La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 2 - marzo 1995

Bi duzione di tecnologie e organizzazioru innovative e premessa fondamentale alla crescita di competitività del sistema, potrà essere riassorbita (previa attuazione di programmi di formazione e di riqualificazione) grazie all'acquisizione di nuove quote di mercato e all'espansione dei settori produttivi indotta dall'applicazione delle nuove tecnologie. Osservando a distanza di alcuni anni i risultati finali delle ultime fasi di ristrutturazione, non pare però che questa scommessa sia stata vinta dal nostro sistema economico, né da altri sistemi come quello francese o quello inglese. Si può certo obiettare che queste considerazioni valgono in modo quasi esclusivo per il settore industriale, in cui i cambiamenti nei processi produttivi tendono a ridimensionare il ruolo della grande impresa, tradizionale luogo di produzione ad elevato impiego di lavoro. E in effetti uno dei fenomeni più importanti verificatosi negli ultimi decenni, parallelo alla riduzione del peso occupazionale nel settore industriale, è stata la crescita del settore terziario, dove attualmente oltre il 60% degli occupati trova destinazione. Ci sarebbe stato dunque un travaso di addetti dal secondo al terzo settore, guidato dalla crescente importanza che la fornitura di servizi alla collettività e al sistema industriale stesso ha assunto nei processi di modernizzazione dei sistemi economici e sociali. Questo aspetto confermerebbe in parte la tesi della creazione di nuove aree produttive, sostenute da nuove tipologie di domanda di beni e di servizi, nate nella sfera del consumo individuale e collettivo (e indotte anche dalla diffusione delle nuove tecnologie, lo stesso tipo di tecnologie introdotte nei processi produttivi). Il problema è che ora anche il settore terziario sembra entrato in una fase di ristrutturazione (come era del resto prevedibile, visto che al pari di ogni settore produttivo, anche il terziario - sia esso rappresentato dal credito, dalle assicurazioni, dal commercio, o a maggior ragione dalla pubblica amministrazione - tende automaticamente a razionalizzare la propria struttura dei costi e ad economizzare l'utilizzo dei propri fattori produttivi), rendendo ancor più ristretta l'area di destinazione dei nuovi ingressi nell'offerta di lavoro e dei lavoratori fuoriusciti da altri settori produttivi. Quali possono essere allora le vie d'uscita da un "processo di produzione" di disoccupazione (vista sia dal lato dell'espulsione, che da quello ~ell'esclusione che riguarda in particolare i giovani) che ingabbia drammaticamente l'organizzazione dei sistemi economici e sociali di molti paesi? Le ricette fin qui sperimentate si sono spesso basate sulla formazione e la riqualificazione professionale degli addetti. Strumenti più direttamente collegati alla gestione delle fasi di ristrutturazione in impresa riguardano il sistema di integrazione salariale, che produce una riduzione temporanea dell'utilizzo del personale con garanzia di salario. A livello locale si sono anche realizzati progetti di creazione di nuova imprenditorialità (in Italia sono stati particolarmente rivolti ai giovani del Sud) con effet-. ti indotti sia sulla componente indipendente dell'occupazione che su quella dipendente. Gli effetti finali di questi strumenti nel nostro Paese sono stati senz'altro positivi, anche se riflettono una logica di tamponamento delle fasi di crisi e in termini di spesa costituiscono certo un impegno non indifferente da parte dello Stato. Af paiono comunque inadeguati a contrastare ne lungo Feriodo la tendenza generale di ~iduzione del 'impiego di lavoro nelle economie avanzate. · Negli ultimi tempi la riflessione sulla problematica occupazionale, affrontata secondo logiche di globale organizzazione dei sistemi economici avanzati, sembra essersi concentrata su tre grandi temi: 1. la flessibilità e la mobilità del lavoro, il cui obiettivo è rappresentato dall'aumento dell'efficacia dell'incontro fra domanda e offerta di lavoro (sia in entrata che in uscita dall'occupazione e anche in relazione ad una maggiore efficienza nella distribuzione territoriale del fattore lavoro); 2. la riduzione generalizzata dell'orario di lavoro, spesso sinte1:izzata nella formula "lavorare meno per lavorare tutti" e rispondente inoltre ad una logica di riorganizzazione globale del tempo di lavoro e di nuova razionalizzazione complessiva dei sistemi economici e sociali; 3. un rinnovato impegno dei governi nel finanziamento di grandi progetti di infrastrutturazione dei Paesi (le grandi reti transeuropee del Piano Delors o le autostrade informatiche negli Stati Uniti) e dunque un'attivazione della domanda pubblica in una logica di tipo keynesiano, finalizzata alla modernizzazione dei sistemi di comunicazione fra stati e degli apparati produttivi nazionali. Su questi temi si attende ora una risposta da parte dei diversi livelli di decisione politica, sia sul piano nazionale che sul piano europeo e, per quanto possibile, anche all'interno dei paesi che compongono il mondo in- .12 Durata media della ricerca di lavoro (mesi) 28 26 24 22 20 M e 18 s 16 14 12 10 8 6 ;:: N ~ ... ~ ~ ~ ~ ; ~ ~ ~ ~ ~ i i , ~ I ~ I I ~ ~ ~ ~ i Anni Fonte: lstat OMERI dGinoBianco

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