Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno III - n. 24 - 30 giugno 1898

RMSTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIBNZE SOCIALI 373 decreto reale - insino ad ora - pongono i professori fuori del diritto comune. Essi hà'nno il diritto di voto, che è quanto dire il diritto di avere un'opinione intorno allo Stato, alle sue funzioni e al governo presente, e di manifestarla, anzi di concorrere a confermarne o a mutarne l'indirizzo, mediante i responsi dell'urne. Ma ecco ora i portavoce ministeriali asserire, che « i professori debbono far lezione, esclusivamente far lezione " dimenticando che i Professori- chiarissimi divenuti Ministri, se divennero deputati e senatori e ministri, si fu perchè non applicarono a sè stessi questa diminuzione civile, ed oltre « a far lezione " si sono occupati di.... politica : una politica ortodossa, l'ammettiamo, e benevisa in alto loco, ma insomma politica ! Epperò domandiamo a codesti signori : siate sinceri e abbiate il coraggio di andare sino in fondo, dlcretando: Art. Unico. - Chi entra a servizio dell'insegnamento pubblico, nelle scuole di qualsiasi grado, dall'elementare all'Università, perde i dfritti di cittadino. Non esiste più per lui l'art. 24 dello Statuto, il quale dice : « Tutti i regnicoli, qualunque Ria il loro titolo e grado, sonoeguali dinanzi alla /egee "· Siate sinceri: spingete l'avversione alla scienza, alla cultura, alla scuola sino al punto di equiparare il titolo di insegnante a quello di fallito doloso, di condannato per reato infamante. L'essere degni, di educare e istruire le nuove generazioni diventi, d'ora innanzi, titolo d'indegnità. Invero, c'è troppa prevalenza di letterati, di filosofi, di economisti o di storici di grido ml nostro Parlamento da un ventennio in quà ! L'ostracismo agl'ideologi; la politica sia invece riservata ai grassi appaltatori di lavori pubblici, ai trafficanti in granaglie o muletti. Però per ottener questo - lo ripetiamo - occorre un'apposita legge. Imperocchè mal si provvede con le rettoriche frasi a coonestare un arbitrio, che non avrebbe fondamento nel giure vigente. InV"anosi parla dei doveri di chi è impiegato dello Stato. Oh dove si trova scritta questa Legge sui « doveri degl' Impiegati " ? Qual numero porta, qual data, quando approvata ? Richiami, adunque, la Camera i Ministri e legislatori, se la questione sorgerà, sul terreno del giure positivo, alle condi~ionidi fallo : e vedrà che in Italia la prestazone d'opera degl'impiegati non è regolata da unica Legge, ma da aire/tante Leggi e Regolamenti e Decreti e patti contrattuali quante sono le diversecategoried'im pieiati. Già venne appunto dimostrato sulla vostra Rivista ( e niuno osò co.nfutare la tesi, inconfutabile) come « all'infuori degli obblifubicontralluali specifici ( quali risultano da Leggi, Rego amenti, Ruoli o Norme di concorso ecc.) non vi è per. i professori, come per ogni altro cittadino, se non la legge comune "· Or quando si parla di professori, accusandoli di venir meno ai loro obblighi d'impiegali, bisogna che gli accusatori dimostrino che essi siano venuti meno ai loro doveri di professori, quali risultano dai patii coulrattuali, che i professori specificatamente riguardano. Ma nessun Ministro della P. I. ha mai condizionata la nomina de' professori a un credo, fosse religioso o politico o sociale. Ed è per questo appunto, che uomini, i quali non avrebbero chiesto nè accettato elevati e meglio retribuiti uffici, per ese!Jlpio, nelle Prefetture, nelle Q~esture e, forse, nemmeno nella Magistratura, accettarono invece o prescelsero, anche se miseramente retribuito, un posto nell'insegnamento, perché quivi - più che in quelle sovraccennate categorie di impieghi - la libertà del loro spirito era, dalle condizioni spec,fiche del loro ufficio, rispettata e guarentita. Tal fu, infatti, Ja condizionecontrattuale, che attrasse i più liberi e più colti pensatori viventi nel campo dell'insegnamento. Giustamente la vostra 'R__ivisla ricordava a proposito dell'art. 106 della Legge Casati, come questa legge promulgata durante i pieni poteri della guerra del 59, non venne mai discussa dal Parlamento, e nacque col peccato originale dell'i11costituzionalitd, essendo stati accordati i pieni poteri per la guerra, non per la legislazione. Inoltre, quando essa Legge Casati venne promulgata ( 13 novembre 1859) l'Italia nuova non era ancor fatta: cronologicamente essa è dunque una legge subalpina e non nazionale ; e i prof. Cogliolo e Maiorana al Libro III del loro Cod. !>col. (ediz. Barbera) osservano che, se fu attivata di fallo anche in Toscana, ael Napoletano, in Sicilia, a Roma e nell'Emilia, ivi « non vige di diritto ». Ma pur tralasciando queste ed altre gravi osservazioni fatte dai giuristi intorno al valore residuo di quella Legge, venne chiarito, perfino coll'autorità di Relazioni Ministeriali, come di essa non rimangono vive e vigenti se non quelle parti che « non furono abrogate o non caddero in dissuetudine ». Ora se v' ha disposizione restrittiva in quella Legge, che mai non fu viva, si è quella contenuta nel famoso art. 106, secondo il quale verrebbero sottoposte a giurisdizione disciplinare le opinioni e gli scritti dei professori, contemplando come punibili anche gli atti seguiti fuori della scuola. Infatti, come osservava l'Unione U11iversita_ria di Pisa (Anno Ill N.0 7) appena dopo il Casati, succedevano al.Ministero della P. Istruzione il Mamiani, il De Sanctis, il Mancini, il Malleucci, !'Amari tutti uomini, com.: ognuno ammette, di gran valore e ossequenti alle istituzioni plebiscitarie della nuova Italia. Ebbt:ne questi valentuomini dimostrarono di non curarsi affatto di quell'articolo I06; che anzi parvero di volerne ostentare la più aperta condanna. Perocchè non solamente tollerarono, ma invitarono e nominarono sulle cattedre universitarie e nelle scuole secondarie uomini noti per opinioni o scritti non approvati dalla Chiesa o non conformi al credo monarchico. Furono i successori immediati del Casati, che chiamarono a coprire cattedre universitarie il Molescho/1 e Ausonio Francbi, ai quali - natisi - furono titoli di nomina quegli scritti, che, secondo l'art. 106, ~vrebbero dovuto costituire reato, ossia una ragione di « sospensione o rimozione » dall'officio! Chi non conosceva le opinioni di GiuseppeFerrari, l'autore della « Filosofia della Rivoluzione » e della Federazione Repubblicana » avversario inconciliabile della politica cavourriana, il quale in Parlamento e fuori aveva impugnate le annessioni incondizionate della Toscana e dell'Emilia e il nuovo battesimo del n:gno subalpino e dd Re primo e secondo ad un tempo ? Ebbene: l'on. Mancini, ministro della P. Istruzione nel 1862, lo chiamava a coprire una cattedra nell'Ateneo di Torino. Chi non ricorda il Carducci, quando lanciava dalla faretra i suoi fulmini repubblicani coi giambi ed epodi di Enotrio Romano? Ebbene, la sua carriera d'insegnante l'ha fatta sotto i ministeri di Destra, indisturbato non solo, ma punto ritardato nelle promozioni, mai contraddetto nt:' suoi desideri per titolo di punizione. Egli stesso, in un suo celebre discorso elettorale, ebbe a dirlo: che repubblicano era divenuto per studii e maturate convinzioni, non per dispttto, o per torti .ch'egli avesse ricevuto dai ministri di allora. Non occorre di rammentare il telegramma dell'onorevole Baccelli al prof. Ardigò, denunciato da alcuni padri di famiglia pel suo insegnamento filosofico al liceo di Mantova, e che il Baccelli pro:r oveva a una cattedra dell'ateneo padovano. Tal fu la norma di governo dal 1860 insino a ieri ; in tanti anni, nessuno de' Ministri , che si avvicendarono alla Minerva, neppure l'on. Bonghi, ha mai denunziato al Consiglio Superiore, perchè venissero sospesi o rimossi, i professori seguaci di teorie darviniane o marxiste o politicamente eterodosse: nè il Ceneri, nè il Murri, nè il Vignoli, nè il Canestrini, nè lo Zuppetta, nè Cesare Lombroso, o Achille Loria o il Bovio o il Sergi, ebbero· mai molestie di sindacati o di denuncie per ciò che scrissero ne' libri o dissero in Parlamento o

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