La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 2 - marzo 1995

TEATRO I SOMMERSI E I SALVATI Franco Ruffini e Ferdinando Taviani Insegnanti universitari di storia del teatro, gli autori sono tra i teorici e i sostenitori di un teatro "parallelo" di ricerca, sperimentazione, utopia. Questo testo è stato proposto come base di discussione per il convegno "I sommersi e i salvati", organizzato da "Teatro e Storia" e dalla cattedra di storia del Teatro e dello Spettacolo della Terza Università di Roma in occasionedella tournée autogestita di "Kaosmos" e dei trent'anni dell'Odin Teatret. ♦ O. Dall'ambiente di studiosi e artisti legato alla rivista "Teatro e Storia" trae origine la presenza autogestita a Roma dell'Odin Teatret come una protesta contro le condizioni nelle quali opera il teatro in Italia, e in vista delle prospettive ancor più amare nell'immediato futuro. Au- . spichiamo che intorno a tali condizioni e prospettive si apra la riflessione nel convegno "I sommersi e i salvati". A tale scopo presentiamo questo testo. 0.1. Il nostro testo ha un grave limite: l'esposizione dei mali prevale sulle proposte operative. Queste ultime suggeriranno un atteggiamento piuttosto che un programma. Dato che i programmi davvero efficaci sono quelli che ciascuno elabora per suo conto, sulla base delle proprie competenze, delle proprie forze e idiosincrasie. 1. Alla regola del caos di Stato nei confronti del teatro, dell'incompetenza dei partiti, delle razionalizzazioni ministeriali irrazionali, della frode e dell'ipocrisia culturale, sta per sostituirsi quella d'un liberismo che dietro la prete~a razionalità del mercato, nasconde visioni culturalmente distruttive e politicamente illiberali. 1.1. L'esercizio dell'arte teatrale - quella che c'è e quella che realisticamente poBi voc,~caGinoBianco treb be esserci - non può reggersi economicamente sui propri diretti guadagni. N essuno d'altra parte sostiene apertamente che vada tolta di mezzo o relegata al dilettantismo e al volontarismo. Essendo quindi un'attività economicamente in perdita quasi per definizione, l'indirizzo liberistico svela indirettamente la volontà di drastiche decimazioni che salverebbero solo il teatro maggioritario. Sarebbe un esempio di parodia della democrazia: non il rispetto delle minoranze, ma la dittatura della maggioranza. 2. In Italia il teatro è organizzato in maniera corrotta. Questa affermazione non è moralismo. Moralistico sarebbe vedere la corruzione morale come causa della corruzione culturale. Non è moralistico, invece, rendersi conto che la corruzione culturale ha fra le sue conseguenze anche quella dei comportamenti, delle clientele, delle scelte politiche e amministrative che favoriscono gli scambi sottobanco o la concussione. 2.1. Il sistema italiano delle sovvenzioni, con le gerarchie di valori che implicitamente ed esplicitamente comporta, erige a norma un modo di produrre teatro che va contro la sua natura. Lascia credere che nella messinscena del repertorio letterario drammatico consista la principale funzione del teatro. Lascia credere che sia "normale" indurre gli artisti a comporre spettacoli caso per caso, senza continuità d' ensembles. Li costringe a realizzare opere che non possono essere la fase di un lento pro~ cesso che dura nel tempo e che quindi si fonda in un sapere collettivo. Lascia credere che la cultura teatrale cresca soprattutto di novità in novità. Induce a credere che il teatro ordinario e in esso l'ambiente della "prime" e delle sedi prestigiose, delle costose rassegne, dei premiati nelle commissioni ministeriali costituisca il teatro artisticamente e culturalmente "pri- . ,, mano. 2.2. Malgrado la colpa e l'irrazionalità di tale sistema, si realizzano tra i teatri ordinari spettacoli di valore e di profondo sapere scenico. Ciò non toglie che la regola sia lo svilimento dell'arte; lo spaccio accademico dell'ignoranza; l'ipocrisia culturale. Lo "spaccio accademico dell'ignoranza" non avviene soltanto nelle università, ma anche nella grande quantità delle scuole che dovrebbero trasmettere le basi del mestiere dell'attore teatrale, di quel mestiere, cioè, che si fonda sull'azione, viva e immediata, di un attore di fronte ai suoi spettatori. È inaccettabile che, nella grande maggioranza dei casi, le istituzioni sovvenzionate per trasmettere le basi _della professione privino gli allievi di un ampio ventaglio di scelte, e li defraudino del diritto a un solido sapere scenico e alla conoscenza delle sue tradizioni. Anche nel campo artistico, non si dà libertà senza una reale possibilità di scelta tra concrete alternative dettagliate ed esplorate. 2.2.1. E deprimente che i diversi saperi inerenti all' artigianato teatrale vengano banalizzati e ignorati. Vi è una logica in questo: attrici e attori sono resi funzionali allo spettacolo egemone, cinematografico e televisivo. 2.3. L'ipocrisia culturale è legata al sistema generalizzato delle sovvenzioni, il cui presupposto è un principio giusto: il riconoscimento che il teatro può essere un bene culturale. Questo giusto presu_rposto genera conseguenze distorte: l'esigenza di sbandierare pretesi valori culturali per ottenere il denaro necessario a fare spettacoli. La cultura del teatro viene così appiattita su criteri scolastici; la solennità compensa l'inadeguatezza degli spettacoli; il peso culturale obiettivo delle diverse produzioni viene identificato con l'interesse che esse suscitano presso i media; 2.4. Così noi gente di teatro, sia uomini di spettacolo che uomini di libro, uno dopo l'altro, siamo portati a farci sudditi del regno dell'irrealtà.

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