il Potere - anno II - n. 5 - maggio 1971

Maggio 1971 I PERCHE' DI UN ORRIBILE DELITTO Il caso Sutter infiligrana L A notizia del rapimento e poi del ritro- vamento del corpo di Milena Sutter ha agghiacciato tutti. Anche chi non aveva mai creduto al rapimento per lucro (o solo per lucro). Anche chi sentiva che la ra– gazza era morta. Del fatto comunque se ne è parlato a lungo: ormai la vicenda esce dalla cronaca ed entra nel costume. Non solo per ciò che riguarda la sorte di un'in– felice ragazzina e della sua famiglia, ma per i risvolti che stanno dietro a questo • caso •, che lo hanno accompagnato gior– no per giorno e ancora oggi, a maggior ra– gione, lo caratterizzano nelle sue dimen– sioni reali. Alcuni dl questi elementi sono, secondo noi, da rimarcare e cercheremo di farlo tentando di rimanere fuori dal contorni emozionali della vicenda, facendo, se pos– sibile, gli •storici• e non i cronisti. il • caso • Sutter ha troppe analogie con quello Lavorini per non fare pensare ad al• cuni temi di ordine morale piuttosto lm• portanti che già allora - nei giorni caldi di Viareggio - erano rimbalzati alla luce. Temi che riguardano anche le persone coin• volte In prima persona come indiziate, trop• po spesso demagogicamente indicate alla pubblica opinione come colpevoli quando il procedimento nei loro confronti si trova appena nella fase istruttoria. Non siamo quindi per nulla d'accordo col frettoloso questore di Genova: per noi un uomo è colpevole quando un tribunale, viste le pro– ve e le testimonianze, ritiene di doverlo dichiarare tale. Bozano, Il giovanotto coi baffi, non è né simpatico né antipatico, non siamo in grado dì giudicarlo come uomo e tanto meno come persona im– plicata in questo drammatico caso: è cer– to che se tosse lui il colpevole si po– trebbe stare ora più tranquilli perché un maniaco di meno sarebbe in libertà. Può essere che egli abbia rapito, se– viziato, ucciso. Può essere. Ma per la gente egli ha rapito, seviziato, ucciso: è stato condannato immediatamente. So– prattutto da chi aveva seguito con estre– ma curiosità (non sempre normale) la vi– cenda della sparizione di Milena. Può es– sere che Bozano sia colpevole. dicevamo. e forse quando usciremo in edicola lo si sarà già dimostrato inoppugnabilmente, ma 9rnwi tv.tti ~~nnociò che ha fatto e non ha fatto nella sua vita. E' diventato il bersaglio su cui si è potuta scatenare la tensione accumulata dall'opinione pubblica. Anzi un bersaglio comodo: perché è un giovane • sfaticato • che non conduce una vita normale, che - si dice - ha l'abitu– dine di assalire ragazzine (ma allora se era un elemento pericoloso bisognava far– lo curare o arrestare prima). E' quindi un • altro •. non uno di noi. Non è una perso– na normale. La gente può tirare un sospl• ro di sollievo. Analogie colcasoLavorini Si accennava alla somiglianza tra questo • caso • e quello Lavorini. Ma il caso La– vorini torna alla mente oltre che per la tecnica del fatto criminoso e per molte cir– costanze, anche per il linciaggio morale subito da mezza Viareggio. Anche là si erano trovati subito i colpevoli, anzi cen– tinala di colpevoli: si era messa sotto accusa un'intera città. C'erano da una parte i buoni (una specie di maggioran– za silenziosa che non era più silenziosa) e dall'altra i cattivi. Gli invertiti (o quelli che la gente giudicava tali) tutti cattivi e gli altri tutti buoni. E così Meciani si uccise. E il fango coprì tante altre per– sone magari non tutte limpide ma che non avevano ucciso Ermanno Lavorini. Poi c'è un discorso più generale, in cui si inserisce il caso di una ragazzina ucci– sa all'inizio di maggio. Un discorso che coinvolge tutta la società. Il fatto che Milena Sutter fosse figlia di un noto In– dustriale ha forse dato al fatto un'eviden– za ancora maggiore di quella che si sa– rebbe potuta avere in un caso capitato a una persona qualunque. Le faccende della gente ricca e nota destano sempre più curiosità (spesso morbosa) di ciò che accade alle persone comuni. Ma poteva capitare a qualunque altra ragazza. Nulla cambia infatti nell'essenza del fatto. Che è e rimane una delle espressioni della violenza di questi tempi: un'espressione più tremenda di altre, certamente, per– ché non colplsce direttamente un adulto, che almeno in teoria può difendersi, né il patrimonio o beni Impersonali. Ma la vlolenza come base di tutto ciò rimane. E rimangono le cause prime di questa violenza che non è solo di Ge– nova e non è solo italiana; forse da noi è meno grave che altrove (basta pensa– re alla situazione americana ...). Cause che si devono andare a ricercare da qualche parte se non si vuole continuare a fare gli struzzi: a disperarsi per ciò che accade, a chiedere esemplari puni– zioni. Certo, anche noi chiediamo le pu– nizioni e vogliamo che siano tempestive e severissime. Ma non basta. E' ampia– mente dimostrato dalla storia che le pu– nizioni, giuste o ingiuste, severe o non severe, hanno sempre avuto una scarsa Incidenza sulla criminalità In genere e soprattutto sui delitti in cui è riconosci– bile un fondamento • soclale •. nati cioè da una società ammalata e da tutto ciò che essa porta con sé: squilibri sociali ed economici, contraddizioni spesso di– rompenti, fuga dalle responsabilità, noia, alienazione. I mitideldanaro e delsuccesso Allora è secondo noi un discorso sul– la società quello che bisogna fare. Certo è pauroso pensare che si corre il rischio di giungere al punto in cui, quando una ragazza esce di casa può succedere che non ritornerà più (si sa che è già notevo– le il numero dei delitti a sfondo sessua– le che vengono compiuti e di cui non si sa nulla o quasi per la mancanza di una denuncia: i genitori troppo spesso si ac– contentano di rivedere tornare la figlia viva e temono lo •scandalo•, i discorsi della gente o una vendetta). E' pure drammatico, per parlare di un fatto di violenza relativamente piccolo ma di mo– da, che ogni donna anziana che cammi– na per strada corra il rischio di essere • scippata •. E che per un sorpasso si possa uccidere. Come mai? Cosa si può fare per cambiare la situazione? Domande troppo grandi per avere una risposta completa e soddisfacente. Certo che non è con la pena di morte che si risolverà qualche cosa. Né con l'odio o la pazzia collettiva: i cortei di • mam– me • isteriche e dl bimbi frastornati che percorrevano le strade cittadine nei gior– ni scorsi non cl hanno commosso, piut• b1bl1otecag1nob1anco il POTERE ~ _,__:, 11 r s ~.rçf ~~-,,-~~~ -,p_ '"-• . ~ • i , i ' i . I 'r ( I • ' -;,,-~ ·, .; 1· '\ I i-:~ .,11-';· n .___,_,_ ~ ..,.....,... , ,, _.,..,. f " tosto ci hanno sconvolto. Per fortuna nel coro di improperi e di odio si sono sentite anche voci responsabili che, ri• schiando l'impopolarità, invitavano alla calma e cercavano di porre Il problema nei suol giusti termini. Perché applicare la legge del taglione non vuol dire svol– gere opera di prevenzione né di terapia; significa solo seminare odio e un'assur– da caccia all'untore. Cerchiamo invece di scoprire nella so– cietà, nei suoi profondi mali i motivi di questi orribili delitti ma anche di queste pazzie collettive, che cl circondano e sono sintomi di uno stesso stato di disa– glo e di insicurezza. E se c'è qualche cosa che non va - e secondo noi c'è - si deve cambiarlo alla radice. Viviamo in una società in cui il dena– ro e il successo facile hanno assunto un valore assurdo, mentre dall'altra par– te non si sono creati valori nuovi degni di essere vissuti o che potessero sosti– tuire efficacemente quei vecchi ormai tramontati o passati al rango di slogan. Si vive senza uno scopo preciso, cercan– do di arrivare a qualche cosa di indefi– nito, sulla scorta di falsi esempi e di miti vuoti di contenuto. I soldi sono un fine o al massimo un mezzo per conqui– stare un altro pezzettino di area nel de– serto della società dei consumi. I mo– delli e i fini che ci vengono proposti sono di carta velina: appena li raggiun– giamo si autodistruggono per mostrarne altri più grandi, più ricchi. Si deve consumare perché consuma il vicino, perr::hé ce lo consiglia l'amica, perché in ogni luogo slamo sottoposti ad un continuo bombardamento psicologico che ci spinge a comportarci in una data maniera. Di qui l'insoddisfazione: espe· rienze di ogni tipo vengono bruciate sen– za che si sappia riconoscere il loro signi– ficato, che si sappia attribuire loro il va– lore di esperienza. Questo è il • progres· so • tecnico, il • benessere •, un mecca– nismo che ci isola e ci permette solo di correre ognuno per la sua strada; ognuno in concorrenza con tutti gli altri. Unafase ditransizione La risposta, ovvia, è lo stress; saltano i nervi; si perde di vista il confine tra realtà e irrealtà. Ci si chiede se esiste il male e se esiste il bene e quale è la barriera che li separa. E nessuno in ef– fetti sa darsi una risposta che possa adat– tarsi alle sue azioni e gli possa permet– tere di compiere coscientemente una scelta: questo è bene, questo è male. Purtroppo non si crede più nel dogmi (se mai ci si è creduto) e le cose si complicano, i confini si sfumano e le al– ternative si ampliano, né la soluzione può essere di un uomo solo. Qualche cosa però è possibile dire. Nella nostra società, nelle comodità, nel benessere ci sono moltissimi elementi positivi, nessuno lo può negare. Ma biso– gna fare in modo che questo sviluppo non impazzisca e non prenda la mano a chi lo dirige. In parole povere c'è la ne– cessità di un controllo che provenga dal basso e abbia come oggetto tutte le leve del potere politico ed economico ad ogni livello. Bisogna quindi, secondo noi, cer– care di ridare Il loro valore a parole e a concetti come • comunità • e come • so– cietà •. Si deve riacquistare il senso del– la propria partecipazione ad una colletti– vità che ha delle norme ma che ha so– prattutto una unità formata dalle valenze politiche e sociali di ogni uomo. Slamo in fase di transizione e si deve scegliere. E l'unica strada da seguire ci pare que– sta, per ottenere qualche cosa di più e di meglio per la reciproca comprensione, per la tolleranza e per una effettiva e de– mocratica giustizia. Che non deve partire dall'emotività delle manifestazioni di piaz– za e non deve cercare solamente la sa– crosanta punizione dei colpevoli di tutti i delitti. Deve cercare di porre le basi af– finché certi fatti non abbiano più a veri– ficarsi. Mario Bottaro \_hl I J, ' • TEATRO Il malalingua "IL Malalingua ,, è la nuova propo- sta artistica che Claudio Cattanl sta presentando quest'anno sui palco– scenici italiani. Molti conoscono il di· scorso che questo giovane chansonnier– menestrello genovese ha portato avan– ti negli scorsi anni con « L'arrabbia– to>>, « Sei temi per credere>> e gli al– tri suoi spettacoli, per averlo seguito a Genova sulle scene del Teatrino di Piazza Marsala, della Sala Carignano e nella sede di circoli culturali. E il « Malalingua » prosegue, ampliandolo, quel discorso, che non è presuntuoso né cattedratico, ma tocca con sem– plicità, seguendo una delicata vena poe– tica, i momenti della vita di ogni gior– no dell'uomo contemporaneo. Il prete– sto è quello ormai tradizionale per Gat– toni: il menestrello rivive sulle scene per raccontare favole e storie con l'au– silio di bellissime diapositive (la nuo– va forma dei « quadri » di un tempo). Questa volta però il programma è più completo perché il menestrello è ac– compagnato da due nuovi personaggi, il dicitore (il bravissimo Luca Sangui– neti) e Lelletta, la ragazzina delle fa– vole (la simpatica Maura Di Meo). So– no queste figure a creare il contrasto autorità-libertà, vuoto meccanicismo– poesia e fantasia, da cui sorge il per– sonaggio del menestrello, quasi com– pletamento e fusione di entrambi. E' pur vero che Cattani e i suoi ami– ci hanno ancora bisogno di camminare su questa strada per raggiungere, so– prattutto come gruppo, la piena ma– turità espressiva: nello spettacolo, no– nostante tutto, c'è qualche momento di pausa. Ma non infastidì~~' Impor– tante è l'atmosfera delicata di poesia e di realtà « vera>> che si è riusciti a creare e in cui lo spettatore finisce per immergersi e identificarsi. Lo spettacolo è quindi positivo, an– che perché nuovo, diverso dal solito cliché del cabaret e ha ormai superato la figura del recital tradizionale. Anche per questo « Il Malalingua» riesce a piacere, a divertire e a far pen– sare nel contempo. M. B. Via Carducci 1 A - lei. 590.757 Lavoratore, Studente, Intellettuale IL DANTE D'ESSAI è il tuo cinema Cicli di registi Incontro con Problemi mondiale attori sociali nel cinema Rassegne di cinematografie nazionali In collaborazione con le associazioni c u I tu r a 11 democratiche cittadine La programmazione più qualificata della città pq .• LETTERE Al DIRITTOR UN ACCORATO RICHIAMO SE Glisenti ha ragione ... gli aJtri do- vranno aver torto. In questo caso • gli altri • sono i lavoratori. Sono i sindacati che hanno di fronte un potere politico facile a promettere quanto altrettanto fa– cile a non mantenere le promesse fatte. Dunque la mia nota (cfr. • Il Potere>, ~e~{f~:l ftt~~~sfac~Ne6~~~n~P~1 "~Mi~: do• difetta di quella « ctimensione politi– ca • nella quale viceversa va immersa a ba~~fu:{~a.sinceramente la mia sorpresa anche se altrettanto onestamente posso riconoscere quanto sia difficile far accet– tare un discorso che non si accontenta di spiegare le ragioni o i torti ma che si preoccupa di far decollare per altre dire• zioni una tematica che è politica sol– tanto se dalla politica dobbiamo fatal– mente attenderci tutte le risposte ai no– stri interrogativi e nella fattispecie a quel– li che la mia nota esplicitamente compren– deva. Se • inventare un modo nuovo di fare l'automobi]e • dev'essere interpretato co– me uno « modo nuovo di intendere l'eco– nomia •, va da sé che i politici possono davvero offrirci ben scarsi aiuti. Anzi, io dir~i. che in questo caso i politici (e Ja poltt1ca) non sono in grado di aiutarci affatto, giacché il discorso affonda le sue radici in un tessuto culturale in ordine al quale siamo scarsamente avvezzi a rife– rirci. Purtroppo la non dimestichezza con un certo tipo di discorso non cambia le co– se: al contrai:io, può addirittura peggio– rarle come dimostra il corsivo in calce alla mia lettera. Vorrei insomma riuscire a capire dove ~rii~f;~~ittl~ ~ic~i~~~~i~~m~i Ù~~ei:t Non è difficile riconoscere che in terna di •produttività• tutto può essere affa. stellato e sottoscritto. Ma proprio qui si impone, onestamente, un discorso sulla produttività che credo sia veramente uno di quei discorsi che non si possono im– pattare con la politica: la storia dei Pae– si del cosiddetto « blocco socialista• è in– fatti una lunga, eclatante testimonianza in questo senso. Socialismo e non-pro– duttività non si possono conciliare. Di– verso, molto diverso, è aggiungere però che il socialismo è produttività o che la produttività è socialismo. Mi è particolarmente caro richiamare qui alcune« avvertenze» di J. K. Galbraith recentemente fatte a Parigi in tema di • società industriale•, di consumi e di tecnostruttura. Discorso già avanzato a chiare lettere dallo stesso in alcune non dimenticate pagine del • Nuovo stato in– dustriale• che stranamente non sono mai riuscito a veder riprese e segnalate da quanti hanno recensito l'opera in que– stione. Galbraith non nega la produttività ma ci ricorda viceversa che dobbiamo perse- tW:~. cioè d1°! 0 nc~~i;i et i~~~~d~~~t~~~ nomia che se vogliamo veramente met– tere al servizio dell'uomo dovremmo pri– ma ben definire quest'uomo e come do– vrà esercitarsi veramente questo servizio. Purtroppo Glisenti non cita mai Gal– braith e gli amici del « Potere» dovrebbe– ro almeno tener conto di questa « omis– sione •· Citare Galbraith (si veda ancora il recente simposio di Davos) non è sicu– ramente una civetteria culturale ma qual– cosa di assolutamente diverso. Ora affermare che sostanzialmente la mia nota poteva essere conclusa come una difesa (sia pure non richiesta) delle tesi di Glisenti, mi sembra sinceramente ~~\~eta crg~o~~;zaarl~1\~a~:eo~~~;~iini ~: viceversa ho cercato di evidenziare nella stessa. Certo ho corso il rischio di vedermi a - segnata una « parte • che francamente mi i~rg~~ri~a e b~~~a 1 feS:.r~i ~~ili~;~ ~~~~ la pressione sindacale ignorando come dobbiamo viceversa ai sindacati quel po– co di aria nuova che dall'autunno caldo in poi ci è c~nsentito finalmente respirare. Ma, consentitemi amici del « Potere» è mai possibile una cosl sconcertante defor– mazione del mio scritto? E' mai possibile fingere che gli interrogativi che la mia nota pone non sono né pro né contro Gli– senti che seguito a considerare un felice pretesto per seguitare un discorso che vado conducendo da oltre vent'anni? Questo volevo dirvi, giacché mi sem– bra davvero arbitrario quel titoletto che mi colloca non tanto gomito a gomito con Glisenti, quanto contro gli interlocutori dello stesso, cioè i sindacati. Ora, per fi– nire, il punto non è di essere con questi piuttosto che con quelli, ma bensl di far decollare, ripeto, un discorso diverso, di mettere il dito nella piaga politica, di de– nunciare la drammatica insufficienza di alcune istituzioni come di alcune struttu– re, insomma di sollecitare veramente la nascita del •nuovo• piuttosto che pole– mizzare sul vecchio. Ora, credetemi, non è questa una fuga in avanti ma piuttosto un accorato richiamo a vedere dietro la facciata delle cose, a scavare più a fon– do, e non accontentarsi di ciò che si toc– ca e si vede ma di mettere invece le ma– ni sulle radici di un discorso che, lo si voglia o no, occorrerà fare se vogliamo uscire una volta per sempre dalla falsa dialettica che nonostante tutto ancora ci condiziona a nostro amaro dispetto. FRANCO MORANDI Roma Non voievamo, con un titoletto, eti– chettare Franco Morandi: preoccupati come siamo dell'instaurazione di un blocco d'ordine all'insegna della lotta per la produttività e contro la • disaf– fezione•, avevamo situato il suo di• scorso come egli stesso lo situava. Vo– levamo rendere chiara al lettore la po– sizione della lettera, non sloganizzare le idee del suo autore. « Scavando più a fondo » si trova l'acqua. Per questo accettiamo « l'accorato richiamo•·

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