RE NUDO - Anno III - n. 11 - marzo 1972

RE NUD0/8 UN PESCATORE A PUGNO CHIUSO CARCERE 13-2-72 Cari compagni, pensandoci bene sui.la realtà dei fatti, cioè di come vengono sfruttati e maltrattati gli operai, mi viene una rabbia tanto forte che prendere, tutti questi padroni e li brucerei vivi, perché io penso che ho rubato o come dicono loro sono (delinquente) uno scarto della società, mentre i padroni che sfruttano le masse operaie vengono stimati e sono delle brave persone, ma per me sono solo degli sporchi fascisti e vanno calpestati come vermi. I proletari che vogliono i loro diritti perché devono portare un pezzo di pane alla loro famiglia, si ribellano perché i padroni vogliono dare fame e miseria e disperazione, allora i proletari chiedono i diritti, ma il porco padrone ha quei porci di sbirri che con la scusa della delinquenza rafforzano le città e i paesi. Ma la realtà per gli operai è che quando fanno gli scioperi, vengono bastonati come bestie e vengono arrestati perché non vogliono farsi trattare come schiavi e allora si ribellano ai P.P. (porci padroni) i quali sono sicuri perché sanno di essere protetti da quelle sporche divise da PS che sono i più forti perché hanno delle armi e quando vedono che non riescono a fermare le masse operaie che sono tutti uniti, passano alle armi e sparano sulle anime bianche, poi si sa dicono che a sparare per primi sono stati i proletari e loro per difesa hanno sparato, e ucciso delle anime bianche e così lavano le loro anime nere, più nere del carbone. Cari compagni sono un giovane di 21 anni di Catania e la mia attività è il pescatore, a casa mia c'è sempre stata fame, miseria; mio padre lavora, ma come se fosse disoccupato, in una settimana lavora un giorno o due e poi è sempre senza lavoro come ora, che non può più lavorare perché è infortunato, ma il signor governo non ci vuole dare la pensione. In famiglia siamo sette figli, 5 maschi e 2 femmine, io sono il secondo dei figli. Mio fratello più grande di me è malato, quello più piccolo di me è militare, perciò a casa mia c'è la fame. Come ti stavo dicendo, il mio mestiere è il pescatore d'estate, e qualche lira la si guadagna, ma d'inverno non si guadagna niente, allora che cosa debbo fare? Muoio di fame, no questo no. Allora vado a rubare e mi arrestano (diverse volte sono stato in galera), per furto d'auto mi portano al carcere di Catania. Ora vi spiego com'è che a Riempire una bottiglia di una. miscela in rapporto 2 a 1 di benzina e olio lubrificante. Usare uno stoppino di straccio o di cotone imbevuto çl_i paraffina. Una proposta per la riforma del carcere (foto incr•r~inata da « ... ma l'amor mio non muore») Catania c'è stata la rivolta, per farvi conoscere le schifezze delle carceri che abbiamo in llo,l:a. Mi portano dentro una cella di isolamento (qui viene il giu– dice ad inter~ogarmi), chiamo la guardia e gli chiedo se mi può mandare qual– che scopino, ma il guardiano mi dice « senti, figlio di puttana, io ti faccio uscire il sangue dalla bocca se mi chiami un'altra volta». E così è stato il mio benvenuto nel carcere. Dopo tre mesi vediamo molti minorenni che stanno correndo verso di noi e le guardie dietro i minorenni con in mano dei bastoni e delle cinghie con cui li vogliono bastonare; i ragazzini cercano il nostro aiuto, noi vedendo cosi perdiamo la testa e corriamo verso le guardie; questi sbirri quando ci vedono gettano i bastoni e le cinghie per terra e scappano, Noi tutti, salendo sui tetti dei padiglioni, chiediamo di parlare con il procu– ratore di Catania, ma vengono 5 giudici; gli spieghiamo tutto e gli diciamo anche di darci un'ora di aria al giorno in più (ci danno due ore e mezzo di aria al giorno) e di toglierci anche una rete metallica fitta che fa passare poca luce e che si trova alle finestre delle celle, perché possiamo anche perdere la vista. Chiediamo anche il colloquio settimanale invece che quindicinale. Il giudice e il direttore ci dicono che ci danno tutto quello che abbiamo chiesto, e cosi noi ci facciamo chiudere nelle nostre rispettive celle. Dopo due mesi vediamo che tutto quello che ci avevano promesso non ci viene dato per niente, anzi ci trasferiscono nelle carceri lontani dalle nostre case. Allora abbiamo pensato che con la violenza si può ottenere qualcosa, non con le parole; infatti abbiamo fatto le rivolte al carcere di Catania. Il giorno 29 giugno è festa, al pomeriggio scendiamo all'aria, dopo cinque minuti saliamo sopra i tetti delle sezioni e così sfasciamo tutto e le guardie si mettono a sparare; dopo quattro ore e mezza è finita la rivolta; io vengo trasferito ad Augusta, dove sono tuttora (e quando hanno sparato hanno ferito dei detenuti, di cui i giornali non hanno par.iato; è stata nascosta questa notizia). Ad Augusta le celle sono dei canili, ci possono mettere dei cani, uno ogni cella, lunga due metri e larga un metro e trenta, poi dentro è una schifezza, nelle celle non ci sono porte e ci sono soltanto cancelli e d'inverno si muore dal freddo e d'estate si muore dal caldo. La cella è piccola uno non sa cosa fare certi momenti: vorrei morire, la desidero la morte, come un bambino desidera delle caramelle e cosi io la desidero; il vitto è molto poco e se uno vuol mangiare deve prenderselo coi suoi soldi e cucinarselo altrimenti se uno non ha soldi deve morire di fame. Anche lo spaccio interno è nato per sfruttare, infatti se una cosa fuori costa una lira qui dentro te la passano per tre lire. L'ambiente è molto vecchio come sono vecchi gli abitanti, perché qui c'è gente condan– nata all'ergastolo che ha già fatto dai dieci ai trent'anni di galera. Nessuno si vuole muovere per protestare perché il direttore e il maresciallo minacciano questi ergastolani dicendogli che se non si comportano bene, non gli conce– dono la domanda di grazia, e così nessuno reclama, anche se ci danno merda da mangiare. Qui ad Augusta di amnistia si parla molto fra _[lOi(pochi) giovani, e pensiamo che se la vogliamo dobbiamo unirci e spaccare tutto: solo con la violenza possiamo ottenere qualche cosa. Appena sono arrivato qui ad Augusta mi ingoio un chiodo. Mi portano al Centro Clinico di Messina, che poi non è per niente un centro clinico; il dottore è un pecoraio e se un malato si sente male e chiama l'infermiere, dopo due ore arriva la guardia e quello può anche morire, tanto loro la scusa ce l'hanno: è morto perché era malato di cuore, e cosi se ne lavano le mani. Il vitto è molto scarso e fa schifo; la cel!a del malato non è per niente igienica: infatti la pulizia se la deve fare il malato stesso. Se il malato non si può muovere, può stare tranquillo che l'immondizia sale fino al letto. Qui siamo un piccolo gruppo, che discutiamo sulla politica e di come sono organizzati i proletari di cui vi ho accennato prima. Vi saluto a pugno chiuso. JERRY RUBIN: LIBERATO IL COMPAGNO J. SINCLAIR Da: (U.P.S.) IL GRANDE RALLY PER LA LIBERAZIONE DI JOHN SINCLAR E' stato un nuovo inizio per il movement. La gente andava in giro abbracciandosi l'un l'altra. Tutti all'enorme raduno per la liberazione di J. Sinclair in Ann Arbor, Michigan, hanno sentito che partecipavano a qualcosa di nuovo e storico, ma come al primo sit in del college o il primo be-in o il primo rock festival, nessuno conosceva il suo nome o significato. Quando si entrava al Chrisler Hall nella notte di venerdì 10 dicembre si sentiva un incredibile impeto. 15.000 persone nella stessa lunghezza d'onda! Che trip! C'eravamo tutti, non solo per decollare, o diventare matti di musica, ma per liberare un fratello dalla prigione 'dell'Uomo e associare la nostra energia, per focalizzare l'attenzione sui prigionieri politici in tutta l'America. Il passaggio di joints da persona a persona ci univa tutti in una comunità di saliva, e il tutto più ironico e oltraggioso perché John Sinclair era in prigione in quel momento per quello che stavano facendo. Di droghe pesanti e di pillole non se ne trovava da nessuna parte e non erano benvenute. Nessuno faceva il « pusher » (trafficante) o contrabbandava. Non c'era bisogno di gente robusta per proteggere la scena perché nessuno andava a far casino sul palco. La gente sentiva il proprio potere. Questo era un avvenimento politico, con ur, fine politico e tutti i soldi che andavano a scopi politici e non per profitto i; tutti si sentivano uniti in qualcosa al di là di loro stessi e al di là del loro piacere: un'azione comunitaria. John Sinclair era stato in carcere 2 anni e mezzo per il possesso di 2 joints dopo una condanna a 10 anni. Tre mesi prima la corte suprema dello stato gli aveva negato l'appello con 5 voti contro 2. John era segregato in cella d'iso– lamento, solo, era vicino al crollo dei nervi. Sembrava che nessuno o s'inte– ressasse di John, benché fosse stato incarcerato per il suo attivismo politico nell'opposizione all'imperialismo e al razzismo. L'anonimità aiuta lo stato a tenere la gente in galera. Lo stato è repressivo perché la gente non sa e non s'interessa. Gli amici di John decisero di organizzare un grosso avvenimento e John Lennon e Yoko Ono tra gli altri sono al concerto pro Sinclair. Il giorno prima del rally la legislatura dello stato del Michigan ridusse la detenzione di marijuana bla bla. Il « free Sinclair rally» pubblicizzò il suo caso nelle prime pagine di tutti i giornali nel Michigan. Le vibrazioni raggiunsero i giudici perché in un incre– dibile tributo al « potere al popolo» di lunedl mattina, 55 ore dopo la fine del raduno, votarono 6 contro 1 il rilascio di John in appello.

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