specie della «resistenza religiosa» dei secoli XVI e XVII al primato della vista. A questa, in un esemplare tirocinio ascetico, si applicano i primi divieti e l'idea stessa della mortificazione: prima di tutto l'isolamento, la clausura, il buio, il velo. Si nutre, nei confronti delle immagini, la più deliberata delle diffidenze, perchè si pensa che siano «anteriori al linguaggio». In realtà, prima che lo sguardo liberi il proprio potere dal dominio dell'empiria mimetica, dell'omogeneità - di soggetto e oggetto, di cosa e nome-, per imporre le leggi della struttura, della successione, dell'articolazione, è l'immagine a sostenere e si può dire a illuminare tutti i sensi, poiché solo all'immagine si consegnano l'unità e la scansione dei corpi. Per questo l'asceta mortifica nella propria vista il principio stesso di ogni desiderio della carne. Un incentivo a tale mortificazione - è una congettura di Barthes - può venire dal «presentimento che la vista sia più vicina all'inconscio e a tutto quello che vi si agita»: l'asceta si trova confermato, per una prova sicura quanto enigmatica, in tutto quello che di male pensa delle immagini. L'analisi freudiana della manifestazione dell'inconscio nell'attività del sogno dimostrerà che questo «si serve anche di immagini uditive e, in misura minore, di impressioni degli altri sensi», ma pensa «prevalentemente», se non «esclusivamente», per «immagini visive»11 • Una volta però decifrato, il presentimento dell'asceta avrà perso ogni potere di prova. Per il mistico le immagini e le visioni rappresentano una via preparatoria e molto difettosa, tracciata nella «scorza dello spirito», alla vera esperienza del divino: la quale è «privazione di immagini», immersione nella «tenebra immensa» incontro al «nulla sublime». Sono gli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola a superare queste resistenze o ambigue condiscendenze e a istituire il primato della vista nella pratica della fede. «È un errore classico», osserva Bataille, «quello di assegnare gli 83
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