La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 1 - febbraio 1995

dere alle reti di relazione. ~unto è a capo. Resta - è vero - il problema delle regole. Bene: avremo fatto molto se ci saremo dati principi e strumenti per assicurare modalità democratiche e garantiste di accesso e di utilizzazione delle reti. ~!ANDANTE.La tua osservazione è preziosa: la città vive nella sfera delle relazioni e se non viene fondata la città delle reti e nelle reti è difficile che possa sopravvivere la stessa città dei luoghi fisici. Tuttavia non c'è un prima e un dopo; e in ogni caso credo che abitare sia un f~tto più comples·so c~e praticare reti di relazioru. SCIENZIATO. E sarebbe? VIANDANTE. È un disporsi nel mondo e un disporre il mondo all'ospitalità. SCIENZIATO. Ma questo può riguardare anche il modo di praticare la comunicazione. .. C'è una città da fondare anche nella sfera telematica e virtuale. VIANDANTE.Hai ragione, ma non basta. Credo ci sia anche un problema di difesa dalla ·pervasività delle reti e dalla temporalità che esse impongono. Occorre ristabilire nuclei di quiete e un equilibrio fra interno ed esterno. Occorre ricostruire l'interiorità ospitale come condizione per l'abitabilità degli spazi sia privati che pubblici. Luoghi dove il tempo possa essere attratto dalla luce di una presenza, dall'atmosfera di un convivio, dalla sorpresa di un incontro. E questo ripropone il tema delle ragioni dei corpi: di come dar vita a spazi, o se vuoi a sp~zi-tempo, ad~guati ad accoglierli e a interloquire con loro. SCIENZIATO.Ammettiamo per un momento che ciò che tu poni abbia dignità di problema. In tal caso dovrebbe essere possibile nominare e classificare le condizioni e le regole che assicurano una tale adeguatezza. Dovrebbe in sostanza essere possibile costituire modelli çhe consentano di ripetere l'esperimento città, di riprodurlo ogni volta che si voglia. VIANDANTE.Condizioni e regole sono sicuramente rilevabili a posteriori. Valenti studiosi lo hanno fatto, anche se pochissimi sono andati oltre la classificazione tipologica. I più scambiano l'ordine con la regolarità geometrica e con l'uniformità. Sono insensibili o comunque disattenti verso le potenzialità dell'ordine dialogico; un ordine cioè costruito sull'interazione delle diversità e sulla valorizzazione delle singolarità. SCIENZIATO.Ma la singolarità può portare all'arbitrio e all'individualismo senza regole. Il Postmoderno insegna. VIANDANTE.La singolarità cui mi riferivo comporta una conoscenza amorosa e insieme il riconoscimento della diversità come valore e come risorsa: dunque apertura e tolleranza come fondamenti dell'urbanità. SCIENZIATO. Ma in questo modo tutto diventa labile. Se fare città è un'impresa collettiva, le regole devono essere certe, non formule vaghe. VIANDANTE.Più che una definizione a priori, la fondazione dell'urbano richiede una tensione individuale e collettiva verso la realizzazione della propria umanità. Le esperienze del passato possono fare da bussola se opportunamente ascoltate. Ma non ci sono ferrate che ci possono agevolare: la specificità dei soggetti e delle condizioni obbliga a un percorso sempre nuovo. È lo stesso che per un bel quadro: non basta BibliotecaGinoBianco ILROMANZODELLAGITTA' Stefano Benni A dire che il romanzo è morto e le città sono invivibili, si fa sempre bella figura . .Pertanto ciò che viene scritto sulla letteratura contemporanea somiglia singolarmente a ciò che si legge sulla complessità urbana. Una casta di annoiati e chiacchieroni, elzevirologi e dibattisti televisivi, non perde occasioneper dire che nei romanzi, come nelle città, mancano i personaggi, non c'è coesione, senso, né direzione, non si rispettano i monumenti, si parla una lingua artefatta e preconfezionata, e in fin dei conti non c'è nulla di interessante da vedere,· perché i romanzi. non descrivono la realtà d'oggi e le città non fanno alcuno sforzo per migliorare. Il fatto che esistano decine di libri che parlano della scena sociale contemporanea e decine di gruppi attivissimi contro il degrado in ogni città, e che la gente bene o male cerchi di sopravviverci non interessa questi indignati con tutti i confort, che sembrano guardare romanzi e città da finestre bucoliche, o nei trasferimenti da stazione a stazione, transitando in taxi, beandosi delle stilizzazioni dei dibattiti, senza mai scendere a guardare, a studiare, a cercar di capire. . Non è un caso che gli scrittori più attenti all'orrore contemporaneo mettano spesso la città al centro delle loro opere. E non è un caso che il loro linguaggio si contamini, diventi pluriversale, meticcio, contaminato con quello che si parla nelle città. Questo non piace' ai sostenitori di una lingua edenica e prebabelica, da quartiere-bene della letteratura, che se la cavano chiamando "falsa" questa lingua nuova e verissima, f! rimpiangono i tempi quando non esistevano gli slang, i supermarket e gli immigrati, ma esistevano "i personaggi", specialmente quelli che somigliavano a loro. Vorrei che questa rivista non cadesse in questa vanitosa superficialità, da cui la sinistra non è certo esente. Vorrei che n-on si ritirasse di fronte a ciò che è nuovo solo perché è faticoso da capire, rivoltante, ostile, sporco. Vorrei che segnalasse che il vero sporco è altrove, nell'orrore di una politica marcia, in una sinistra che ormai chiede scusa di esistere, in una generazione di giovani spettatori golosi e rimbambiti. Faccio un eserr},pio:io abito a Bologna, ci vivo giorno e notte, in tutti i suoi splendori e miserie. Non ne capiscomolto, ma sicuramente non la riconosco nelle cartoline illustràte con cui viene propar,andata da dentro, descritta dai cronisti di fuori. Una città "tranquilla" dove una gang di poliziotti andava in giro su una Uno Bianca ad ammazzare colleghi, una città grassa dove ci sono quartieri con mafia _e camorra, una città cordiale imbottita di vigilantes, una città dove il dialetto non esiste quasi più, dove c'è il primo collegamento di computer Internet gratuito con tutto il mondo,

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