Alessandro Dudan - Dalmazia e Italia

Bl H. 24 - 19 luglio 1915 PUBBLICAZIONE S TTIMANALE ContoCorrenti con la posta ~~~~~}-~ F <Df V PROBLEMI IT l\LIJ\NI tJ '\71' ~ ❖ -'► ~~ A. DUDRN J Ic 1 i DALMAZIA i, ~lll - g~ ½ E ITALIA f 1t 1r :X, ~ "\o ------- ' RAVA & C. EDITORI - MILANO (. ~~-ll~4 ~ I lt\JV

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PROBLEMI ITfiLif'iNI XXIV. f\LESSf\NDRO DUDf\N DlìLMlìZilì E ITlìlllì MILflNO RflVfl & C. - EDITORI 191(5 B1bioteca G1'loBianco

PROPRIETÀ RISERVATA TIP,LIT.RIPALTA•MILANO Biblioteca Gino Bianco

···············~···· La Dalmazia è geograficamente terra Italiana. - L a repubblicadi Ragusae gli sbocchi della Bosnia-Erzegovina al mare. La Dalmazia, come non fu mai nè per storia nè per civiltà terra balcanica, non lo è nemmeno per la sua posizione geografica e per la sua conformazione orografica, sebbene faccia parte dell'orlo occidentale d,i quel triangolo d'Europa proteso nel Mare Mediterraneo. che ha per base la longitudine da Trieste alle foci d~I Danubio e per vertice il capo Matapan e che è detto dai geografi moderni penisola balcanica. Essa invece, e per storia e ptr civiltà e per po~i!zione geografica, è terra italiana e tale la dicevano anche tutti i trattati di geografia anteriori alla separazione del Veneto dalle terre della sponda orientale dell'Adriatico, separazione avv~- nuta appena nel 1866. La Dalmazia si trova tutta entro quella corona delle Alpi, che sono il confine naturale d'Italia. Le ultime propaggini del grande sistema alpino, le Alpi Dinariche in lunga catena di cime elevantisi a 1700 e 1800 m. corrono, formando un potente dorso granitico di confine, dal V.elebit, che divide a settentrione la Dalmazi•a dalla Croazia, a11'Orien, che sovrasta 1~ Bocche di Cattaro e con i suoi 1895 metri di ahezza domina anche il Lovcen montenegrino. Il versante occidentale e meridionale di queste Alpi è la Dalmazia, una striscia lunga di circa 500 Içm. di spond~ (s~nzp. contii.rvi le cento isole ?Cl Biblioteca Gino Bianco

-6isolette del suo arcipelago) che da una larghezza massima di 60 km. al nord fra il mare e il confine bosniaco va assottigliandosi a sud fino ad una larghezza minima di 5 km. e copre una superficie complessiva di 12.900 kmq. Questo è il versante adriatico, il versante latino, italiano, tributario con tutti i suoi fiumi, con tutti i suoi corsi d'acqua, nascenti dai monti Dinarici, del mare latino, del mare italiano, del!' Adriatico, come ne sono tributarie le Alpi trentine, l'Alto Adige, le Alpi Dolomitiche, le Alpi Giulie. Mentrç invece subito dal confine d"i Dalmaz:a comincia il versante orientale, balcanico, la Croazia e la Bosnia-Erzegovina tributarie con le loro acque del Danubio (per mezzo della Sava e della Drina) e quindi del Mar Nçro. In un solo punto le Alpi Dinariche subiscono una interruzione di continuità ed un corso d'acqua uscente dall 'ErzegovtÌJna in breve pianura le fende e si apre uno sbocco nel paludoso delta di Fort-opus, ove un cii sorgeva Narona romana, di cui gli abitanti di qupi, luoghi narrano di veder le rovine entro i flutti del fiume Narenta presso la torre veneziana di Norino, posta a difesa contro i Turchi. E qui la geografia si connette alla storia. Qui appresso era il confine meridionale della Dalmazia veneziana. Qui cominciava il territorio della piccola ma gloriosa repubblica marinara dr Ragusa, gloriosa nei commerci, nelle letter.e e nelle arti, superba della sua indipendenza fondata sui diritti municipali, originari romano-italici e durata fino al 1808, quando un colpo di mano del genera,le Marmont la sacrificava alle brame d'impero del grande uguagliatore Napoleone. Ma subito oJ.tre il terri.torio della repubblichetta di S. Biagio ricominciavano le te-rrç di S. Marco, con le Bocche di Cattaro, con Budua e con Spizza, che allora facevan parte non della Dalmazia, bensl dell'Albania veneziana. Apoena l'amministrazione austriaca ·ebbe queste terre con il Congresso di Vienna nçl 1815 (Spizza soltanto con il Congresso di Berlino nel 1878), le riunl in una sola provincia, neJ.la Dalmazia odierna. Ma oggi ancora esistono di fatto gli antichi confini divisori, poichè fra l'antico territorio della erpubblica di Ragusa e i domini veneziani a nord e a sud avanzavano fino al mare due B blioteca Gino Bianco

-7cunei territoriali, appartenienti all'Erzegovina turca,, (9ra dopo il 1878 austro-ungarica) e isolanti, Ragusa dai territori della temuta Venezia. Cosl l'Erzegovina arrivava ed arriva anche oggi con due sbocchi all'Adriatko: uno a sud delle foci del Narenta con 20 km. di sponda nella baia di Neum-Klek (atta a divenir un buon porto, sie la indolenza turca prima e le competizioni fra Austria e Ungheria per il condominio in Bosnia Erzegovina poi non lo avessero impedito) e !',altro di 10 km. nella primn gola delle ~ocche di Cattaro, nella Baia di Topla-Suuorina, pure suscettibi.Je di sviluppo commerciale. L'altipiano ,croato, che dal Velebit al nord della Dalmazia si estende per 120 km. di costa (litorale croato) fino a sud di Fiume italiana, non divide,. non separa la Dalmazia dall'Istria e dalle a-ltrie province italiane geograficamente, come non ha ma,i impedito la loro unione politica e civile nella storia, sebbene Venezia mai avesse esteso il suo dominio su quel litorale. La continuazione geografica ed orografica della Dalmazia verso settentrione, è nelle sue isole di Pago, d'i Arbe, di Veglia e di Lussino, tanto vicine quest'ultime all'Istria, che l'amministrazione austriaca ha ritenuto opportuno di unirle politicamente a quella provincia e tanto vicine l'una a l'altra che esisteva un progetto (e già si era fondato a Vienna un consorzio di capitalisti per attuarlo) di collegare il tronco morto dielle ferrovie dalmate lungo le isole di Pago e di Veglia mediante ferry-boats e ponti girevoli alla rete ferroviaria d'Istria e quindi d'Europa. Poichè la Dalmazia, se sù eccettua la ferrovia strategica a scartamento ridotto sboccante dall'Erzegovina a mezzodl del Narenta a Metcoviich, a Gravosa e a Castelnuovo. non è ancor oggi unita alla -rete ferroviaria europea. L'ammiragliato austro-ungarico per sue viste speciali mise il veto alla costruzione di questa ferrovia insulare. Ancora O"~: come a,iitempi di Roma, come ai tempi di Venezia, J.a Dalmazia è unita al mondo per il mare, e l'Adriatico -l'ha unita sempre e l'unisce unicamente alla madre Italia. Il mare non disgiunge i popoli; il monte, sl. A nord dei Pirenei non vi sono spagnuoli ; ma oltre l'Oceano, l'America d~I Sµd ~ del Centro è tutta spaBiblioteca Gino Bianco

-8gnuola e gli Stati Uniti americani sono tutti inglesi. L'Adriatico in confronto, anche per la sua conformazione e per la sua storia - interrotta soltanto per un secolo dalla violenza austri-aca - è un lago latino, un lago italiano per Ungua, per commerci, p~r civi.ltà, per predominio politico, per il suo clima, per la flora e la fauna deHe terre da esso bagnate. La Dalmazia neHa storia e nella civiltà d'Italia, E' naturale quit;idi che anche la sponda orientale del1'Adriatico e, per noi più specialmente, la costa dalmatica in tutte le ,estrinsecaz~oni della sua vita civile. abbia conservato il suo carattere latino, italiano al pari della costa occidentale seguendone di, pari passo l'evoluzione storica in J.inea nazionale e politica, anzi partecipandovi con le proprie forze autoctone come le altre terre d'Italia e qualche volta più che le altre terre. Un giudizio nostro sulla latinità e sull 'itaHanità della Dalmazia in quest~ ore di passione potrebbe forse a qualcuno appark troppo soggettivo. Lo documenteremo quindi con testimonianze oculari di storici, di tutti i tempi e superiori ad ogni sospetto di un nazionalismo qualsiasi. La Dalmazia appartenne sempre alla civiltà mediterranea greco-latina e quando i due mondi occidentale ed orientale si separarono, la Dalmazia, come tutta la ItaHa, rimase fedele alla civiltà occidentale, latina; oltre i suoi confini, oltre le Alpi Dinariche, nell 'odieirna Bosnia-Erzegovina cominciava l'Oriente; prova ne è la reJ.igione cattolica-romana dI origine apostolica (e non di propaganda posteriore) dei dalmati, mentre al di là delle Alpi è il dominio della chiesa bizantina greco-ortodossa, poi anch~ della fede maomettana. La Dalma~ia di oggi non ha tracce di alcun'altra ci:viltà che non sia la romana e la italiana. I primi aoitatori de,Ha Dalmazia, a no~ noti daJ.la B:bhoteca Gino Bianco

-9 storia, gli ill-ki, scomparvero da quelle terre senza lasciare orma del loro passato. Fu fantasia romantica dei tempi napoleonici quella di· rievocare i-I nome illirico per i popoli abitanti oggi le contrade dell'antico Il1irio. Oggidì l'usar il nome degli illiri per gH slavi meridionali, quando non è ignoranza, è una tentata frode. Gli antichi illiri furono completamente assorbiti dai nuovi popoli, sopravvenuti nelle foro terre, in Dalmazia dai romani, che già a,J principio d,el II. sec. a. C., si erano impadroniti di nuella provincia senza mai più perderla. Qualche storico propende, se mai, a riscontrare qualche resto etnico degli illiri negli albanesi di oggi, ma mai negli slavi, che immigrarono nei Balcani appena nel corso del VI. sec. e in Dalmazia alla fine dç,l VII sec. dopo Cristo. La Dalmazia era tutta popolata di colonie romane formanti municipi propri in città e in borgate, sparse sulle isole, sulla costa e nell'interno, fra le quali le più importanti Epidaurum, Narona, Salona, (con oltre 200.000 abitanti) Nona e Scardona con il suo porto moderno a Sebenico, quando irruppero le prime tribù slave di croati e di serbi in quelle contrade. Le Invasioni degli slavi e lo città Italiane. Su queste invasioni slave si oda, uno di quei testimoni quasi oculari, superiori ad ogni sospetto, della latinità dalmatica, si oda Flavio Costantino VII Porfirogenito, imperatore di Bisanzio. Sebbene fosse vissuto e avesse scritto - fu più storico e studioso che imperatore - duecent'anni dopo le migrazioni degli slavi meridionali, pure, a noi distanti di tanti secoli da quegli avvenimenti, egli può valere per un contemporaneo loro, tanto più, che, rappresentando Bisanzio in quei tempi ancora sia pure soltanto nominalmente la continuazione dell'impero romano sui municipi e sui territori di Dalmazia, egli era in grado d'i esser -informato direttamente dalle prime Biblioteca Gino Bianco

- 10 - fonti della storia delle terre a lui soggette. Dì fatti chi conosce oggi le città dalmate e legge le pagine ad esse dedicate nell'opera De administrando imperio del Porfirogenìto, restia meravigHato delle descrizioni dei luoghi fatte dallo scrittore imperiale, come le potrebbe far oggi il più coscienzioso illustratore di quella provincia. Al cap. 29 Porfirogenito scrive: « Il nome Rausium, che sì dà •a Ragusa, non è già propri.o del dialetto romano (che si parla in Dalmazia), ma è detta Lau, che significa precipizio, perchè situata in luoghi dirupati·, e i suoi cittadini d'i,consi Lausini, cioè abitanti i,l precipizio. L'uso comune però che sovente •corrompe i nomi cangìandone le l•ettere, fece che sì chi•amassero di poi Rausii o Ragusei. Abitarono essi un tempo la città di Pitaura o Epidauro, la quale colle a,ltre dalmatiche fu presa dagl•i slavi .e i cittadini furono parte uccisi e parte carcerati. Quellri poi, che poterono con la fuga salvarsi si stabilirono sopra alcune rupi in ruel sito appunto, dove ora sorge Ragusa, la quale ne' suoi primordi era un pÌiCColovillaggio. Questo però cresciuto in breve <li popolazione ebbe pur Je sue mura ben quattro volte dilatate ». Riguard'o alle altre città Porfirogenito s:.::ive n_ellt>stesso capitolo : « L'imperatore Diocleziano amò molto la Dalmazia, sì da condurvi colonie romane e dare ai dalmati anche il nome di romani, nome che portano pur tuttavia. Furono iln seguito disfatti dagl•i slavi, che occuparono i loro paesi non restando ad essi che alcune città sul litorale, che pur sempre conservano e sono Ragusa, Spalato, Traù, Zara, Arb~l, Veglia, Ossero. Gli abitanti di queste città, anche al giorno d'oggi vengon-0 chiamati romanL. Le altre città del continente che furono occupate dagli slavi, sono senza abitanti ». La sorte di venir distrutta completamente toccò anche a Salona. situata a soli 5 km. dall'odierna Spalato, che popolò dei suoi abitanti rifugiatis~ dinanzi l'invasione slava, prima sulle isole, poi entro le mura del grandioso palazzo di Diocleziano. Porfirogenito così le descrive : « Le mura di Spalato non sono nè di mattoni, nè di, enchorego, ma di pietre quadre, talune due braccia lunghe ed uno larghe, unite fra di loro con spranghe di ferro, incastrate nel piombo liquefatto ». Queste mura, - noB:bl1otecaGino B1c1nco

- 11 - tava lo storico dalmata Lucio nel 1663 riproducendo il passo dell'imperatore bizantino - monum 9nto insigne della romana magnificenza, esistono intatte tuttora e gli avanzi degli infelici Salonitani trovarono dentro il loro recinto uh sicuro ricovero contro gli: assalti degli slavi. L'osservazione del Lucio vale ancor oggi e varrà, finchè Spalato -esisterà, perchè la parte più solida della vecchia città è appunto quella che poggia sulle alte e massiccie mura del palazzo imperiale, formanti la nuarta par9te di un 'infinità di case medioevali e moderne costruite entro il palazzo. Vi stanno dentro quattrocento case con più di tremila abitanti. L'antico mausoleo ottagonale di Diocleziano, che preferì coltivar9 i suoi cavoli e morire qui che ritornare sul trono imperiale, S9rve oggi da Duomo; il tempio sacrato un dì a Giove o ad Esculapio oggi è Battistero; il magnifico peristilio (che assieme con la porta aurea ci mostra uno dei primi elem9nti del passaggio alle forme più svelte architettoniche dell'arte romanica; gli archi poggianti immediatamente sulle colonne, senza architravi, senza trabeazioni) forma ora la graziosissima Piazzetta romana, tra 19 cui arcate si sporgono civettuoli i balconi dei circostanti palazzi veneziani. L'acquedotto, che alimenta oggi Snalato delle acque sorgive del fiume Giadro, è quello romano di Diocleziano. Per queste opere impòriture e per gli scavi della vicina Salona, Spalato, dopo Roma e dopo Pompei, è forse la città più ricca di monumenti romani. L'origine romana di Spalato e la latinità dei suoi abitanti ci è attestata anche dallo scrittore spalatino del secolo XI!I, ·Tommaso Arcidiacono, nella sua Historia Salonitana. Dopo averci narrato, come i salonitani fuggendo dall'eccidio della patria parte erano andati, profughi in vari luoghi e parte erano rimasti nelle isole, di dove con frenuenti scorrerie molestavano gli slavi invasori •impedendo loro di abitare le marine, egli prosegue : « Tra i salonitani rifugiatisi nelle isole vicine eravi un tal Severo, la cui casa trovavasi vicina alle colonne del palazzo (di Diocleziano) sul mare. Costui, perchè più autorevole, era detto Severo Magno e cominciò ad esortare i suoi concittadini a tornare in patria. Siccome però sarebbe stato pericoloso piantar nuove case B:blioteca Gino 81é::1nco

- 12 - tra le rovine della città consigliò si raccogliessero intanto nell'edificio di Diocleziano, ove avrebbero vita più sicura e potrebbero senza tema coltivare almeno qualche particella dçl loro territorio, finchè in tempo propizfo sarebbe possibile pensare alla riedificazione di Salona. Piacque codesto consiglio ai nobili e a tutto il popolo e fu deliberato che J più ricchi edificherebbero del proprio e quçlli, eh 'erano privi di mezzi sufficienti a fabbricar case, s'acconcerebbero a vi·vere nelle torri dell'edifizio e gli altri nei portici e nelle cripte. Tolto seco allora nelle barche quanto avs:-vano di proprio sull'isole, tragittarono uomini donne fanciulli eccettuate le bestie, e giunsero nel predetto ,edifizio, costruito non con;ie città, ma ad uso di corte regale e, perch'era spazioso molto, cominciarono a chiamarlo Palatium (palazzo, donde - secondo molti scrittori - Spalato) ... ». In un altro punto della sua Istoria l'Arcidiacono ci narra ancora : « Gli slavi non permettevano agli spalatini di coltivarsi tranquillamente -il suolo circostante; ouesti invocarono l'autorità dell'imperatore Costantino e ottenutone un decrçto i comandanti slavi non osarono più molestarli; e lasciando che si coltivassero in pace le loro terre ne nacque a poco a poco un reciproco commercio con amicizie e parentele ». Lo storico non ci dice, quando ciò avveniva; ma probabilmente lo stesso Porfirogenito (911-959) era l'imperatore Costantino cui gli spalatini s'erano rivolti. Le molte decine di migliaia di salonitani scampati alla distruzione e all 'ecçidio ripopolarono anche le altre cittadette della costa dalmata, situate in luoghi più sicuri, più atti ad essçre diJesi. Si tenga presente che ancora oggi, meno Zara con 14.000 abitanti e Spalato con 20.000 abitanti le città di Dalmazia più popolate non contano più di 10.000 abitanti. Cosl ,rifiorì Traù, l'antica colonia greca, di cui Porfirogenito dice : << Questa città Tetraugurium sorge sopra un'isoletta che s'attacca al continente a mezzo di sottilissima punta simile a ponticello, per cui i terrazzani passano in città ». La descrizione calza a pennello oggi. E lo storico traurino Lucio, aggiunge : << Era facile adunque ai traurini fortificarsi dalla parte del continente e difendersi anche dal lato delBìblioteca Gino B1dnco

- 13 -- l'isola Boa soprastante e formante il porto ». E di Zara, Lucio, scriv~ : « Dee credersi che una diligenza ancor più grande sia stata usata in munire e difendere la città di Zara, il cui possesso era necessario ai greci (cioè all'impero romano orientale) per conservarsi le isole occidentali della Dalmazia e il dominio dtll 'Adriatico (già allora! Lucio stampava il suo libro nel 1663 ad Amsterdam). Di fatto, posta com'essa era sopra un promontorio in forma di penisola, la città poteva facilmente difendersi col soccorso della flotta greca. Distrutta che fu, accorsero a rifabbricarla i salonitani, secondo l 'Arcidiacono, ed è probabile che altri ancora da altr~ città distruttevi si fossero recati come in luogo più comodo e sicuro n. L' ininterrotta italianità del• le città dalmate. Vedemmo dunque in modo irrefutabile che la costa dalmatica fino al sec. XIII., quando scriveva Tommaso Arcidiacono, è in tutti i suoi centri maggiori romana, latina. Si può ammettere, come aff9rmano i sostenitori austriaci e jugloslavi dei diritti slavi sulla Dalmazia, che dal XIII secolo in poi il carattere latino delle coste dalmate sia stato cancellato dal tempo, quando si sa che fin dall'anno 998 Venezia comincia a estend~re il suo dominio su quelle terre e a continuare su quelle sponde le gloriose tradizioni di civiltà latina e italiana? Quando si sa che Venezia, una volta affermato il suo dominio, lo conserva p~r otto secoli interi, fino al 1797, salvo le brevissime insignificanti interruzioni nei primi tre secoli per ribellioni delle città anelanti alle loro libertà municipali o per irruzioni di eserciti dei re d'Ungheria? Quando si sa inv~ce, che a quasi 1000 km. di distanza dall'alma Roma, dopo quindici secoli di interruzione di ogni legame storico con la madre patria vive ancora il popolo rumeno con la sua lingua e con le sue tradizioni latine? B blioteca Gino Bianco

-14Ma quest'immanenza latin.a dell'anima dalmatica in tutte le sue espressioni di vita noi la possiamo documentare anchp dopo il secolo XIII, fino ai giorni nostri, anno per anno, con i monumenti d'arte, con le iscrizioni lapidarie, con le pergamene e con le carte degli archivi pubblici e privati, con gli studi filologici, storici e letterari. Un vero precursor P dei tempi scientifici odierni fu in questo ,riguardo il traurino Giovanni. Lucio, che ci lasciò nel suo De regno Dalmatiae et Croatiae, ( 1663), un'opera condotta con un metodo stori-co e critico, quale difficilmente si riscontra anche in scrittori dei nostri giorni. Le sue scopertp filologiche sull'evoluzione del dialetto neolatino dalmatico dal volgare latino dei tempi romani e sulla lingua dei morlacchi di Dalmazia e dei valacchi di Rumenia hanno avuto piena conferma .ai tempi nostri non solo dagli studi dei professori itaii:mi Ive (dalmata) dell'Università di Graz, Bartoli (istriano) dell'Università di Torino, Parodi di Firenze, ma anche da professori tedeschi e slavi, da Meyer-Liibke dell'Università di Vienna, da Jireoek dell'Università czeca di Praga. Oggidì è fuori di ogni dubbio, che in Dalmazia, come in tutte le altre parti d'Italia, in seguito allp migrazioni dei popoli, dal latino v,olgare si era sviluppato un dialetto particolare della Dalmazia, che dai filologi fu detto « neodalmatico ». L'ultimo rappresentante di questo idioma, Antonio Udina, moriva a Veglia nel giugno 1898. Il neo dalmatico scompariva così completamente dinanzi al dialetto v,eneto a lui sovrappostosi con il dominio politico di Venezia e parlato ora da tutti gli italiani della sponda orientale dell'Adriatico. Giovanni Lucio così spiega e documenta auest'evoluzione. Egli afferma che soltanto ai romani di Dalmazia spetta il nome di dalmati; gli slavi immigrati non sJno, secondo lui, dalmati bensì croati e continua al cap .. 2.0 del suo libro VI: (( Guglielmo Tirio attesta nel Hbro 2.0 , cap. 17, che i dalmati hanno fatto uso della lingua romana o latina sino al 1200. Questa verità ci vien pure confermata dalle scritture, nelle quali i dalmati sono spesso distinti dagli slavi ovvero croati col nome di latini. Trovansi anzi in dette scritture id9 e espresse Biblioteca Gino Bianco

~ 1 \ -15vocaboli tanto latini che slavi ». E qui Lucio, porta ni esempi:, come porta a suffragio delle sue affermazioni,_spessissimo documenti tratti dagli archivi pubblici, di ch~se e di conventi e di famiglie private. Poi prosegu~ : « Avvenute d-0po il 1200 e in Croazia e in Dalmazia non poche mutazioni, cominciarono i cro~ti a confondersi· coi dalmati e ne' costumi e nel lingua~io, quindi parole croate pronunziarsi alla latina e latin alla slava, come ne fa cenno l'Arcidiacono nelle sue ote. Di qui si corruppe la lingua latina e se n'ebbe una c~me in Italia, che fu detta latina volgare. Ciò non pertanto nelle scritture si conservava la lati{\a più pura; ma secondo la diversità dei tempi e l'intelligenza degli scrittori e scriventi la si andava corrompendo. La più antica -scrittura, che in latino volgare e in affare privato si potè rinvenire è quella ancor esistente presso il signor Simeone Gliubavaz U. I. D. (utriusque iuris doctor) collettore diligente dr cose antiche, la qual.e ha la data del 1300. Di scritture pubbliche la più antica conservata negli atti della cancelleria traguriense è del 1313; rare sono quelle fino al 1400. D'allora al 1500, come molte delle private in volgare, così quasi tutte le pubbliche si redigevano in latino. Dopo il 1500 rare ·erano in latino e le pubbliche e le private; di modo che chi volesse istituire confronti vedrebbe avere in Dalmazia la lingua latina avuto le stesse sorti che in Italia e la volgare dalmata circa il 1300 essere stata più simigliante a quella de' Piceni e degli Apuli che non alla usata dai veneti e dai longobardi; quando invece dal 1420 (il dominio di V,enezia oramai è stabilito) la troverebbe somigliantissima alla veneta. In fine del libro, Lucio. spiega come i morlacchi, una part~ dei montanari dalmati oggidì quasi completamente slavizzati, il cui nome proviene da morovalacchi, siano d'origine latina, come· i valacchi di Rumenia e lo documenta con un interessante vocabolarietto comparativo. Combatte poi l'uso generalizzatosi· anche in Italia cc coll'andar degli anni di riguardar gli stessi dalmati quasi appartenenti alla Slavonia o Schiavonia », men.tre invece il nome di <l Slavi e Schiavi è adoperato dai veneti e dai dalmati per i croati e per i serbi, per-chè molti Biblioteca Gino Bianco

- 16 - sì degli uni che degli altri servivano e come servi vendevano perchè i dalmati e gli itali comperavan ci:oati e li adoperavano come servi. Anche i nomi avi dei servi, dferiti nelle dalmate scritture, dimostr7 che i dalmati avevano servi croati ». I La Dalmazia e gli slavi Immigrati. Non è sfoggio di una facile erudizione il ci re tutte queste insospette antorità, ma è una dolorosa/necessità, perchè non solo in Italia ma anche in Dafmazfa ben pochi sono oggi quelli, che sanno queste verità storiche. La gran massa dei dalmati, anche di queJ.li, che da due o tre decenni hanno ormai una coscienza nazionale italiana consolidata, ignora tutto ciò, perchè le scuole, le chiese, le caserme, adibite dall'Austria a li 'opera di cancellazione di ogni traccia d'italianità negli animi di quelle popolazioni, le hanno pasciute e le pascono ancora di confusioni leggendarie di re e reucci illirici croati e tengono loro nascosto il passato più glorioso romano e italiano poichè dal passato sorgon le coscienze dei popoli e le aspirazioni loro più alte. Così si spiega la superficialità mirabolante, con cui qualche assertore dei diritti jugoslavi sulfa Dalmazia, paragona l'autoctona bimillenne civiltà italiana di quella provincia alla passeggèra ed artificiale impronta veneziana rimasta per qualche secolo di dominio di S. Marco sulle isole jonie ed egee, su Creta o sulle sponde dèl Mar Nero. Ma oueJ.le isole, quelle sponde hanno avuto anteriore. contemporanea e posteriore un 'altra civiltà, una civiltà propria, la 11:reca, la bizantina; la Dalmazia invece - giova ripeterlo - non ha avuto mai e poi mai altra civiltà, che non fosse romana o italiana. E s~ un paragone si ha da fare, questo va fatto con le isole di Malta e di Corsica, con la differenza però che in Dalmazia i nuovi popoli immigrati non sono ancora riusciti a stra"oare nella vita soB:blioteca Gino Bianco f

- 17 - ciale della provincia il predominio morale intellettuale ali 'elemento italiano. Gli slavi, immigrati nel VII e VIII secolo, e poi, fuggendo dinanzi ai turchi dalla Bosnia-Erzegovina. nel XV e XVI sec., si adattarono senza difficoltà alcuna alle condizioni di ambiente; quelH di loro, che ebbero i mezzi e l'ambizione di conseguire la cittadinanza nei municipi dalmatr, s'italianizzarono uguagliandosi in tutto agli indigeni, gli altri, i minori, rimaspro fuori delle cinte urbane, popolarono le campagne, · furono i contadini, i coloni. E questo rapporto fra i due popoli, fra camoagne slave e città italiane è durato ininterrottamente fino ai giorni nostri, senza lotte nazionali di alcuna specie, come la cosa più naturale del mondo e comp durerebbe ancor oggi se l'Austria, dopo la perdita del Veneto, non avesse creduto opportuno ed utile ai fini della sua politica antiitaliana turbare la pacifica convivenza fra italiani e slavi. Non soltanto la lingua, non soltanto gli usi e costumi, ma anche tutte le altrp espressioni di una vita politica civile e sociale, la religione cristiana cattolica, il diritto pubblico e privato, gli studi,, le scienze e le lettere, le arti, i teatri, le professioni, i mpstieri, l'a,gricoltura. persino - non sembri frivolo quest'argomento, parsuasivo anzi quanto altro mai - l'arte culinaria, tutto ciò ebbe in Dalmazia, di pari passo come in Italia, quei caratteri di evoluzione storica che formano l'odierna civiltà italiana. I municipi di Dalmazia, rimasti liberi dopo la caduta dell'impero romano, si reggono da sè con I~ leggi e con le antiche istituzioni municipali romane, poi nel medio evo avanzato si danno da sole i nuovi statuti di pçrfetto tipo romano-italico: Curzola già nel 1214, Spalato nel 1240, Ragusa nel 1272, Zara e Brazza nel 1305, Traù nel 1316, Arbe tra il 1325 e il 1327, Lesina Ml 1331, Scardona e Sebenico al.Ja flne del XIV sec. Budua, la cittadetta estrema dell'a Dalmazia odierna, nel sec. XV. Lo statuto di Traù, a tutela del carattere italiano della città, vieta negli uffid pubblici l'uso d'altra lingua che non sia la latina o 1'italiana. Venezia. qua,ndo estende il suo dominio su queste città ne rispetta le libertà statutarie, che continuano ad evolversi con lp riforme dei secoH seguenti. sempre di pari passo con l'evoluzione del B!blioteca Gino Bianco

18 - " giure delle altre città d 'I taHa. E noi abbiamo nelle città dalmate le istituzioni italiche del Podestà (sindaco), dc1 Giudici, del Consiglio maggiore, minore e generale, e le divisioni in nobili. cittadini e popolani (artigiani con le proprit maestranze). La repubblica di Ragusa, che vedèmmo sempre libera fino al 1808, ha il suo magnifico palazzo ducale (dei Rettori). il suo doge, il Rettore, che non può abbandonare il palazzo, finchè dura in carica, se non nei soli casi in cui ve lo obblighino doveri d'ufficio, ha il suo consi-glio generale. il Senato, il Consiglio dei Pregati e il Minor consiglio (il Consiglietto); i suoi ricchissimi archivi. ottimamente consèrvati, sono il più bel documento della latinità e dell'italianità civile e politica di quella repubblica. dalmati nelle scienze, nelle letteree nelle arti italiane. -Se la Da,lmazia ha glorie nelle scienze e nelle lettère, sono glorie unicamente latine, italiane. Non ci soffermeremo sulle sue glorie militari, pèrsonificate nei quattro imperatori dalmatici di Roma, fra i quali eccelle Diocleziano, e più tardi nei comandanti. delle flette e degli èSerciti di Venezia -contro i turchi ; ricordP-remo S. Girolamo, il protettore di quella provincia e uno dei maggiori padri della chiesa latina, l'autore della \'C'lgata, la traduzione massima delle sacre scritture; riprderemo S. Marino, il fondatore dalmatico della r.:pubblichetta italiana, chè porta il suo nome. La prima grammatica italiana fu scritta da Fortunio di Sebenico e Sebenico diede a Venezia la famiglia di Marco Polo. Arbe diede quel vescovo di Traù, De Dominis. che fu il precursore di Newton nell'analisi dèllo spettro solare e che dinanzi all'inquisizione dovette fuggirsene a Londra; Ragusa diede nel secolo XVIII. l'illustre astronomo e matematico Boscovich ; e nel secolo XIX la Dalmazia ànnovera tra i suoi figli lo storico zaratino Paravia, il Biblioteca Gmo Bianco

- 19 - botani-00 sebenicense Roberto De' Visiani, Niccolò Tommaseo, il più grande tesaurizzatore della lingua nostra, poeta e patriotta, ribeHe ali' Austria fino all'ultimo suo anelito, acca.nto a Daniele Manin agitatore del popolo e ministro d'istruzi,one nella risorta repubblica di Venezia.: Seismit-Doda, l'economista, altro agitatore e ribelle e ministro delle finanre del regno d'Italia, oriundo da Ragusa; il dantologo Lubin traurino; uno degli iniziatori della moderna filologia romanza lo spalatino Adolfo l1ussafia, la di cui vedova morendo, nel marzo scorso, legava la sua sostanza per borse di studi'; asrli stuJentì italiani di Dalmazia, che vogliano compiere il loro pc:rfezionamento in Italia o in Francia. Si può dire senza esagerazione che nessuna lelie provincie irredente d'Italia ha dato un così vario e così ricco contributo di. forze alla civiltà italiana, quant.o l& piccola Dalmazia. Ogni cittadetta aveva i suoi poeti, la sua acca<lemia letteraria; in tanto dilagare di lettere ;t.; liane non era certo facile cosa emergere. A Spalato studiò il giovanetto Ugo Foscolo e bevve le prime aure •taliche fra le classiche mura di quella città romana; ma l'odio pretino e austriaco-croato, venuto al potere nel Comune dr auella città nel 1883, bruciò la panca di scuola d'Ugo, che gli italiani aveva,no conservata come cimelio nazionale glorioso. Zara e Spalato ci diedero insieme il poeta fiero ed integro, Arturo Colautti, che con l'ultimo respiro, nell'ottobre scorso, invocava da Roma la redenzione della patria sua. Ed anche quei poeti di Dalmazia, specialmente di Ragusa, che i testi di storia letteraria croata e serba contano fra i loro poeti aggiungendo una e ai loro nomi italiani, il Gondola, il Maroli, il Canaveli ed ailtri, scrissero .pure in latino e in italiano e furono spiriti italiani anche quando scrissero in slavo le parafrasi della cc Gerusalemme liberata » e dell 'cc Aminta » del Tasso o delle canzooi del Poliziano e degli altri nostri maggiori. nuella bel'la e naturale convivenza e fratellanza fra italiani e slavi in Dalmazia si iintegrava cosl anche spiritualmente nelle lettere. Ma chi volesse documentare nel modo più completo e più bello l'italianità delle città e delle borgate di Dalff blioteca Gino Bianco

- 20mazia, non avrebbe che offrire al pubblico una. colle-· zione di tutti i meravigliosi monumenti d'arte italiana di tutti i secoli, che ornano le piazze ié\ le calli, le chiese e i palazzi d'ogni più piccola città dalmatica, -da Arbe fino a Budua, e che fanno della Dalmazia - dopo il Lazio. dopo la Toscana e dopo il Veneto - la provincia d'Italia più ricca di opere d'arte nostra. Ed è soltanto ed unicamente arte nostrana quella di Dalmazia, pura purissima in ogni suo particolare ed autoctona anch'9Ssa, sorta e svoltasi qui da tutti i primi elementi romani e bizantini, indigeni qui come nella penisola, che portarono l'arte italiana alla sua fioritura del periodo romanico e del rinascimento. L'ancora rude costruzione della chiesa di S. Donato diéllsec. IX e quelle più evolute delle chiese di S. Grisogono del XII e di S. Anastasia (il Duomo) del XIII. sec. a Zara, il magnifico portale d~I Duomo di Traù scolpito dal traurino Radovano ( 1240), gli stalli corali e la bellissima porta del Duomo di Spalato, intagliati dall'artefice spalatino Buvina (1214), segnano appunto con le loro forme basilicali, con i loro ornamenti imitanti gli ,esempi romani delle rovine di Salona ié\ di Spalato, i vari gradi di transizionp dell'arte latina in Dalmazia dai tempi delle migrazioni dei popoli al bel rinascimento italiano sfoggiante le sue magnificenze e le sue grazie nel Duomo di Sebenico del sec. XV., nei Duomi, nei palazzi municipali e nelle logge formanti la piazza principale, il nucleo di tutte le città dalmate, nel palazzo dei rettori di Ragusa, ricostruito con splendore alla fine del sec. XV. da Michelozzo Michelozzi e da Giorgio Orsini il Dalmatico, nelle fortificazioni e nelle porte cittadine, che hanno l'impronta del gran Sammicheli, nei poetici e tranquilli chiostri di Lesina, di Ragusa e di Cattaro. E se gli artefici più illustri d'Italia d'oltre sponda lasciavano o mandavano opere loro nelle città di Dalmazia (un Francesco da Sesto, un Pordenone, un Tiziano, un Tintoretto, un Rosselli e copie preziose contemporanee di Raffaello e di Tiziano), artisti .insigni di Dalmazia portavano il contributo loro fecondo al primo risorgere diéllle arti in Italia: Luciano Laurana maestro di Bramante e autore del palazzo ducale di Urbino, di uno dei primi gioielli· del nostro rinascimento, Andrea Biblioteca Gino Bic1nco

- 21 - Meldolla, detto con l'improprietà già rilevata dal Lucio lo Schiavone, Giorgio da Sebenico, che profuse la sua artè ornamentale ad Ancona ed altri infiniti fino ai- più giovani dei giorni nostri, anche a quelli che pur essendo di famiglie fin dall'origine loro italiane, conservando i nomi loro italiani e in famiglia la lingua loro italiana, come nell'arte loro lo spirito italiano, hanno il cattivo gusto di professarsi per interèsse croati. L'italianità nell'ora presente in Dalmazia. Ma non nel passato soltanto, anche nel prèsente vive l'italianità di Dalmazia e la sua vita rigogliosa, anche se i raggiri e se le violenze brutaìi della politica austriaca nell'ultimo mezzo secolo è riuscita a toglier loro il predominio politico nella provincia e nei municipi. Non ruirrèrò qui tutte le brutture, tutti i mezzi adoperati dalle autorità austriache in nome e per ordine delle sferè reazionarie auliche clericali e militari di Vienna per demolire ,!'italianità politica deUa Dalmazia, chè quella civilè non potrà essere distrutta mai da alcuna forza di questo mondo, finchè sull'altra sponda dell'Adriatico vi saranno i 40 milioni d 'Italiani! Accennerò soltanto nei suoi elementi· principali al1'opera di distruzione e alla resistenza eroica dei fratelli nostri. Chi desidera conoscere i particolari di quçlla lotta titanica. consulti le opere, che cito in fondo. Radetzky nel 1856 e Tegetthoff nel 1866, nell'imminenza di perdere gli ultimi possedimenti austriaci nèlla penisola italiana, consigliarono Francesco Giuseppe in memoriali di provvedere alla slavizzazione della costa orientale dell'Adriatico per toglier è al nuovo regno di Italia ogni diritto di aspirazioni su quella sponda, e per prepa,rare l'avanzata nei Balcani. A questi motivi di politica estera si aggiungeva una ragione di politica interna; gl 'italiani di Dalmazia, come quelli dellè altre proBiblioteca Gino Bianco

- 22 - vince italiane, mandavano a Vienna deputa.ti liberali costituzionali, quindi ostili ed ostici alle sferç reazionarie anticostituzionali auliche clericali e militari. Motivo quindi anche questo per combatterli, per demolirli, per sostituirli con malleabili deputati croati, eletti con l'aiuto del clero cr(i)ato, dei gendarmi ç dei luogotenenti generali croati (di Croazia: Filippovich, Rodich, Jovanovich, ecc.). Ogni mezzo fu buono contro gli italiani : scioglimenti forzati di consigli comunali, elezioni· fatte di frodi e di violenze, defezioni nazionali comandate ai funzionari pubblici e ai preti; così per defezioni di un paio di deputati da un giorno all'altro la diçta provinciale nel 1870 diviene in maggioranza croata, ma formata di croati, che non sanno parlare altra lingua che l'italiana e che annullano a spron battuto i mandati dei deputati italiani rimasti in minoranza; avuta così in proprio potere l'amministrazione provinciale, governo e croati demoliscono una ad una le amministrazioni comunali in provincia. Prima cade Sebenico nel 1873 dopo lottç sanguinose; per abbattere nel 1883 a Spalato l'amministrazione comunale italiana del podestà dott. Antonio Baiamonti, idolatrato da quei popolani italiani e slavi, una corazzata deve esser mandata in porto a puntare i cannoni contro la città, posta quasi in stato d'assedio; si fanno gèografie elettorali speciali per il caso; figli al servizio della causa croata negano l'identità e il diritto di voto al proprio padre; infamie sopra infamie, frodi sopra frodi, violenze sopra violenze, riconosciute dai tribunali supremi di Vienna, ma lè sentenze loro vengono ignorate dalle autorità esecutive. Eppure gl'italiani resistono e delle città maggiori, ancora nel 1899 a Ragusa hanno per podestà il barone Francesco de Gondola con un consiglio per metà italiano e per metà s~rbo, che soggiacerà nell'anno seguente all'assalto croato-austriaco; a Cattaro rèsistono fino al 1897 con il podestà dott. Giuseope Pezzi, con il Consiglio completamente italiano, a Zara la capitale di tutta la Dalmazia, con il podestà dott. Luigi Ziliotto e con un consiglio ancor oggi interamente italiano. B'blioteca Gino Bianco

- 23 - Violenze antiitaliane, antinazionalie antidemocratiche. - Italiani e Slavi. L'avvento al potere dei croati e di s~dicenti croati austriacanti nell'amministrazione della provincia e dei comuni di Dalmazia non fu dunqu•e - come qùalcuno ama far credere - nemmeno in parte un processo naturale o un progresso democratico, che desse ragione a.ne aspirazioni della maggioranza rurale dei contadini slavi. Già la borghesia italiana aveva spazzato con l'aiuto dèlle leggi costituzionali del 1861 dai consigli comunali le piccole cliques di famiglie aristocratiche; e quelle stesse leggi del 61, che diedero per de~nni il potere alla borghesia italiana• in provincia e nei comuni, vigono anche oggi immutate in tutto meno che nella geografia elettorale cambiata per rtnder più facile la vittoria del governo e dei croati. Non fu dunque elevazione delle masse rurali alla direzione della cosa pubblica, ma fu semplicemente un fraudolento ~ brutale trasferimento di poteri dalle mani di una borghesia indigena, orgogliosa delle sue autonomie e delle sue tradizioni italiche, in quelle di una borgh~sia croata, o croatofila e austrofila improvvisata con importazioni è con defezioni. I contadini slavi allora, come ora, erano e sono rimasti gli amministrati dal41 borghesia; le loro condizioni sociali, la loro incoscienza sono tali che per decennì e dècenni ancora dovranno subire la tutela borghese. Si adattano alle circostanze al dominatore del momento, al quale, se sono ben trattati, si affezionano con un 'ingenuità quasi infantile. Fu così che appunto questi contadini slavi furono i più ferventi e più fedeli seguaci del partito italiano combattuto dall'Austria ~ dai croati·; ed ancor ·oggi lo sono nel contado di Zara di Traù, nei sobborghi di Spalato, sulle isole di Pago, di Zlarin, di Brazza, di Lesina, di• Lis11a e di Curzola. Biblioteca Gino Bianco

- 24 - Gli italiani dominando non conculcavano i loro diritti; i capi dei loro villaggi erano essi stessi, contadini slavi; loro rappresentanti sedevano nei consigli comunali e alla Dieta; quando anche in Dalmazia si cominciò ad applicare seriamente l'insegnamento obbligatorio, fu la amministrazione italiana d'ella proivincia ad aprire le scuole slave nei contadi e ancor nel 1913 - quaranta anni dopo l'avvento del dominio croato nella provincia - il giornale croato Nasce Jedinstvo di Spalato deplorava che in alcuni distretti del montano di Da.lmazia vi fossero scuole elementari in minor numero ora che ai tempi dell'amministrazione italiana; il podestà Baiamonti, mentre la città di Spalato aveva due scuole elementari italiane, ne istituiva sette slave nel contado. Il che prova, che esser veramente democratico e giusto non significa ancora rinunciare ai diritti della nazione nostra su una terra, che fu italiana non per un capriccio di uomini o di una circostanza transitoria, ma per necessità storiche sacrate da un passato di due millenni l Le masse rurali slave. cioè parlanti una lingua slava, la croata, esistono e formano la maggi-0ranza dei 650.000 abitanti della Dalmazia intera; trattasi però di masse inconscie, nelle quali manca un sentimento nazionale; esse seguono oggi l'indirizzo austriaco e domani, se l'Italia ritornasse in Dalmazia, seguirebbero l'italiano, come ai tempi di Venezia.; con maggior difficoltà invece quelle masse si sentirebbero serbe, se la Serbia arrivasse fino in Dalmazia, perchè vive in esse un 'avversi-0ne profonda contro la religione ortodossa, greca, mentre invece all'Italia li unirebbe la chi-esa latina. Il ritorno del dominio italiano in Dalmazia, sparendo l'Austria, non significherebbe dunque un'oppressione per le masse slave, mentre inveoe l'unione della Dalmazia ad uno stato jugoslavo sarebbe una violentazione atroce dell'elemento cosciente italiano di Dalmazia. Nè riguardi per la parte della borghesia dalmata croatofila o serbofila, che ha rinnegato la lingua, le tradizioni, gli affetti e gli ideali della nazione propria italiana, non possono, non devono scuotere menoma.mente la fede nostra nei destini italiani della Dalmazia. Biblioteca Gino Bianco

- 25 - L'eroica resistenzadegli Italiani di Dalmazia. Perchè l'italiano e gl 'italiani in Dalmazia con tutta l'opera semisecolare di distruzione austriaca e croata sono più vivi oggi che mai. In un solo decennio, dal 1873 al 1883, sono state abolite, chiuse tutt.e le scuole pubbliche italiane, eltmentari e- medie, in Dalmazia e sostjtuite ovunque da scuole croate; soltanto Zara conserva con il suo comune italiano anche le sue due scuole elementari italiane, maschile e femminilt, e due scuole medie italiane, ma accanto ad esse - in una cittadetta di 14.000 abitanti! - pullulano scuole elementari croate e tedesche e ni9ntemeno che tre scuole medie croate, liceo, magistrali e teologiche. Eppure Zara e tutte le città della provincia conservano ancora la loro impronta prettamente ed unicamente italiana. Lt scuole slave, la chiesa, la burocrazia, le caserme non han fatto che dare una vernice superficialissima di lingua e di apparenza croata a luoghi rimasti nella loro essenza più intima italiani. Oggi ancora nella borgata più piccola '9 più remota della Dalmazia. lo slavo e lo straniero immigrato, che voglia entrar nel consorzio civile del paese, deve necessariam9nte per le condizioni stesse dell 'ambiente - anche contro le leggi e contro i decreti austriaci, anche contro le scuole croate ! - appr9ndere e parlare l'italiano, altrimtnti egli si trova, si sente escluso dalla vita sociale, pubblica. Che vuol dir questo? E' anche questo un capriccio degli uomini o non è forse urna legge di quella natura, che ha fatto e fa della Dalmazia una parte di casa nostra? ! L'oppressione ha indurito gl 'italiani di Da-lmazia nella lotta, li ha fatti più forti nella loro coscienza nazional~. Quando il governo austriaco nel 1912 con un decreto ministeriale posponeva (contro legge!) la lingua italiana negli uffìci statali di Dalmazia alla ted,esca e ~liii croata, Biblioteca Gino Stanco

- 26 - oltre 600 funzionari dalmati italiani di quegli uffici ebbero questa volta il coraggio di mandare firmata la loro protesta al governo di Vienna. Alla soppressione delle scuole pubbliche, per il mantenimento delle quali gli italiani pur pagano le dovute imposte, gli italiani con slancio mirabile di sacrificio t di abnegazione risposero restituendosi da sè le scuole con propri denari, con imposizione spontanea di tasse scolasticht a favore della Lega Nazionale, eh 'è la loro « Dante Alighieri ». Ciascuno di loro porta il suo obolo alla Lega secondo le proprie forze, spessissimo oltre le proprit forze. Soltanto così può avvenire, che la piccola Zara in un sol anno, nel 1912, possa raccogliere 56.810 corone (circa 60.000 lire), che Zara e Spalato in una sola notte di ,, ballo possano dare quasi 15.000 lire ciascuna, che Ragusa e Sebenico ne possano dare da 7 a 10.000 lire, che migliaia e mi•gliaia ne possano dare Cattaro, Curzòla, Lesina, !moschi, Traù ed ogni più piccolo luogo sull'altare della patria simboleggiato nella Lega Nazionale. E l'opera santa della Lega ha dato i suoi buoni frutti con le scuole e con i suoi asili infantili già da anni funzionanti - modelli di scuole e di asili benefici e sani I - a Borgo Erizzo e a Cereria presso Zara, a Sebenico, a Spalato, a Cittavecchia sull'isola di Lesina, a Curzola. Ciascuna città e borgata ha le sue organizzazioni politiche e sociali italiane : gabinetti di lettura, biblioteche pubbliche, società di ginnasti e di « bersaglieri », associazioni studentesche, oerchè la Dalmazia dà ogni anno oltre 200 studenti universitari italiani, società filodrammatiche e filarmoniche; Zara, Sebenico, Spalato, Lesina, Cittavecchia, hanno proprie bande musicali italiane; persino !moschi, Sign, Dernis ai confini della Bosnia hanno le loro organizzazioni italiane e mandano insieme con tutta la rimanente Dalmazia alle urne i loro elettori italiani (6000 elettori nel 1911, che rappresentano a suffragio universale almeno 60.000 abitanti). Zara ha due, Spalato un giornale politico italiano; vi è poi anche una Rivista Dalmatica, intorno a cui si raccolgono gli studiosi italiani di quella provincia. La .i:roprietà fondiaria in Dalmazia, se si toglie quella BibJioteca Gino Bianco }

- 27 - estesa della mano morta cattolica e quella ben minore della mano morta ortodossa, ambedue sottoposte al controllo statale, è rimasta nella massima parte dai tempi più remoti proprietà italiana, forma quindi parte · della ricchezza nazionale italiana, come ne fanno parte le fiorenti industrie di produzione di liquori, di sfruttamento delle miniere carbonifere, di cave di marmi P di pie delle forze idrauliche (40.000 cavalli sul fiume Cherca, 140.000 cavalli sul Cettina), dei giacimenti di marna cementifera ,tutte industrie iniziatp e in gran parte esercitate ancora dall'operosa mano italiana e con capitali italiani. Completano questa ricchezza nazionale le società di navigazione, sorte pure quasi tutte per iniziativa degli italiani di Dalmazia, çd ora accentrate nella Società Dalmatia a Trieste, e i vari istituti italiani di credito fondati a Zara, a Sebenico, a Spalato, a Lissa, a Curzola. Chi consid.ua tutto dò, non può non venir alla conclusione che, se fosse continuata l'unione naturale della Dalmazia alla Venezia e non fosse subentrata dopo il 1866 la politica innaturale anti-italiana croatofila del- !' Austria, la Dalmazia varrebbe ancor oggi per tutti, come valeva fino al 1880, per una tçrra sulla quale vi erano unicamente diritti italiani d'ipoteca. E qui -ci si faccia la domanda : chi può pretendere onestamentp che l'Italia riconosca per buoni i fatti compiuti dall'Austria ai suoi danni? Interessi economici e stratagici d'Italia nella Dalmazia. Non soltanto questi diritti storici e nazionali esigono imperativamente la riunione della Dalmazia ali 'I talia, ma anche vitali interessi economici e strategici di difòsa nazionale. Oltre a quanto dicemmo della ricchçzza nazionale esistente in Dalmazia, accenneremo a questi brevi ma eloquentissimi dati statistici : la Dalmazia non ha alcuna Biblioteca Gino Bianco

- 28 - comunicazione ferroviaria con le terre al di là delle Alpi Dinarichò, meno la ferrovietta bosnoerzegovinese al sud del Narenta; quindi i suoi due o tre vallici alpini, intersecanti la rete di ottime strade romane, riattivate da Venezia ò dai francesi, quei vallici, che un dì ai tempi di Venezia erano le grandi vie carovaniere da Occidente a Levante, oggi servono soltanto per una ben misera importazione di un po' di bestiame ò di frumento sui mercati dalmati ; tutto il rimanente, che viene dalla Bosnia-Erzegovina, ~pecialmente legname e cavalli, è merce di transito, che viene esportata in Italia. Quindi tutto il vero commercio dalmatico, importazione ed esportazione, è fatto si può dire per mare. Quanta ne sia l'importanza per l'Italia, anzi unicamente per l'Italia, ,eccone la prova in questò cifre. Le navi partite dai porti maggiori di Dalmazia nel 191 1 avevano un tonnellaggio complessivo di 4.994.414 Tonn., delle quali 4.500.646 ,erano di navi di bandiera austro-ungarica (cioè di Trieste e di Fiume) e 451.405 di bandiera italiana. Donde risulta che, divònendo Trieste e Fiume italiane, tutto il commercio di Dalmazia almeno rebus sic stantibus non può esser che italiano e il mutarne il corso non potrebbe che danneggiarò gravemente gl 'interessi economici delle città italiane. Ciò risulterà ancora meglio da questi dati : l'importazione per marò in Dalmaza nel 191 O fu di 3.178.030 quintali, dei quali 405.000 per il valore di 2.255.000 corone dall'Italia (agrumi, mattoni, pelli e zolfo); l'esportazione dalla Dalmazia fu di 6. 714,327 quintali, di cui nientemeno che 3.253.500 per il valore di 14.842.889, corone in Italia (legname, cavalli, marna, pietre e carbonò, carta e pasta di carta) ; tutto il resto veniva da e andava per Trieste e Fiume. La Dalmazia unita innaturalmente ad uno stato jugoslavo significherebbe quindi un danno economico gravissimo pòr le città marinare istriane, venete, marchigiane, pugliesi, calabresi e siciliane e la rovina della piccola marina a vela di quelle coste, che vive del commercio con gli agrumi e della pesca sulla sponda orientalò dell'Adriatico; inoltre ora, che - tagliati i ponti fra la Bafcania e il norçl teutonico e magiaro - la DalBiblioteca Gino 81dnco

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