Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 70 - estate 1991

bìto una cesura iniziale, per cui non si trova più collegata a un'istanza enunciativa che la fondi fuori di sé. Come appunto è stato osservato per Beckett, non si tratta di parola in libertà quanto di libertà di parola, vale a dire di una parola che ignora ogni tipo di costrizione o di legge (razionale, etica, estetica) e che non conosce nessun ambito di valori. Si potrebbe anche dire che l'enunciazione, da istanza fondante, o da presupposto implicito, si trova di colpo portata sulla scena della finzione sotto le specie della parola del monologo, per cui l'Io che parla e dialoga con se stesso non ha attorno a sé che un'immensa zona vuota: la zona dell'ascolto (e del silenzio) dell'Enunciatore, che normalmente dovrebbe garantire la verità o la falsità, il senso o il non senso di ogni parola pronunciata. Assenza di stile e, al limite, assenza di lingua (si pensi, appunto, al famoso italiano di Svevo, alla sua improbabilità), sono, sul piano della manifestazione di superficie, le marche vistose della soppressione dell'Enunciatore; mentre la contraddizione, l'equivoco e magari la menzogna - unitamente all'assenza, già segnalata, di considerazioni generalizzanti ascrivibili alla voce narrativa - ne sono le marche, parallele e simmetriche, sul piano semantico e assiologico. Qualche rapidissima citazione a puro titolo esemplificativo, dalla Coscienza (si cita dall'edizione dei Romanzi, a cura di P. Sarzana, Milano, I Meridiani Mondadori, 1985). Un esempio di «falso» (p. 754): Dapprima guadagnai, con una fortuna che mi dolse perché mi parve un indennizzo della mia sfortuna in amore [dunque: l'indennizzo della sfortuna in amore grazie alla fortuna al gioco è motivo di sofferenza in quanto conferma la sfortuna in amore]. Poi perdetti e mi dolse ancora perché mi parve di soggiacere al gioco com'ero soggiaciuto 141

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