Globo dipinto. Le formazioni psichiche e il marchio della "discesa dell'uomo" dettàmi-noi dei colori A. Zanzotto, Irrtum «Laocoonte di Lessing: sui limiti di pittura e poesia». Con queste parole Darwin appuntò nel 1838 il titolo del libro, da poco tradotto in inglese, che gli era stato consigliato di leggere. Perché i «limiti», e non i «rapporti»? e come: la «pittura»? I «limiti» è la parola forte di questa articolazione che, prima di ogni altra cosa, e a Darwin, non poteva sfuggire, è un reale intreccio di uomini e animali, un indistricabile, mortale garbuglio. Da questo punto di vista, di una scultura e di un gruppo, un «groppo», che non vengono nominati, animali e uomini, ma che il nome di Darwin rappresenta, credo che si debba intendere la nostra formulazione come: il Laocoonte sui limiti della poesia, e la pittura. Ovvero: che cosa ha da dire il «Laocoonte» sui limiti del linguaggio e cosa c'entra mai a questo proposito la pittura? Nel vecchio dibattito ripreso da Lessing nel Laocoonte intorno alla massima antica «ut pictura poesis», l'imprevedibile interessamento del grande naturalista porta la linfa di nuovi contenuti. Altra è perciò la tesi che oggi appunterei sul Laocoonte: l'animale è ciò che mancando avviene qualcosa nella sfera della pittura. Freud ci ha insegnato quale importanza abbia l'animale nella storia del soggetto. Intorno all'età dei quattro anni la tappa più importante in questa storia, che Freud ha segnalato nel caso del piccolo Hans, è quella che noi 9
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