La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 1 - febbraio 1995

situazione organizzativa, salariale e di legittimazione sociale sempre più deprimente, continua a coltivare nella scuola zone di difesa della qualità della vita e spazi di resistenza contro' l'invadenza dell'apparato burocratico. Fondamentale da questo punto di vista è la cornice concettuale in cui si colloca il lavoro educativo. Un aspetto tipico del mestiere dell'insegnante è che, mentre lui invecchia, i suoi interlocutori rimangono eternamente bambini o ragazzi. Questa situazione di asimmetria e di crescente distanza anagrafica può essere vissuta come un fastidio, un ostacolo, a volte come una vera e propria tragedia: è il caso dell'insegnante che vuole a tutti i costi coloniizare la riottosa tribù che gli sta di fronte, pretendendo di "trasmetterle" le nozioni, le abilità, i valori e i saperi di cui è detentore, e scopre l' estraneità crescente dei suoi destinatari. Ma la differenza generazionale può anche essere interpretata come una risorsa preziosa, da cui può scoccare la scintilla di percorsi conoscitivi e relazionali inediti: allora il mestiere del maestro e del professore diventa molto più_avventuroso e meno ripetitivo di quanto comunemente si pensi. Naturalmente perché questo avvenga bisogna superare l'immagine tecnocratica dell'insegnante che emerge dai manuali di didattica: un operatore-osservatore esterno al sistema-classe che agisce unilateralmente su di esso per cambiarne i comportamenti, regolando i tempi e i modi dell'azione didattica in base alla relazione tra gli input introdotti dagli studenti e gli output che essi emettono in risposta. Se invece un insegnante concepisce se stesse come una parte del sistema sul/nel quale agisce, non pretenderà che i suoi obiettivi e i suoi programmi diventino gli obiettivi e i programmi dell'intero sistema, e, anziché presumere di poter programmare e controllare unilateralmente ogni fase del percorso didattico, coltiverà la consapevolezza di essere una variabile del processo di cambiamento, soggetta alla retroazione della classe: solo se lui avrà imparato qualcosa di imprevisto nel corso del viaggio potrà realisticamente ipotizzare che nella mappa del mondo dei suoi studenti siano avvenuti dei cambiamenti significativi. In questo senso ciò che avviene (o dovrebbe avvenire) nella scuola non è la trasmissione di un sapere dato, ma la costruzione di un sapere nuovo, i cui approdi non possono essere programmati in partenza se non in termini generalissimi. Le discipline e le gerarchie Per relativizzare la suddivisione del sapere in discipline dallo statuto intangibile, che gli studenti dovrebbero limitarsi ad incamerare così come gliele si propinano, basterebbe prendere sul serio quelle "teorie della complessità" di cui gli studiosi di didattica esibiscono volentieri il lessico. Se la conoscenza non è una riproduzione oggettiva del mondo esterno, ma una costruzione di modelli di realtà sempre rinegoziabili, che ogni individuo elabora sulla base dei suoi modi di funzionamento, le discipline oggetto dell'insegnamento non possono essere concepite come un punto d'arrivo del sapere, verso il quale trascinare discenti più o meno recalcitranti, ma come veicoli per la comprensione, terreni di mediazione per il dialogo tra i soggetti conoscenti. In questa prospettiva l'apprendimento, anziché presentarsi come scoperta di concetti e teorie BibliotecaGinoBianco già formulate da altri, si propone come invenzione di una realtà, che nasce dal dialogo alla pari tra la competenza ·specialistica rappresentata dall'insegnante e i modelli di mondo elaborati dagli studenti; un dialogo da cui, se le cose vanno come devono, entrambe le posizioni di partenza devono uscire cambiate: "Nel mondo delle scoperte i bambini devono imf arare a ripetere ciò che altri hanno potuto, co permesso del Supremo Fascista, estrarre dal 'Libro', nel mondo delle invenzioni essi . . . . . . . . sono mvitatl a giocare un gioco m cm scnvono loro le regole, inventano la loro matematica, dalla quale i matematici possono imparare una cosa o l'altra" 9 . Questo ridimensionamento dell'intangibilità dello statuto delle discipline oggetto dell'insegnamento mette in discussione le gerarchie e le separaziqni tradizionali, fondate sulla maggiore o minore vicinanza del sapere scolastico al sapere accademico: se il risultato di un dialogo è tanto più significativo quanto maggiori sono le differenze tra gli interlocutori, la scommessa culturale che si gioca in una scuola materna o elementare non è certo più bassa 9i quella che si gioca in una scuola superiore o all'università; e una classe di istituto professionale può offrire risorse conoscitive non inferiori a quelle che emergono dai licei classici più eruditi. Qualcosa di simile si può dire per le gerarchie tra cultura "alta" e cultura "di massa", e tra i diversi stili cognitivi: in un libro uscito una decina di anni fa e divenuto rapidamente un classico di psicologia dell' educazione 10 Howard Gardner notava che, tra le diverse "intelligenze" di cui gli esseri umani sono dotati, il sistema scolastico tende a legittimare, potenziare e valutare solo quella linguistica e quella logico-matematica, trascurando le competenze e le facoltà che non rientrano in un modello logocentrico della conoscenza; l'idea del sapere come costruzione cooperativa e multilaterale pone le condizioni perché la scuola possa rimettere in giocò le intelligenze represse e rimosse, rispettando e valorizzando l'infinita varietà delle strategie cognitive messe in atto dai suoi utenti. La quantità e la qualità Un altro caposaldo della pedagogia dominante messo in discussione dalla relativizzazione delle discifline è l'ossessione della quantità. Di fronte a vertiginoso evolversi e moltiplicarsi dei saperi, e all'ampliarsi delle conoscenze e delle competenze richieste dalla vita contemporanea, la risposta ufficiale offerta dall'istituzione consiste nell'aumentare a dismisura il numero delle materie di studio e delle ore in cui gli studenti sono obbligati a stare a scuola: è il caso delle sperimentazioni ministeriali e dei progetti di riforma delle superiori caratterizzati da un accumulo di materie e contenuti di studio sempre più numerosi e incoerenti. Ma la stessa mentalità traspare dai recenti "corsi di recupero", basati sul singolare postulato che, per affrontare il problema degli studenti che hanno.un profitto basso, e quindi il più delle volte non amano la scuola, la soluzione sarebbe quella di obbligarli a frequentarla, oltre alle normali trentasei ore settimanali, alcune decine di ore in più: come dire che, se una medicina fa male a un malato, il modo migliore per farlo guarire consiste nell'aumentare le dosi. Lo stesso innalzamento dell'obbligo scolastico, in assenza di

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==