La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 1 - febbraio 1995

perfino quello degli Stati Uniti prima della fine del secolo), al suo interno conserva però una vastissima geografia del sottosviluppo, che resterà appena sfiorata dalle tentazioni omologanti della società dei consumi. Si vanno creando perciò modelli economici di forte complessità, sacche profonde di Sud all'interno del Nord e forme spinte di Nord nel Sud povero, con il rischio che una crescente divaricazione tra sistema economico e integrazione sociale _possa aprire crisi violente, forse anche poco controllabili. In Cina e fuori, naturalmente. I rapporti di forza che nascono da questi processi rapidi, e incontenibili, di crescita, comportano anche il consolidamento di relazioni di dipendenza tra i Sud e i Nord di ogni sistema, muovendo verso il Nord accumulazioni considerevoli di ricchezza e utilizzando del Sud tutte le "rendite di posizione" che offre il sottosviluppo: salari inferiori, minori protezioni sociali, flessibilità nella gestione del lavoro. Il distacco tra le due aree tende ad ampliarsi, e se il "Nord" si integra sempre più profondamente nelle forme tecnologicamente avanzate della produzione, al "Sud" tocca invece un destino scarsamente modificabile, di scivolamento progressivo nell'emarginazione produttiva: c'è un riscontro evidente non soltanto nella desola t a geografia del Terzo Mondo ma anche nelle stesse società del mondo industrializzato, dove le fasce di povertà e di espulsione dal ciclo produttivo tendono ad ampliarsi, e dove la classe media rischia di continuo una forte penalizzazione verso il basso (da middle class a lower middle class ), fino al rischio di una perdita totale di identità. I due schemi globali di interpretazione del nostro nuovo tempo subiscono però l'influenza anche di un terzo disegno, forse non più sofisticato degli altri ma certo più coerente con le linee di tendenza che vanno manifestandosi nelle relazioni socio-economiche mondiali: la regionalizzazione delle aree di sviluppo. Nelle ultime settimane dello scorso anno, a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro e con una simultaneità che definisce una forte valenza politica, si sono così avuti tre grandi vertici mondiali: uno ha riunito a Essen i leaders dell'Europa, per BibliotecaGinoBianco tentare di rattopf are gli strappi profondi de progetto di unificazione comunitaria; il secondo ha chiamato a raccolta ·a Miami i presidenti di 34 paesi del continente americ~- no, per creare un mercato umco dall'Alaska alla Terra del Fuoco (con la sola eccezione di Cuba, che non è stata invitata dall'ospite nordamericano); il terzo infine ha convocato in Indonesia gli stati della comunità del Pacifico, per un progetto di integrazione delle economie rivierasche - Stati Uniti inclusi, naturalmente - per l'anno 2020. La presenza di alcuni partners all'interno di più "progetti regionali" non contrasta con l'obiettivo finale, che pare essere quello di una coordinazione delle economie per aree geografiche omogenee, capaci di dare risposte (tendenzialmente) vincenti alla concorrenza dei mercati mondiali. Uno studio dell'Ocse - The United States and the Regionalizzation of the World Ecbnomy - cerca di dimostrare che i progetti di regionalizzazione dei mercati hanno forti elementi di contraddizione con lo sviluppo reale degli scambi e, soprattutto, con la internazionalizzazione dei flussi di capitale. Il dibattito è non soltanto scientifico ma anche politico, naturalmente, e investe il tracciato sul quale si muovono i "nuovi barbari". Ora J orge G. Castaneda, un politologo messicano che ha buona presenza nei media statunitensi, ha pubblicato di recente a New York un interessante libro - Utopia Unarmed, the Latin American Left after the Cold War - dove, tra le molte analisi che svolge sul ruolo della sinistra nel subcontinente, dice anche due cose che incidono su questo tema. La prima è la certezza che "uno sforzo reale di integrazione regionale è in atto" (il vertice di Miami gli dà conferma della sua>tesi); la seconda, che la sinistra deve avere la capacità di prendere la guida di questa integrazione, "che rappresenta una soluzione intermedia tra l'insostenibile status quo e un pericoloso processo di dissoluzione dei sistemi economico e sociale nei paesi in via di sviluppo". L'invito provoca tensioni aspre, in una realtà come quella latino-americana dove le relazioni con gli Stati Uniti sono definite dalla dottrina di Monroe più che dai sogni di Simòn Bolìvar (e il mancato invito a Castro, nel vertice di Miami, conferma una scelta politica, non una scortesia diplomatica). Dopo il fallimento dei progetti dittatoriali degli anni Settanta e Ottanta che mescolavano autoritarismo e autarchia, le nuove politiche di liberalizzazione delle economie nazionali. hanno dato un forte impulso ai tassi di crescita del progetto globale, con una linea di trend fissata stabilmente tra il 3,5 e il 6% annuo; però questa crescita ha accentuato le già forti disparità sociali, allargando la forbice dei redditi e portando al di sopra del 40% la massa dei poveri, tra i 450 milioni di abitanti dell' America Latina. In tempi lunghi è probabile che la ricaduta dello sviluppo modifichi parzialmente le sacche di pauperizzazione; però intanto la consapevolezza di una interdipendenza continentale deve misurarsi con una asimmetria tra le economie che è davvero gigantesca, non solo tra singoli paesi ma anche e soprattutto tra gli Usa e il resto del continente; i 250 milioni di abitanti degli Stati Uniti producono, già oggi, una ricchezza cinque volte superiore a quella prodotta dai 450 milioni di latino-americaru. Castaneda esorta le forze della sinistra dell'America La- . . tma a mventare un nuovo nazionalismo, che lui chiama «longitudinale» perché non dovrebbe marcare una contrapposizione tra gli Stati Uniti e il resto dei paesi, ma piuttosto dovrebbe passare lungo una linea trasversale nel corpo dell'intero continente: i liberals nordamericani, i loro

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