manageriale? Da parte mia dico che al fondo si mostra la contraddizione di un luogo pensato all'origine da maschi e per maschi e che oggi appare in discussione e da ridefinire anche perché messo alla prova da una presenza femminile ragionante: cosa regge dell'impianto di partenza? Cosa va radicalmente rivisto? Potere versus civiltà I pensatori più lucidi della scuola italiana ne hanno sempre svelato l'impianto di potere. A scuola la normalità è che tutto è normato: le regole l'organizzano come un sistema gerarchico che risponde a criteri di controllo e sorveglianza3. Foucault, che pure dimostra come storicamente una struttura scolastica siffatta derivi da quella militare, non arriva a dirsi (e a dirci) quanto questo abbia a che fare con la differenza maschile. Ci dice però, con la microfisica r o n del potere, che è un potere che si esercita attraverso le procedure, come l'addestramento tramite esercizi progressivi (impianto che ci pare così ovvio a scuola!). Il sapere ci rimane intrappolato dentro: tutto ciò che è vivo da tutte e due le parti, la passione, la curiosità, l'interesse culturale cecle il posto a conformismo, controllo, noia. La ligua stessa ce lo segnala nel doppio significato della parola disciplina che dice come a scuola il sapere disciplinare è anche disciplinato. Ciò che si perde è il piacere (o forse c'è una forma di piacere solo maschile nel tener assieme potere e sapere?). Le emozioni, vitali e praticabili, o anche intense e negative, legate all'avventura della conoscenza vengono censurate e non trovano modo di elaborarsi civilmente. Escono dalla quotidianità dell'esperienza giovanile per rimanere come bisogno di emozioni forti che "si scaricano" al sabato sera, e all'insegnante, oltre al sogno di un'ormai mitica età pensionabile, rimane routine, de~ ~r~ssione e un profondo isolamento mentale e fisico. Di questo binomio potere/sapere si comincia anche a vedere, in virtù di tutto il lavoro di ricerca femminista 'di questi anni, un'altra conseguenza non da poco: nelle scuole insegniamo una cultura costruita a partire dalla cancellazione del femminile. Insegnare, per esempio che la nostra radice culturale sia linearmente la "luminosa" cultura greco-latina, saltando il "buio" medioevo pieno di donne, di ,eo,eoli venuti da fuori, di mescolanza e di meticciato linguistico, è frutto della costruzione simbolica di un mondo senza donne4 • Questa questione mette in discussione gli stessi criteri epistemologici delle discipline, operazione d, non seconclaria importanza se si vuole a scuola insegnare e imparare a leggere il nostro pre!iente. Questione anche urgente ,eerché della crisi dell'insegnamento della stona si ha ormai una percezione diffusa che rischia di accreditare come spiegazione plausibile, per es. una presunta egemonia gramsciana ne, libri di testo. In questa struttura scolastica l'autorità che all'insegnante viene per quello che sa, per il rapporto libero che mtrattiene con il sapere, per la fiducia che ispira, non si disgiunge mai clal potere di controllo e un siffatto ruolo .docente, soprattutto per le insegnanti, ma anche per gli insegnanti, risulta schiacciante, tanto che spesso non si prendono neppure la libertà prevista dalla normativa. La relazione pedagogica è strutturata in senso gerarchico, è simbolicamente intesa come la figura adulta che si prefigura nella mente tutto lo sviluppo della figura più piccola, ne- ~ando all'altro termine pensiero ed esistenza m sé. Il potere passa attraverso il come si parla, attraverso le stesse strategie comunicativeS L'ascolto è quasi fuori $ioco, è superfluo perché rimane all'interno d, un percorso già fissato. Resta fuori l'imprevisto, lo scambio che ri mette in moto l'intelligenza e da cui anche l'insegnante impara qualcosa, il parlarsi come ricerca di mediazione fer l'agire comune (cum agere = comunicare), i rispetto. Resta fuori in buona sostanza la relazione. che è una pratica e non un contenuto psicolo gico, è uno stare, con apertura vuota, allo squilibrio dato dal fatto materiale che quasi ma due esseri umani sono uguali. Stare a scuola invece spesso si riduce a ur corpo a corpo estenuante tra l'insegnante eh,

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