Pietro Silva - L'Italia e la guerra del 1866

N, 9 . 12 fehbralo 1915 PUBBLICAZIOSNETTIMANALE ContoCorrenteconla osta

B bllotecà Gino Bianco

PROBLEMI TflLII'iNI IX. PIETRO SILVlì. L' ITf\Llf\ E Lf\ GUERRf\ DEL 1866 MILflNO RflVfl & c. - EDITO~! 1915 B.blioteca Gmo 81dnco

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• • • • • • e • • • e • • e • • • • • o Laquestionevenetae l'allean. za con la Prussia, Dopo la costituÌione del regno d 'I talia due questioni si imponevano agli uomini di governo del nuovo Stato : la questione veneta e la questione romana, e a tutte due si rivolse Camilla Cavour, in quegli ultimi mesi di vita nei quali il suo genio politico diede le più mirabili prove. Per risolvere la questione veneta, il grande ministro pensò di tentare approcci per un 'eventuale alleanza antiaustriaca col governo prussiano, del quale sentiva la fatale tendenza a muoversi contro l'Austria per l'egemonia in Gèrmania, e volle anche iniziare segreti accordi con i patrioti ungheresi, che volevano abbattere l'assetto dispotico dato alla loro patria dal governo di Vienna, dopo le vittoii<l reazionarie del 1849. Con la morte del Cavour tutto s'interruppe; l'azione del governo italiano affidato a uomini tanto inferiori al Cavour, in mezzo alle gravi difficoltà che attraversavano l'esistenza del nuovo Stato, divenne oscillante ed incerta, sia per quel che riguarda la questione veneta, sia per quel che riguarda le altre questioni di interesse nazionale. Per risolvere la questione veneta, abbiamo lo sfortunato tentativo garibaldino di Sarnico, e quei segreti strani tentativi d'accordo fra Vittorio Emanuèle e Mazzini nel 18631864 per un'azione combinata diretta a liberare il Veneto e la Galizia con insurrezioni popolari favorite e aiutate dallo Stato italiano, tentativi dai quali appare evidente la tendenza del Re ad avere una politica sua personale e segreta, spesso in contrasto con quella del suo governo. La questione veneta parv~ avviarsi alla soluzione Biblioteca Gino Bianco

-4quando san alla presidenza del Consiglio e al Ministero degli Esteri il gen. Alfonso La Marmora, dopo che la disgraziata Convenzione del settembre 1864 ebbe travolto il Ministero Minghetti. Il primo tentativo fu fatto nel senso di ottenere dall'Austria uno scambio della Venezia coi Principati Danubiani, nei quali il governo del principe Couza pareva prossimo a cadere. Questo tentativo, per il quale l 'I talia avrebbe dovuto comprare dalla Turchia i Principati e offrirli poi all'Austria in cambio della Venezia, era appoggiato dal governo inglese e da Napoleone III, il quale ultimo, nel dicembre 1864, dichiarava esplicitamente all'ambasciatore d'Austria che non avrebbe mai secondato una soluzione dtlla questione veneta per mezzo della guerra. Invece, proprio la soluzione guerresca si stava preparando, e per opera di quel conte Ottone di Bismarck, che assunto al Ministero in Prussia nel 1862, lavorava al suo grandioso disegno di costituire l'unità germanica sotto l'egemonia della Prussia, e con l'esclusione dell'Austria. I tre Ducati che Austria e Prussia avevano con la guerra del 1864 tolto alla Danimarca, dovevano servire nella mente del Bismarck ad accendere tra Prussia ed Austria quella lotta dalla quale l'Austria sarebbe uscita abbattuta. Dati questi progetti del ministro prussiano, era naturale che nel 1865 dovesse tornare a rivivere l'idea di quella alleanza italo-prussiana contro l'Austria, che la mente divinatrice del Cavour voleva preparare fin da1 1861, tanto più che alla testa del governo italiano si trovava nel 1865 lo stesso uomo che Cavour aveva inviato nel 1861 a Berlino a sondare il terreno : Alfonso La Marmora. Non quindi con ripugnanza il La Marmora nel luglio del 1865 ascoltò il ministro prussiano a Firenze, conte d'Usedom, il quale a nome del Bismarck veniva a fare al governo italiano proposte di un accordo tra Prussia e Italia, per un'eventuale azione contro l'Austria. Il La Marmora fece soltanto osservare che prima di prendere una decisione, era necessario interrogare l'Imperatore dei Francesi e chiedere il suo consiglio e il suo consenso, e si affrettò infatti a dare questo incarico al rappresentante, italiano a Parigi, Costantino Nigra. B•blioteca G no Bia.-ico

-5Ma mentre queste trattative stavano delineandosi, e giungeva da Parigi l'approvazione di Napoleone - presentata però sotto una forma, la quale faceva presagire che l'Imperatore avrebbe voluto approfittare dell'eventuale conflitto, per trarne vantaggi possibilmente sul Reno - tutto parve naufragare d'un tratto, per effetto della Convenzione di Gastein del 14 agosto, con la quale Prussia ed Austria si accordavano nella spartizione dei Ducati. Bismarck giustificò questo suo voltafaccia improvviso, dicendo che alla Convenzione era stato spinto dalle incertezze di La Marmora, la verità è invece che il Bismarck dovette piegarsi ali 'accordo con l'Austria, perchè in Prussia le persone più influenti, a cominciare dal Re e dal Principe Reale, erano assolutamente contrarie all'idea della guerra contro l'Austria. Ciò è provato dal fatto che il Bismarck, pur dopo la Convenzione, non cessò di lavorare per l'attuazione del suo piano formidabile, e in autunno, comprendendo di aver bisogno dell'appoggio di Napoleone per poter trascinare all'idea della guerra il Re e gli altri personaggi che dirigevan la politica prussiana, risolse di andare personalmente in Francia, a tentare l'accordo con chi era creduto l'arbitro della politica europea. Eccoci a quel famoso convegno di Biarritz, che fu paragonato al convegno di Plombières fra Napoleone e Cavour; ma a Biarritz, al contrario che a Plombières, non furono pr.esi impegni precisi. Bismarck svelò i suoi progetti contro l'Austria e i suoi sogni ambiziosi di ingrandire la Prussia; Napoleone l 'aocoltò, e si limitò a far capire che per una azione contro l'Austria la Prussia doveva anzi tutto essere d'accordo e in collaborazione con l'Italia. Bismarck lasciò cosi Biarritz senza aver ottenuto nessun impegno esplicito, un po' impressionato dalla impenetrabilità di Napoleone, dietro la quale si potevan nascondere chissà quali pericolosi progetti, convinto sopra tutto che per agire era necessario rimettersi a tentare gli accordi con l'Italia. Eccolo quindi a Parigi dire entusiasticamente a Nigra che se l'Italia non ci fosse stata, si sarebbe dovuto inventarla, eccolo poi lavorare per stringere con l'Italia un trattato di commucio e per far riconoscere il nuovo rel;no dagli Stati çermaniçi. Biblioteca G ro Bia'1co

-6In questo frattempo La Marmora, al quale l'improvviso voltafaccia del Bismarck nell'agosto aveva fatto una penosissima e sfavorevolissima impressione, aveva rinunciato all'idea di stringere accordi con la Prussia, tanto più che il voltafaccia dell'agosto veniva dopo altri episodi dai quali non era certo apparsa simpatia della Prussia verso l'Italia: nell'inverno 1863-1864 i Principi reali di Prussia, dopo aver rifiutato di fermarsi a Milano nonostante i ripetuti inviti, erano andati a Verona a farsi festeggiare dalle autorità austriache; nel 1864 i tentativi italiani p~r stringere un trattato commerciale con la Prussia erano stati interrotti per la mala voglia del governo di Berlino. Il La Marmora aveva invece rivolto l'animo verso il progetto di ottenere la Venezia direttamente per mezzo di trattativ~ col governo austriaco, e all'uopo nell'ottobre del 1865, aveva segretamente inviato a Vienna il conte Malaguzzi-Valeri, con una missione che servì soltanto a dimostrare il fermo proposito del govprno austriaco di non voler cedere la Venezia, se non dopo aver dimostrato con le armi che l'avrebbe potuta conservare. . Era in queste disposizioni il La .Marmora, quando cominciarono i nuovi approcci del Bismarck, che furono da lui accolti molto freddamente. La sua diffidenza ormai svegliata non gli permetteva di interprptare troppo favorevolmente i tentativi per riprendere quel trattato di commercio che l'anno prima era caduto, proprio in seguito alle opposizioni prussiane, e di darp un significato ottimista alle parole dette dal Bismarck nel colloquio col Nigra a Parigi. Alla fine del 1865 le circostanze non ponevano dunque in una condizione molto favorevole i capi del governo italiano e del govèrno prussiano. La Marmora sentiva ormai sveglia la diffidenza contro il ministro prussiano che con tanta disinvoltura involgeva la propria politica in manovre ambigue e in contraddizioni sconcertanti; non comprendeva il La Marmara che a tale lavorio il Bismarck era costretto dalla sua strana posizione di lavorare a prepararè una guerra non voluta nè dal suo Re, nè dagli altri principali personaggi dello Stato; il La Marmora voleva lavorar~ chiar11mente, per~ Biblioteca G•no Bia!1co

-- 7 - suaso comt era che la migliore delle astuzie fosse la sincerità, inoltre era risoluto a non fare una mossa senza il consenso di Napoleone. Il Bismarck, d'altra parte, sentiva di aver bisogno dell'Italia perchè la cooperazione dell'Italia assicurava la tolleranza di Napoleone, dati i legami esistenti fra i governi di Firenze e di Parigi; ma nello stesso· tempo, avendo cominciato a sospettare chissà quali disegni pericolosi dietro l'impenetrabilità di Napoleone, era tornato fatalmente a diffidare del governo italiano, appunto perchè questo subordinava · ogni sua mossa ai consigli venuti da Parigi. E da Parigi, nel 1865, i consigli non potevano venir molto chiari, giacchè la politica napoleonica era diventata più ambiguà che mai. L'Imperatore si sentiva sfuggire quella specie di predominio che per tanti anni aveva esercitato in Europa; se lo sentiva sfuggire per gli scacchi che la sua politica aveva subito nella questione di Polonia, nella questione del Messico e nella questione romana, scacchi questi che, oltre a tutto, suscitavano vivo malcontento in Francia, scuotendo la solidità del governo imperiale. Occorreva a Napoleone un successo clamoroso, che quietasse il malcontento e assodasse la sua posizione, lusingando l'orgoglio nazionale dei francesi : un ingrandimento territoriale verso quei confini naturali che da tanti secoli formavano la meta agognata della politica francese : il Belgio, il Medio Reno ... Siccome al Belgio non si poteva pensare per l'opposizione inevitabile dell'Inghilterra. rimaneva il Medio Reno, dove un ingrandimento sarebbe stato possibile nell'eventualità di un conflitto austiO-prussiano, che permettesse a Napoleone di intervenire quale mediatore ... Quindi quando Napoleone spingeva così fortemente il governo italiano a stringere l'alleanza con la Prussia, egli non era mosso soltanto dal desiderio di procurare all '1talia la conquista della Venezia, ma anche dalla speranza di creare una situazione tale da favorire i suoi progetti d'ingrandimento. E questi progetti sarebbero stati realizzabili più nel caso di una vittoria austriaca in Germania, che non nel caso di una vittoria prussiana, giacchè nell'opinione pubblica prussiana dominava il concetto che B;blioteca Gino 81,rnco

-8non si dovesse cedtre nemmeno un pollice di territorio tedesco. Cosl la politica napoleonica negli avvenimenti del 1866 doveva riuscire più ambigua che mai: favoriva l'alleanza italo-prussiana per condurre alla guerra nella quale l'Italia doveva trovare il Vtneto, ma la Prussia la rovina. I sospetti di Bismarck non erano quindi ingiustificati! Per tutto ciò l'alleanza italo-prussiana che avrebbe dovuto formarsi tanto facilmente e spontaneamente, data la convergenza degli interessi dèlle due nazioni, trovò fin da principio un 'atmosfera di sospetti e di diffidenze, che poi nuove malaugurate circostanze fecero sempre aumentare. L'attività del Bismarck ptr far prevalere i propri propositi. guerreschi a Berlino, fu febbrile nella fine del 1865 e nel principio del 1866, e parve trionfare in quello storico'Consiglio tenuto a Berlino, fra i principali personaggi dello stato, il 28 febbraio, ntl quale la necessità della guerra fu ammessa, e fu riconosciuta la convenienza della collaborazione con l'Italia. Ma è bene notare che il nome dell'Italia non fu accolto con eccessiva simpatia, e che il ministro Roon sostenne essere necessario che l'Italia troncasse i troppo stretti legami con la Francia. In dò si deve vedere l'effetto dei sospetti che ormai erano svegli in Prussia di fronte al contegno d Napoleone, e che, per quel che riguarda il governo italiano, erano tenuti vivi dalle relazioni tendenziose e false del conte Usedom, rapprestntante della Prussia in Italia ostile e inviso al La Marmora. E' giusto però riconoscere che in parte i sospetti prussiani riguardo ali 'Italia erano giustificati dal fatto che il La Marmora, sempre diffidente verso Bismarck, non aveva - e Bismarck lo sapeva - cessato di tentare pratiche con Vienna per la cessione del Veneto in una forma qualsiasi pacifica. Ma è anche vero che ancora nessun legame e nèssun impegn·o stringeva l'Italia alla Prussia. Dopo il 28 febbraio, invece, le trattative italo-prussiane presero una forma più concreta, perchè il Bismarck chiese al La Marmora l'invio di un generale italiano a Berlino, per trattarvi la questione militare, promettendo che in cambio avrebbe inviato a Firenze un generale prussiano, il Moltke. Il Moltke non venne, invece un B blioteca Gino Bianco

I -01 generale italiano arrivò a Berlino il 13 marzo, e fu il Gov9ne. L~ trattative fra Govone e Bismarck, alle quali prese parte anche il rappresentante d'Italia in Prussia, contè Barrai, durarono quasi un mese e attraversarono fasi assai critiche. Il La Marmora aveva inviato il Govone, dandogli istruzioni di andar cauto e guardingo, e di esiger dal Bismarck proposte concr~te di un trattato d'alleanza offensiva e difensiva pienamente reciproco. Come si vede la diffidènza del La Marmora non era cessata! D'altra parte il La Marmora aveva pensato, inviando il Govone, che la presenza di questo generale italiano a Berlino avrebbe potuto impressionare il governo austriaco, col quale ancora pendevano le trattative, e indurlo a Cèdere. Era questo quindi una specie di doppio giuoco da parte del La Marmora, pienamente lecito, dato il fatto che ancora nessun impegno esisteva tra Italia e Prussia, ma chè però non poteva certo preparare alle difficili e delìcate trattative un ambiente di chiarezza e di sincerità. Fatto sta che il Govone, arrivato a Berlino con la convinzione che la Prussia si stesse preparando alla guerra, e che Bismarck fosse pronto a proporre un vero trattato di all~anza, trovò che i più consideravano la guerra come un 'eventualità remota, e che Bismarck si limitava a far proposte vaghe e ambigue, che al più avrebbero impegnato l'Italia, lasciando libera la Prussia. A ciò il Bismarck era costretto dal fatto che, trovandosi ancora ben lontano dall'aver vinto tutte le riluttanz~ del suo Re, non poteva impegnarsi a un'azione concreta; ma il Govone, naturalmente portato alla diffidenza dalle istruzioni del La Marmora, vide nel contegno del Bismarck un motivo per esser più diffidente eh~ mai, e per rifiutarsi a ogni impegno. Ne segui fra i due una curiosa schermaglia sulla quale la diffidenza reciproca aleggiava : il Govone pensava che il Bismarck volesse soltanto strappare un impegno all'Italia, per Sèrvirsene a spaventar l'Austria e indurla a cedere alle pretesè prussiane, e poi abbandonare l'Italia alla sua sorte ; le stesse ipotesi circa l'Italia faceva per sua parte il Bismarck, che sapeva com~ il La Marmora avesse iniziato pratiche col governo di Vienna. A Firenze poi, il La Marmora, di fronte ai rapporti sconcertanti del B blioteca Gino Bianco

_ _. 10 - • { Govone, diventava più inquieto e più diffidente chf mal contro la Prussia, e i suoi dubbi erano a stento vint~\dalle pressioni che Napoleone faceva con ogni mezzo, sia per lettera, sia con inviati speciali, per spingere il governo italiano a firmare con la Prussia un accordo pur che sia, anche un semplice trattato generico d'amicizia. Non erano queste certo le circostanze più propizie per far sorgere fra i due stati che si dovevano alleare un'atmosfera di fiducia e di simpatia. Finalmente il 28 marzo Bismarck si decide a proporre uno schema di trattato, e chiede il consenso a La Marmora; questi telegrafa che prima di rispondere vuol la proposta per iscritto. La risposta dilatoria era dovuta al desiderio di La Marmora di guadagnar tempo per poter chiedere il parere di Napoleone per mezzo del conte Arese ; ebbene, il Bismarck la interpellò nel senso che il La Marmora volesse la proposta scritta per mostrarla, a Vienna e spaventare e costringere a cedere il governo austriaco! Le proposte del Bismarck furono alla fine accettate, e I'8 aprile fu firmato a Berlino il trattato d'alleanza in sei articoli, la cui sostanza era questa : l'alleanza doveva durare tre mesi, se in questo periodo la Prussia avesse dichiarato guerra all'Austria, l'Italia era impegnata a fare altrettanto; scoppiata la guerra, nessuna delle due potenze poteva fare armistizio o pace senza il consenso dell'altra, e ouesto consenso non poteva essere negato quando l'Austria avesse ceduto all'Italia i territori dell'antico reame Lombardo-Veneto e alla Prussia territori equivalenti. Il trattato non era troppo favorevole all'Italia, giacchè i non comprendeva la cessione del Trentino, come avrebber voluto La Marmora t Govone, e non era pienamente reciproco, giacchè non diceva che cosa avrebbe dovuto fare la Prussia, nel caso che l'Italia avesse attaccato per prima l'Austria o fosse stata da questa attaccata. Ma da Bismarck non era stato possibile ottenere di più, e d'altra parte Napoleone aveva in tutti i modi consigliato di accettare il trattato sotto quella forma, dichiarando che si sarebbe opposto se l'Austria avesse per prima aggredita l'Italia. Altro impegno però oltre a questo, non volle B blioteca Gino Bianco

- 11 - prendere l'Imperatore sul suo futuro contegno; e .ciò era sintomatico, e non certo fatto per distruggere i sospetti del Bismarck. Questi a ogni modo aveva trionfato : l'Italia, almeno per tre mesi, era legata alla volontà e ali 'iniziativa della Prussia, assicurava a questa quell'aiuto militare senza il quale, come diceva Moltke, sarebbe stato pericoloso attaccare l'Austria e gli Stati minori tedeschi; aveva dei doveri, non controbilanciati da equivalenti diritti, si esponeva a fare le ingenti spese di una mobilitazione che sarebbe stata inutile, qualora la Prussia non si fosse decisa a fare la guerra. Ciò tutto per opera di un trattato, che nella sua stessa forma risentiva l'effetto di quei sospetti e di quelle diffidenze italo-prussiane, che esso avrebbe dovuto distruggere per sempre ! Dal trattato dell'S aprilealla dichiarazionedi guerra. Le vicende dei mesi seguenti erano destinate ad aggravare sempre più la situazione delle due alleate una di fronte all'altra, situazione resa di per sè stessa cosi trista dalla recipreca diffidenza tra La Marmara e Bismarck e dal contegno ambiguo di Napoleone. Nell'aprile l'Austria comincia a giuocare uno strano giuoco politico: avanza alla Prussia amichevoli proposte per un disarmo simultaneo, proposte dalle quali veniva a Berlino rafforzato il partito che non voleva la guerra; più si volge minacciosa contro l'Italia, prendendo motivo da false notizie di armamenti italiani e di tentativi garibaldini contro Rovigo, e aumenta le proprie forze verso il Po. Di fronte a tali mosse, La Marmora non esita a rispondere con provvedimenti analoghi, e il 27 aprile giunge a far firmare il decreto di mobilitazione. Questo atto, destinato a rendere di nuovo probabile quella guerra che il precedente atteggiamento dell'Austria verso la Prussia pareva dovesse scon&iurare, riceve ben strane accoBiblioteca Gino Bianco

- 12 - glienze a Parigi e a Berlino. Napoleone prima sconsiglia e poi disaporova gli armamenti italiani, dando assicurazioni sulle intenzioni pacifiche dell'Austria; Bismarck chiama -•1egli armamenti precipitati, e quando il 1 ° maggio Govone Io interroga per sapere quale contegno avrebbe preso la Prussia, se la guerra fosse scoppiata fra l'Austria e l'Italia, egli prima risponde ambiguamente, dicendo che il trattato deJI'8 aprile non vincolava la Prussia a nessuna azion~ nel caso di una tale guerra, e soltanto in un secondo colloquio prende a nome del Re l'impegno di aiutare l'Italia, solo nel caso però che questa fosse aggredita. La spiegazione di questo strano e inquietante contegno di quegli uomini che poco prima avevano spinto al trattato l'Italia,' assicurandola che volevano la gu·erra, si può trovare soltanto se si suppone l'esistenza di trattative segrete austro-francesi. Napoleone. che voleva la guerra sopra tutto per far battere la Prussia, e che in eventualità di tale guerra voleva essere d'accordo con l'Austria (al che infatti riuscirà. come vedremo, col trattato segreto del 12 viugno), e che tra Italia e Austria non voleva una guerra sul serio, aveva spinto l'Italia al trattato, anzi a un trattato qualsiasi con la Prussia, perchè comprendeva che da sola la Prussia non si sarebbe mossa contro l'Austria; ma i suoi piani si trovavano scorcertati da una improvvisa azione bellicosa italiana, quale la Jasci,wan presumere gli atteggiamenti del La Marmora. D'altra parte Bismarck, col suo mirabile s~rvizio d 'informazioni, conosceva l'esistenza deIle trattative segrete franco-austriache ostili aJla Prussia, e, dati i suoi sospetti sul governo italiano, poteva immaginare che questo, legato intimamente con Napoleone, fosse connivente di queJle trattative : quindi neJia mossa del La Marmora e nella domanda che a nome di questi gli fece il Govone. potè vedere, egli diffidentissimo per natura, un tranello per trascinare aIIa guerra subito la Prussia, magari impreparata, e poi lasciarla sola alle prese con l'Austria. Di qui le risposte ambigue. Ma La Marmo·ra che nulla sapeva, perchè, a dire il vero, la diplomazia italiana non brillava allora nel servizio d 'informazioni segrete, dovette ricevere come ùn Biblioteca Gino 81dnco

~ 13 - colpo al cuore, apprendendo che Bismarck era così restio ad ammettere gli impegni della Prussia verso l 'ltalia. E sotto l'impressione disastrosa di questo awiggiamento bismarchiano, che dov,eva aumentare necessariamente .nel ministro italiano la diffidenza per il su~ ambiguo collega di Prussia, ecco giungere al La Marmora il 5 maggio da Parigi, tentatrice, abbagliante l'offerta della Venezia, prima a patto che l'Italia lasciasse libera l'Austria di rifarsi sulla Prussia in Germania, poi addirittura in cambio della semplice neutralità italiana ! (I). Era umano che La Marmora in quel momento ondeggiasse, e, sia pure per un istante, provasse la tentazione di abbando- . nare l'infido alleato al suo destino : e il mezzo c'era, anche senza ricorrere a un vero e proprio tradimento : bastava lasciar trascorrere i tre mesi per i quali era vigente il trattato; se entro 1'8 luglio la guerra non ,era dichiarata, l 'I talia era libera dai suoi impegni, e a far passare quei mesi potevano servire le lungaggini di un Congresso. La Marmara infatti ne insinua l'idea a Parigi; subito però la sua onesta e leali:) natura riprende il sopravvento, e dichiara che il Congresso era possibile solo nel caso che anche gli interessi prussiani vi fossero tutelati, e che non fossero sospesi nel frattempo gli armamenti. Ma intanto l'idea del Congresso, che qualche giorno prima era stata ventilata dai governi di Londra e di Pie~ troburgo, raccolta e propugnata da Napoleone, pareva avesse .fortuna. Tra Parigi, Pietroburgo e Londra le trattative fervono per tutto il mese; i punti da discutersi sono fissati in questi trç: liberazione della Venezia e garanzie per il potere temporale dei papi; questione dei Ducati dell'Elba, riforma federale in Germania; il 25 maggio sono inviati gli inviti per l'adesione all'Italia, alla Prussia, all'Austria e alla Confederazione germanica. Mentre si svolgevano queste trattative, Bismarck traversava uno dei più terribili e angosciosi periodi della sua vita. I suoi agenti lo avevano informato delle manovre (I) Questa offerta della Venezia, fatta dall'Austria per mezzo di Napoleone allo scopo di render l'Italia neutrale in una guerra austro• pn:ssiana, non costituisce forse una prova eloquente che nell'aprile corsero trattative segrete tra Parigi e Vienna contro Berlino? · B bhoteca Girio 81anco

14 - segrete tra Parigi e Vienna, egli aveva subodorato qualche pressione sull'Italia, e, diffidente come era contro il La Marmora, e aizzato dalle false è infami relazioni dell 'Usedom, sospettava che l'Italia avesse ceduto. Assillato da questi terribili dubbi, messo in nuove ansie dalla proposta del Congresso, nella quale vedeva un tranello, il Bismarck si mostrava sospèttoso e brutale coi rappresentanti d'Italia e di Francia, minacciava rappresaglie, tentava di scrutare la sfingea impenetrabilità di Napoleone, facendogli fare offerte tentatrici sulla Mosella e sul Reno, e traeva argomenti di nuovi dubbi e sospetti dal silenzio e dall'impassibilità dell'Imperatore. E anche, spinto al parossismo della diffidenza, il Bismarck arrivava nel maggio a ordire una manovra indegna contro l'Italia : tentava segreti approcci con Vienna, per giungere a una conciliazione su questt basi: la Germania divisa in due sfere di influenza' tra Austria e Prussia, l'Austria libera di gettarsi sull 'ltalia, la Prussia libera di gettarsi sulla Francia, e di anticipare cosi di qualche anno la conquista dell'Alsazia. Queste manovre che fallirono solo per l'opposizione del governo austriaco, mèttono in chiara luce la lealtà con la quale il governo prussiano rispettava gli impegni presi con l'Italia nel trattato dell '8 aprile ! L'Austria così come aveva mandato a monte le manovre segrete di Bismarck, manda a monte il Congresso, dichiarando il 1 ° giugno di non poter aderire, se prima tutte le pot.ènze non si impegnavano a non volere ingrandimenti nel Congresso stesso. Questa mossa inaspettata dell'Austria rese inevitabile la guerra, che tanto poi doveva indebolire l'Austria stessa. e appare davvèro inesplicabile, se non si suppone che l'Austria si teneva sicura di battere la Prussia, e, nel tempo stesso, per gli accordi segreti con Napolèone, era sicura della Francia e credeva di poterlo essere, in un certo senso, anche dell'Italia. Posta a scegliere tra il Congresso, nel quale era certa di perdere i Ducati e la Venezia, e non era certa di avere compensi equivalenti, e la guerra, nella quale sperava di vincere, l'Austria doveva fatalmente volere la guerra, che al pjù le avrebbe fatto perdere la Venezia, da cedersi all'Italia: ma le avrebbe permesso di fiaccare la potenza Biblioteca Gino Bianco

prussiana, sempre crescente, di spazzar via Bismarck, sempre più inquietante, e di prendere non solo i Ducati elbani, ma anche, in compenso della Venezia, l'agognata e rimpianta Slesia. Così si spiega il contegno del governo austriaco, che prima manda in fumo le trattative segrete proposte da Bismarck e poi fa, naufragare l 'idça del Congresso pacificatore; come, d'altra parte, il silenzio di Napoleone di fronte alle proposte allettatrici fatte dal Bismarck nel maggio, si spiega soltanto se si pensa che tali proposte Vçnivano fatté troppo tardi, quando già Napoleone si era accordato e impegnato con l'Austria. Del resto, la prova ultima e più luminosa delle trattative segrete franco-austriache a danno della Prussia, si trova nel trattato segreto concluso dai due govçrni il 12 giugno, quando la guerra appariva imminente. Con esso si stipulava: che Napoleone, in caso di guerra, si sarebbe mantenuto neutrale e avrebbe fatto tutti i suoi sforzi per ottçnere uguale atteggiamento dall'Italia; che gli eventuali rimaneggiamenti in Germania sarebbero stati fatti d'accordo tra Austria e Francia; che l'Austria, quali si fossero state le sorti della guerra, avrebbe ceduto la Venezia a Napoleont; che l'eventuale retrocessione della Venezia all'Italia sarebbe stata subordinata a condizioni assai gravi per 1'Italia, quali la conservazione del potere temporale, l'inviolabilità della nuova frontiera italoaustriaca, l'obbligo di non fortificare Venezia, e simili; che Napoleone non avrçbbe impedito l'eventuale sfacelo dell'unità italiana, qualora questo fosse determinato da movimenti spontanei interni. Questo trattato è davvero prezioso, perchè ci dimostra a luce meridiana che l'atteggiamento di Napoleon<! nel 1866 non fu, come vorrebbero certi scrittori francesi, determinato dal suo sviscerato amore per l'unità italiana e dal desiderio di compierla a ogni costo, anche ingrandçndo la Prussia e quindi danneggiando la Francia : Napoleone pensò anzi tutto al proprio interesse, all'abbattimento cioè della Prussia e a un ingrandimento sul Reno; a tale scopo spinse l'Italia al trattato, senza il quale la Prussia non si sarebbe mossa, e poi subito dopo iniziò quelle trattative Sçgrete con l'Austria, che condussero al significativo trattato del 12 giugno.

- 16 - Naturalmente, tutto ciò era subordinato alla sconfitta prussiana; ma chi dubitava, specialmente in Francia, della vittoria austriaca, anche contro tutti e due gli avversari? Naturalmente, per rendere più facile tale vittoria, era bene che l'Italia non si impegnasse troppo nella guerra, e lasciasse così l'Austria libera di portare il suo sforzo maggiore in Boemia. Ebbene, proprio questo concetto noi vediamo spuntarp nelle parole dall'Imperatore dette al Nigra il 12 giugno e dal Nigra riferite con certa compiacenza : poter accadere durante la campagna che fosse utile che I'I talia non facesse la guerra con troppo vigore! E lo stesso concetto ritornava nel colloquio fra Napoleone e Nigra il 23 giugno, quando l'Impòratore affermava che avrebbe potuto essere utile a noi de ne pas pousser les choses à bout ! Il Bismarck non conobbe questo trattato che lo avrebbò fatto balzare di terrore; ma anche senza di esso, altri motivi alla fine di maggio e al principio di giugno, eran sopravvenuti a rendere il ministro prussiano più diffidente e sospettoso chp mai sul conto dell'Italia e della Francia. Ali 'Usedom si era aggiunto a Firenze un altro prussiano, il Bernhardi, scrittore di cose militari, venuto con posizione ufficiale non ben definita e con l'incarico apparente di seguire come storiografo la campagna, in realtà con la missionp di dar consigli energici per il .piano di guerra al La Marmora, che i Prussiani consideravano troppo timido. Il piano che a Berlino si sarebbe voluto veder adottato dal governo italiano si basava su questi punti sostanziali : marcia ardita dell'esercito regolar,e attraverso il Veneto verso il confine, eludendo il quadrilatero: insurrezione in Ungheria, fomòntata da denaro italiano e prussiano, e aiutata da uno sbarco di volontari in Dalmazia. Il La Marmora, che non voleva ingerenze straniere nel piano italiano, ç non riconosceva nel Bernhardi veste alcuna ufficiale, accolse molto freddamente e il Bernhardi stesso e le sue proposte; il che naturalmente bastò perchè il Bernhardi si unisse all'Usedom nella ·bassa opera di diffamazionp contro il La Marmora presso il Bismarck, e contribuisse quindi ad aumentare in questi i sospetti contro il ministro italiano. E anche la questione B bllotèca Gino 81c1nco

- 17 - della sollevazione ungherese contribuì ad aggravare la trista situazione; disgraziata questione, perchè se I'insurrèzione poteva essere possibile nel 1861. quando ne trattava il Cavour col Kossuth, data l'irritazione che allora animava gli ungheresi contro Vienna, era impossibile nel 1866, quando già il Deak aveva iniziata l'opera di riavvicinamento con il governo austriaco. Il La Marmora che, del resto, non aveva mai avuto simpatia per le trattative segrete coi ribelli ungheresi, aveva fatto accennare fugacemènte ali' eventualità di secondare con denaro una insurrezione in Ungheria, nei colloqui che il Govone aveva avuto col Bismarck al principio di maggio. Allora il Bismarck aveva lasciato cadere la proposta; ecco invece che alla fine di mag~io la proposta fu ripresentata proprio dallo stèsso Bismarck. Meraviglia sospettosa del La Marmora e suo rifiuto; e allora naturalmente nuovi sospetti e diffidenze da parte del Bismarck. Ciò che è più grave in questa questione ungherese, è che su di essa gli uomini che dirigevan lo stato italiano non erano d'accordo. Mentre La Marmora declinava le proposte del Bismarck, il comm. Cerruti, segretario generale del Ministero. le secondava di propria iniziativa; il Ricasoli, preconizzato succèssore del La Marmora. teneva pratiche cogli esuli d'Ungheria; il Re era favorevolissimo e maqdava a Berlino il generale ungherese Tiirr a trattare col Bismarck, e invocava apertamente il giorno in cui La Marmora sarèbbe partito per il campo e al suo posto si sarebbe trovato il Ricasoli, che avrebbe fatto tutto per l'attuazione dei piani ungheresi. Veramente La Marmora, secondo le buone norme militari, si sarebbe dovuto trovare già da un pezzo al campo, nèlla sua aualità di Capo dello stato maggiore, perchè la situazione stava precipitando. L' 11 giugno Bismarck, ormai deciso a giuocare la grande partita, aveva fatto invadere I'Holstein provocando con ciò le proteste dell' Austria davanti alla Dieta confederale; il 14 le relazioni diplomatiche fra i due governi erano state rotte, e la Dieta si preparava a votare la mobilitazione dell'esercito federale contro la Prussia. Di qui Bismarck aveva preso il motivo per dichiarare la Prussia uscita dalla Confederazione, e lanciare il progi:1ttodi un parlamento germanico , B blioteca Gino Bianco

-1s- I eletto a suffragio universale, facendo nello stttsso tempo invadere l'Assia, la Sassonia e l 'Hannover (16 giugno). Era la guerra. Solo il 17 giugno La Marmora potè lasciare Firenze per andare al camoo. e ciò in causa del fatto che il Rica• soli, destinato suo successore, non era riuscito ancora a formare il nuovo Ministero. E la sua presenza al campo era, più che necessaria, urgente. perchè a norma del trattato 8 aprile, l'Italia doveva dichiarare la guerra immediatamente dopo che le ostilità erane state iniziate dalla Prussia. Il La Marmora appena giunto al campo, il giorno 18, avrebbe dovuto mandare la dichiarazione, in vece il consenso del re giunss:l soltanto il 19 sera, e la guerra si potè dichiarare soltanto la mattina del 20, con un ritardo, piccolo invero, ma tale da non impressionare bene il Bismarck, già mal disposto per tante precedenti circostanze. Intanto quasi per far continuare proprio fino allo scoppio della guerra la trista nube di sospetti e di diffidenze fra i due governi alleati. proprio la mattina del 19 giugno il La Marmora riceveva la famosa nota indirizzatagli dall 'Usedom il 17, poco dopo la partenza del La Marmora da Firenze. Tale nota, insultante nella forma e nel contenuto, pretendeva di insegnare al Capo di stato maggiore italiano il piano mhdiore di guerra in base ai concetti 11:iàsostenuti dal Bernhardi. La fattura della nota era, dell'Usedom, ma l'ispirazione veniva da Berlino, dal Bismarck, dal Moltke, dal Principe Reale, sospettosi che il La Marmora volesse indugiarsi a fare una guerra da burla intorno al Quadrilatero per compiacere Napoleone; per tali personaggi il mezzo migliore per sventare i piani nefasti del La Marmora e costringerlo a un 'energica azione oltre il confine, era quello di imps;lgnarlo a fare la diversione in Ungheria. Tale la fiducia degli alleati mentre scoppiava la guerra! B,blioteca Gino Bianco

- 19 ..... La preparazionemllltare • Custoza. Il governo italiano aveva avuto il tempo per prepararsi alla guerra, giacchè dal giorno della mobilitazione allo scoppio delle ostilità erano trascorsi quasi due mesi, durante i quali si era avuto agio di rimettere in esercizio gli uomini delle classi richiamate. Ma a una seria e completa preparazione erano statt di ostacolo le critiche situazioni del Bilancio, che avevano spinto alle più grandi economie : si erano venduti cavalli, muli e carri dell'esercito, si erano messi molti ufficiali in licenza straordinaria, si era rimandata la chiamata della classe 1845 per riuscire a risparmiare 20 milioni. La situazione era tale che quando, nel gennaio 1866, il La Marmora dovette rinnovare il suo ministero, nessun generale voleva accettare il portafoglio dtlla guerra, tanto che il La Marmora fu costretto ad abusare dell'amicizia del generale Pettinengo, telegrafandogli senz'altro che era stato firmato dal re il decreto che lo nominava ministro della guerra. Per tutto questo, l'esercito italiano non fu nella prima, vera del 1866 cosl preparato e numeroso come avrebbe potuto essere, pur tuttavia - senza contare i 40.000 volontari messi sotto il comando di Garibaldi - comprendeva 220.000 uomini. 37.000 cavalli e 456 cannoni, ed era ripartito in 20 Divisioni. Dato l'avvicinarsi della guerra, dut questioni fondamentali si dovevano affrontare e risolvere : quella del comando supremo e quella del piano di guerra. Purtroppo nè l'una nè l'altra fu risolta in modo chiaro e deciso. La questione del comando presentava una prima difficoltà per il fatto che il Re voltva in persona andare al campo, e assumere la direzione del suo esercito, desiderando di avere come suo capo di stato maggiore il generale Petitti. Ma oltre il Petitti, tre generali parevano adatti a coprire· quella carica, che in realtà era la suprema : il Della Rocca, già capo di stato maggiore nel Biblioteca Gino 81dnco

- 20 -- 1859 ; il La Marmara, il Cialdini. Escluso il Della Rocca, perchè ad ubbidire a lui non si sarebbero piegati nè il La Marmara nè il Cialdini, rimanevano gli altri fra i C1ualisi doveva fare la scelta. Questa era ancor più e:rave, perchè ad essa era subordinato il piano di guerra da adottarsi, avendo ciascuno dei generali una sua concezione particolare in proposito. II Cialdini ideava di concentrare 1'esercito sulla destra del basso Po, passare il fiume a monte di Ferrara, aggirare il Quadrilatero, muovere su Padova e di· qui puntare sulle comunicazioni fra il Veneto e l'Impero, dando battaglia, se il nemico fosse uscito dalla zona fortificata, o, in caso contrario, lasciando un corpo d'osservazione. Anche il Petitti vedeva con simpatia questo piano, che si avvicinava alle idee esposte nella nota di Usedom. II La Marmora aveva invece una concezione opposta : invadere il Quadrilatero dalla sinistra del Po; se il nemico avesse accettato la battaglia, darla, approfittando delle proprie forze prevalenti, in ·caso contrario bloccare le fortezze e invadere il Veneto. Più grave ancora di questo dissidio fondamentale tra il La Marmara e il Cialdini, è il fatto che i due generali avevano discusso a Firenze, nell'aprile, intorno alle loro concezioni opposte, e nessuno dei due aveva rinunciato alle proprie idee, senza però arrivare a manifestarlo chiaramente. Venuta in discussione la scelta del capo di stato maggiore, il La Marmora offri ripetutamente la carica al Cialdini, ma questi rifiutò, sia perchè temeva, con la presenza del re al campo, di non avere la necessaria libertà d'azione, sia perchè prevedeva screzi col La Marmara, che sarebbe stato in sottordine a lui. Intanto urgeva prendere una decisione, perchè gli avvenimenti precipitavano. Per risolvere tutti i gravi quesiti sorti col rifiuto del Cialdini, con il desiderio del re di esercitare un comando al campo, avendo il Petitti al suo fianco, e infine col fondamentale contrasto tra il piano del La Marmara e quello del Cialdini, si ricorse a una via di mezzo, che fu esiziale, come lo sono tutte le vie di mezzo, nei momenti in cui occorrono decisioni ben nette. Si stabili di scindere 1'esercito regolare in due armate : una del Mincio, di tre corpi d'armata a quattro divisioni, l'altra del Po, costituita dal solo quarto corpo d'armata, 8 blioteca Gino Bianco

ll - 21 - un mostruoso corpo di otto divisioni ; questa doveva esserè comandata dal Cialdini, l'altra dal La Marmora, col titolo di Capo di stato maggiore e di ministro al campo senza portafoglio; il Re avrebbe avuto il comando supremo, avendo a sua disposizione una grossa riserva e ai suoi ordini il generale Petitti, nominato aiutante genèrale per coadiuvare il Capo di stato maggiore generale. Il corpo di volontari era destinato a operare nel Tirolo, ciò che riusciva ostico a Garibaldi. il quale era invece innamorato dèl concetto della spedizione oltre Adriatico. Cosl l'unità del Comando, preziosa, indispensabile per il buon esito della guerra, andava irremissibilmente perduta. Si salvava almeno l'unità nello svolgimento delle operazioni? No, e ciò in conseguenza dèl fatto che nè il Cialdini, nè il La Marmora vollero rinunciare alle idee fondamentali dei loro oiani, e, quel che è peggio, nel colloquio avvenuto fra di loro a Bologna il 17 giugno, tre giorni prima della dichiarazione di guerra, non chiarirono bène le loro reciproche posizioni, lasciandosi ciascuno dei due nella persuasione che l'uno avesse aderito alle idee dell'altro. In conseguenza di questo equivoco fatale, il Cialdini credette accolta la sua proposta tendente a far sl che l'azione dal Mincio fosse limitata ad una dimostrazione per trarre in inganno il nemico e facilitare all'armata del Po il passav<!'iodel fiume ; il La Marmora credette invece convenuto che l'azione dell'armata del Mincio doveva aver carattere, di operazione a sè, senza particolari accordi preventivi con l'altra. Insomma, per il Cialdini l'azione dell'armata dèl Mincio doveva essere secondaria e subordinata a quella dell'armata del Po, per il La Marmora, invece, le due azioni dovevano essere cooperanti, ma senza reciproca dipendenza. Così l'esercito regolare era diviso in due parti, delle quali, si noti bene, una inferiore numericamente al nemico al quale andava incontro, e veniva mandata senza unità di comando, senza che i capi supremi fossero concordi nell'azione, contro un nemico risoluto, compatto, unito nel cerchio formidabile del Quadrilatero. comandato da un solo capo energico e intelligente. Si aggiunga a tutto ciò che il Capo di stato maggiore B blloteca Gino Bianco

-=- 22 assunse le sue funzioni due giorni prima dello scoppio delle ostilità, e che fino a quèl momento nessuno diresse la preparazione della guerra. E noi assistiamo a fatti singolari : il gen. Cialdini si rivolgeva direttamènte al ministro Pettinengo, il generale Pelitti si dirigeva invece al La Marmora, il ministro Pettinengo si lagnava perchè Cialdini portava via la parte migliore dei soldati e del matèriale; al Cialdini, al quale si eran prima accordate sei divisioni, altre due furono aggiunte per fargli cosa gradita, cosl' che quel generale che al principio di maggio aveva dichiarato di non sentirsi la forza di comandare più di tre divisioni, si trovava alla metà di giugno alla testa di una armata formidabile di otto divisioni ! Se volgiamo gli occhi alla preparazione della Marina, che in una guerra contro l'Austria doveva averè, come si prevedeva e voleva, una parte importantissima, non possiamo fare constatazioni più liete. La flotta italiana era nel 1866 superiore a quella austriaca per qualità e numero di navi, ma non quanto avrebbe potuto èSserlo, date le somme spese per essa : ciò sia per i troppi cambiamenti di ministri (nove in cinque anni), sia perchè nelle costruzioni navali non si eran seguiti sempre criteri razionali e logici. Ma più chè nel materiale, la deficienza si sentiva nel personale. Qui si sentivano gli effetti dei diversi elementi veneti, napoletani e sardi che si erano uniti, ma non fusi; vi erano attriti personali, poco spirito di disciplina anche fra gli alti ufficiali ; sicchè la marina poteva dirsi un conglomerato di ·clièntele e di protezioni, non un corpo solidamente cementato e- organizzato. E vi era l'insufficienza dei capi, cominciando dal Persano, al quale per necessità andava il supremo comando. Il Persano, a proposito della guerra contro l'Austria sosteneva. che « il mèglio per noi non consisteva nel! 'attaccare, ma bensl nello stare sulle difese e tenere in moto il nemico, il quale avrebbe naturalmènte a temere un attacco imprevisto su tutte le sue coste ». E a lui faceva degnamente eco il Vacca, il quale sosteneva che il miglior modo di impegnare la nostra flotta, era non tenerla unita contro il nemico, ma distribuirne le varie unità principali lungo le coste dèlla penisola, in modo da costituire una dife~a a cordone contro qualsiasi aggressione nemica ! Biblioteca Gino Bianco

- 23 - Il Persano che ebbe sotto di sè una squadra di 25 navi, di cui 12 corazzate, non aveva mai comandato più di 5 o 6 navi in legno, e ignorava le nuove tçorie per le evoluzioni delle squadre di corazzate, formulate nel 1864 dal Bouet de Villaumez ~ subito accolte dovunque. Solo quando la squadra si trovò concentrata a Taranto, arrivarono, chieste in fretta e furia in Francia, lt copie di quel libro, e solo allora furono distribuite agli ufficiali. L'istruzione della squadra si presentava manchevolissima : le esercitazioni erano rare, pochissimi i tiri, poche le manovre, poche lç navigazioni, sempre compiute esclu- · sivamente a vela. E non si era mai studiato seriamente un piano di guerra, pur mentre la guerra era preveduta e desiderata. Nel dictmbre 1865 fu nominata una Commissione per studiare « le varie operazioni marittime che una squadra potesse e dovesse compiere in Adriatico, in caso di guerra con l'Austria » ma il suo lavoro non fu pronto che dopo la mobilitazione! In queste condizioni la nuova Italia si presentava alla sua prima grande prova. La fiducia della nazione era tuttavia profonda, e la dichiarazione di guerra fu accolta con ·sollievo e con gioia. Le lotte dei partiti sparirono, Mazzini dette l'esempio, raccomandando ai repubblicani di cooperare alla guerra, e la concordia si f~ce intorno al Governo. Questo fu autorizzato a imporre tasse con reale decreto, le difficoltà finanziarie furono ovviate rendendo forzoso il corso dei biglietti di banca, e fu votata una legge di Crispi per reprimere le eventuali cospirazioni interne, mentre i volontari affluivano in sl gran massa che fu necessario sospendere gli arruolamenti. Tanto slancio d'entusiasmo doveva essere invano! Non erano ancora spente lt vibrazioni suscitate dalla dichiarazione di guerra, che già la notizia di Custoza veniva a gettare il gelo nell'animo della nazione. Le ostilità cominciarono, come era stato preannunciato nella dichiarazione di guerra, il giorno 23. Il disegno dèllo Stato Maggiore era di far passare il Mincio ai due corpi d'armata comandati dai generali Durando e Della Rocca, mentre tutto il corpo d'armata del Cucchiari doveva rimanere a guardar Mantova e a tentare d'impadronirsi di Borgoforte, o mentre il Cialdini con la sua armata doveva Biblioteca Gino B1dnço

- 24 - operare per suo conto e preparare il passaggio del Po presso Ferrara. Queste di~posizioni erano state prese nella fiducia che gli Austriaci nella loro campagna d'Italia sarebbero rimasti sulla difensiva opèrando il loro schieramento dietro l'Adige, appoggiandosi a Verona ed occupando Rovigo, ma tale fiducia era sbagliata: l'Arciduca Alberto, comandante dell'esercito austriaco, non era uomo1 da rimaner inoperoso sull'Adige, mentre la fortuna gli~ prèsentava l'esercito nemico diviso in due parti, e gli dava la possibilità di affrontarlo separatamente. Egli con abilità strategica notevole aveva deciso di buttarsi prilJ]a sul La Marmora, di tentare di batterlo mentre Cialdini era impegnato nelle gravi difficoltà del passaggio di un grande fiume, e di rivolgersi poi contro il Cialdini, dopo aver paralizzato il La Marmora. In conseguenza di questo piano, mentre gli italiani operavano il passaggio del Mincio, l'Arciduca faceva passare al suo esercito l'Adige e decideva di attaccare le forz~ avversarie sul fianco, operando una conversione a sinistra di tutta la sua armata sulla linea Oliosi-San Rocco di Palazzolo-Somma Campagna. Queste posizioni erano · occupate alle tre di mattina del 24 giugno, proprio mèntre le divisioni dei corpi d'armata Durando e Della Rocca, si preparavano a marciare verso Sona-Santa Giustina e Villafranca-Sommacampagna, credendo che il nemico fosse ancora sull' Adigè. Le forze italiane furono così sorprese ed attaccate dagli austriaci. A sinistra due divisioni del corpo Durando furono investite successivamente in posizioni sfavorevoli tra Valeggio e Oliosi, e dopo aver tenuto f~rmo tutta la mattina, furono costrette a ritirarsi in disordine. Un'altra divisione del corpo Durando, comandata dal generalé Brignone, attaccata sulle alture di Custoza resistette come potè, ma non aiutata, contro forze sovèrchianti, dovette cedere prima di mezzo,giorno. Le sue posizioni furono riprese dalle divisioni Cugia e Govone del corpo d 'armata Della Rocca, queste truppe fecero eroicamentè il loro dovere, ma esaurite dal caldo e dalla mancanza di cibo e di munizioni, non rinforzate nonostante l'urgente bisogno. attaccate da superiori forze austriachè, dovettero anch'esse cedere. Alla sera Custoza fu sgombrata. Biblioteca Gino Bianco

- 25 - La battaglia era perduta. La ritirata verso il .Mincio fu protetta a sinistra dal gen. Pianell, che con la su::i energia e la sua iniziativa aveva in qu~l settore migliorate le condizioni italiane, a destra dalle divisioni Bixio e Principe Umberto del cÒrpò d'armata Della Rocca. Nella notte gli italiani ripassarono il Mincio, senza che gli austriaci tentassero !.'inseguimento. Tale fu la battaglia di Custoza. Se è vero che in guerra vince chi commette meno errori e sciocchezze, noi a Custoza non potevamo vincere, p~rchè troppo lunga, troppo schiacciante fu la serie delle sciocchezze e degli- errori. Il Comando per tutto il giorno 23 prese le sue disposizioni in base al concetto che gli austriaci stessero ancora sull'Adige; la divisione di cavalleria, che avrebbe potuto far servizio d'esplorazione e d'informazioni, non esegui ricognizioni oltre Villafranca ; il gen. Cerale, che fu avvertito dell'avanzata dei nemici sulla strada V~rona-:. Peschiera, non credette necessario darne notizia al comando supremo. Nelle istruzioni ai comandanti dei corpi d'armata non fu detto s~ e dove si sarebbe trasferito il comando supremo, non fu fatta parola della riserva d'artiglieria, che rimase perciò indietro dimenticata a Piadena; nessun ordine fu dato per il grosso carreggio, che perci.ò fu condotto tutto al seguito delle divisioni, e ri~scl così d'indicibile ingombro durante la battaglia e nella ritirata; infine a ciascun corpo d'armata fu ordinato di muovere prima ·delle 4 senza precisar l'ora, cosi che quello Durando mosse alle 3.30 e quello Della Rocca alle 1.30 ! Durante la marcia, la divisione Cerale fece un giro vizioso e venne a trovarsi sulla strada della divisione . Sirtori: l'avanguardia del Sirtori si trovò davanti alla divi-. sione Cerale, cosi che il Cerale proseguì cori due avanguardie, mentre Sirtori rimaneva senza. Le mosse degli italiani furono così sbagliate che nel settore di sinistra 22.000 italiani urtarono e a spizzico contro 32.000 austriaci, nel settore di destra intorno a Custoza tra mattina e sera 24.000 italiani si trovaron contro a 48.000 austriaci, nel pomeriggio la lotta si svolse tra 30.000 austriaci e 15.000 italiani, mentre altri 20.000 si trovavano a poche ore di marcia inerti. Il comandante del III corpo, Della Rocca, rimase a Villafranca a bere la B blioteca Gino 81c1nco

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