La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 1 - febbraio 1995

al quale era stata in fin dei conti affidata - dai partiti - la missione di abbattere il potere dei partiti. Anche chi si lamenta di averlo subìto, ha infatti in realtà sfruttato l'avvento del maggioritario per accelerare il proprio improcrastinabile "rinnovamento", affidandolo, anziché ai lunghi e incomprensibili travagli éongressuali, alla semplice ricetta di facce nuove che si sostituiscono di colpo agli emblemi vecchi. Così il Pli è diventato Biondi e la Dc si è rivelata in Casini; così, l'estrema desfra è stata assolta dalla pacata voce da presentatore di Fini (identica a quella di Mike Bongiorno) e l'estremismo di sinistra si è dissolto nell'elegante erre moscia di Bertinotti. Si dirà che da sempre i leader hanno avuto un loro potere, e talvolta persino un loro fascino, ma mai hanno trattenuto tutto per sélo spazio dell'immagine. Non si tratta ancora di culto della personalità, ma la loro griffe è almeno pari a quella degli stilisti di fama: sufficiente a lanciare una linea e a sostituire_una sigla che la _gentenon trattiene nemmeno m memoria (e che dunque non sembra poter passare alla storia). Cos'è l'Ude? il Cccl? il Prc e perfino il Ppi? Affermare però che "ai partiti si sono sostituite le persone" non vuole certo dire che le forze politiche si siano identificate e riassunte nei loro segretari: la rivoluzione è stata elettorale e dunque questo superamento dei partiti riguarda piuttosto i candidati e gli elettori. Il vero "faccia a faccia" elettorale è il loro, ed è in questo confronto che il partito è sembrato opportunamente venir meno, mentre più che il metodo maggioritario è lo stile dell'Uninominale che ha caratterizzato e mutato entrambi i poli del confronto: quando emerge il nome e il volto del candidato, dall'altra involontariamente si esalta anche l'individualità dell'elettore. Decidere se votare una persona al posto di un'altra, equivale infatti ad operare una scelta, che - oltre alle conside- . . . . raz10m superstltl sui propn interessi e sui comuni ideali - tiene conto dell'efficace "rappresentazione" del candidato, più che della sua effettiva "rappresentanza". Se il candidato acquista una sua autonomia costruendo ed esponendo la propria Immagine (al posto di quella del partito), davanti BibliotecaGinoBianco ad essa l'elettore sente di disporre di una più ampia e nuova libertà, ed avverte una sua accresciuta centralità: non gli possono raccontare balle, qui ~i tratta di scegliere facce e capacità personali. Non che s'illuda di non poter essere ingannato, ma senz'altro si ritiene più competente: in fondo è come al cinema o a teatro. O meglio, come davanti alla TV. Anche chi non è un grande conoscitore d'uomini ha comunque una vasta espenenza di spettatore e un'indubbia capacità di consumatore. Sono queste virtù personali ad essere messe alla prova nel confronto diretto con il candidato e la sua rappresentazione, ed è appunto per questa via che il maggioritario riesce a far sentire maggiorenne ogni elettore. Forse non è ancora fuori dalla tutela del partito, ma nella sua scelta sente di poter far rientrare i suoi gusti, come a dire qualcosa di infinitamente più affidabile e più autentico delle sue opinioni. È così che s' a~era la prof ezia della sua liberazione: ogni singolo elettore, magicamente sciolto dall'odiosa dittatura ideologica e dal ricatto clientelare, si riscopre proprietario individuale del proprio voto. Diventano trascurabili o perfino ingombranti le aggregazioni o le mediazioni tradizionali: al posto dell'Unità che fa la forza, ci si ricorda piuttosto di come l'individualità faccia la Libertà. Quel primo mezzo articolo della Costituzione, provvidamente ripetuto da Berlusconi, che recita "La sovranità appartiene al Popolo... (omissis)", ha lo strano potere di far sembrare regnante ogni singolo elettore, oggi che il termine collettivo del Popo1 o appare come un'arcaica astrazione, a fronte della trionfante e concreta confezione narcisistica in dotazione a ciascun Cittadino. È infatti sull'identità personale dell'elettore (moltiplicata per milioni, ma mai più sommata ad un'altra) che si basa il nuovo stile e il nuovo messaggio demagogico di tutti i partiti: la propaganda politica non si spreca più nelle promes,se e nelle rassicurazioni, ma si spende tutta in un frenetico ininterrotto plauso all'intelligenza dell'elettore (consumatore, telespettatore, ecc.), al suo essere sempre più in alto e più avanti delle idee e dei programmi del partito avversario, alle cento prove della sua competenza e serietà, alle mille che testimoniano il suo essere depositario naturale della verità. Ciò che conforta e convince l'elettore non tanto della sua sovranità quanto della sua "verità" (la verità politica, ché quella assoluta si sa è insondabile e da tempo appartiene al Mercato) è che finalmente dalla somma dei voti scaturisce la "vittoria". In questo il maggioritario ha davvero rivoluzionato le vecchie abitudini: al t~mpo de~ proporzionale non e era partito che non potesse dichiarare di avere vinto o almeno "tenuto", con grande irritazione dell'elettorato che si sentiva gabbato. Adesso, lo stesso confronto diretto, collegi o per collegio, non lascia adito a dubbi: uno soltanto può essere il vincitore. Al termine della contesa e della conta, non si dirà più "sono risultati eletti" i seguenti candidati, ma sarà chiaro quali deputati e quali partiti "hanno vinto". La cosa è talmente pacifica che, dopo quel fatidico 27 marzo dell'anno scorso, non . . . per convmz1one ma m omaggio alla convenzione del maggioritario, tutti si sono affannati a dichiarare i vincitori con una _correttez_zaesemplar~. La stona, ma pnma ancora 1 numeri, dimostravano intanto che mai si era visto un risultato più incerto, una maggioranza così spuria e traballante. Ancora nessuno sa chi abbia ad esempio la maggioranza in Senato; e inoltre, se Forza Italia è stata da tutti considerata vincitrice, lo si è dovuto al calcolo proporzionale dei suoi voti, e non al risultato ottenu- . . to m seggi. Ma questi sono dettagli oppure imperfezioni che non minano la certezza e soprattutto la soddisfazione del nuovo rapporto tra elettori e vincitori. Si ha una maggiore deferenza ma anche una maggiore fiducia nel vincitore; ci si sente insieme a lui vincente o, se è andata male, pronti per la rivincita. L'Italia è ritornata ad essere divisa come ai bei vecchi te»ipi di quando la politica tirava forte: si tratta di un gioco più superficiale ma non per questo meno gratificante - e meno cattivo. In nome della vittoria (e della verità), partiti (ed elettori) quasi uguali nelle propo~te e ~ut~i francamente mcons1stent1, s1 ergono muro contro muro, fanno esibizioni muscolari, aumentano le pau-

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