La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 4 - giugno 1995

UN BUON USO DEL PASSATO FrancescoBenigno Francesco Benigno è docente di Storia contemporanea all'Università di Teramo. Dirige l'Imes (Istituto meridionale di storia e scienze sociali). ♦ A cosa serve, a cosa.potrebbe servire la storia a scuola? la prima risposta che viene in mente ad uno come me, che di "mestiere" fa lo storico è che la storia serve a trovare una posizione alle cose, a situarle in .un contesto, a dare al mondo un orientamento. Vorrei spiegare questo concetto partendo dall'.osservazione di Onofri che la storia a scuola annoia profondamente la maggioranza degli studenti e probabilmente anche - aggiungo io - una parte non piccola dei docenti. Gli uni e gli altri trovano giustamente poco senso in un accumulo eterogeneo di materiali, in un affastellarsi di fatti, non:ii, 1at~. A Onofr_i'poi questa congerie di 0021001 sul passato ncorda le fredde teche di un museo, l'esposizione smorta di un supermercato della memoria. Di fronte alla stanca accumulazione scolastica di informazioni su società di ieri ed alla rituale mostra di oggetti più o meno significativi di un tempo trascorso Onofri prova la stessa irritazione. E infatti a ben vedere c'è qualcosa che ~~comuna profondamente scuola e museo, pm profondament'e che il loro modo triste di avvicinare. il passato: tanto l'una quanto l'altro sono parte·di quello che una volta fu un progetto preciso, frutto di un linguaggio comune e di un insieme di valori condivisi: il progetto della costruzione della nazione ovvero, come si diceva una volta, il tentativo, una volta raggiunta l'unificazione nazionale, di fare gli italiani. Anche in Italia cioè, come in tutta l'Europa dell'Ottocento, la scuola ed il museo hanno accompagnato l'affermazione dello stato-nazione e anche in Italia, l'unificazione del paese è stata avviata attraverso un processo di trattamento della memoria ovvero di invenzione della tradizione che ha avuto nella retorica nazionale (monumenti, culto laico dei caduti ma anche musei) e in una certa concezione dell'educazione scolastica due pilastri fondamentali. Una prima conclusione è dunque che la storia è anzitutto un metodo per dare profondità al campo di osservazione e che essa serve perciò, a scuola e fuori dalla scuola, non a dare risposte semplificate a domande difficili ma anzitutto a porre le domande in contesto e perciò a rendere il mondo in tutta la sua complessità. A ca{'ire ad esempio perché l'educazione civica sia stata, tradizionalmente, associata alla storia e perché a quest'ultima venisse, non casualmente, affidata proprio la creazione del "senso dello stato e della convivenza civiSQlQ1.4 le". Interrogarsi sull'utilità della storia a scuola vale a dire, in altre parole, interrogarsi sul significato di una tradizione. Sulla sua servibilità ai fini della riproduzione di una comunità nazionale. Sulla sua crisi e sulle ragioni che l'hanno motivata. Vi può essere naturalmente chi ritenga che sia meglio fare a meno di qualunque discorso sulla nazione e che senso dello stato ed educazione civica possano meglio fondarsi su valori universalistici, svincolati dai legami con questa o quella tradizione culturale. Tale posizione, che potremmo definire "illuminista", stride tuttavia col riemergere drammatico di vecchi . 1 nazionalismi e col sorgere di nuove dimensioni di conflitto a base etnoterritoriale. Si tratta non solo delle spinte nazionalistiche che han- . no sconvoko tragicamente lo scenario del vecchio continente, ma anche - per restare entro i confini di quello che usa chiamare "il paese" - delle rivendicazioni di stampo regionalista che hanno minacciato l'integrità della compagine nazionale. E si badi che nel linguaggio degli · uni e degli altri, nazionalismi.e regionalismi, è facile ritrovare un uso forte della storia, urr passato niente affatto pallido ed esangue, ma invece carico delle proiezioni dell'oggi. Di speranze e misfatti, scommesse e delusioni, conflitti, rese, vittorie. · Da qui una seconda conclusione: la storia a scuola serve perché l'utilizzo del passato non è affatto monopolio dell'istituzione scolastica ma esso accompagna qualunque formazione di identità sociale. Il passato serve a costruire sensi di appartenenza, a distinguerci dall'altro, a spiegare e giustificare cosa ci fa diversi. Per questo un qualche discorso sul passato è una componen!e ineludibile di ogni discorso su noi stessi. E parte dell'invenzione di ogni nostro noi. È compito della scuola, ma .anche dell'università, aiutare ad evitare un uso "selvaggio" di questo processo continuo di creazione e reinvenzione, circoscrivendo un sapere condiviso e affidandone il controllo ad una comunità preposta, quella degli storici. . Ma anche qualora volessimo prescindere da tutto questo, dalla funzione critica che l'insegnamento della storia può svolgere, va ricordato che comunque nessuno dei concetti fondamentali che ispirano la nostra società, nessuno dei principi che guidano la vita folitica, nessuna delle regole che organizzano i sistema economico, nessuna delle tradizioni che orientano i comportamenti collettivi può essere compresa (e dunque neppure spiegata e insegnata) senza un'adeguata valutazione della dimensione diacronica e processuale da cui si è originata ed entro cui ha preso corpo. A partire da queste considerazioni si può tornare allora a considerare in modo diverso il senso di distacco che producono i testi di sto- . ria per la scuola, la loro apparente inutilità rispetto alla vita quotidiana degli studenti, il loro risultare un esercizio astratto di erudizione nozionistica. Come in una battuta del recente film di Daniele Luchetti, il Cavour che conoscono i nostri ragazzi, è un perso~aggio lontano che sta in qualche parte del manuale di storia, tra pagina 89 e pagina 94. Da cosa dipende questo senso di estraneità? In parte, ma solo in parte, dal generale mutamento del ruolo sociale della storia, dalla perdita della sua importanza come momento centrale del ruolo della cultura nella vita associata. La crescita di nuovi

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