questa esplorazione. Forse si potrebbe generalizzare: lo spazio viene appercepito (ricostruito) con movimenti che si svolgono nel tempo. Non esiste appercezione istantanea. Anche con questa postilla però la differenza tra la comunicazione poetica e quella visiva resta netta non solo sulla base dell'elemento spazio, ma su quella dell'elemento tempo. Il tempo della appercezione poetica è un tempo lineare, in cui anteriorità e posteriorità sono predeterminate dal modo in cui il discorso è formulato. Viceversa l'uso del tempo, nella appercezione visiva, è affidato completamente al fruitore, che sceglie ogni volta i suoi percorsi. Sappiamo per esempio che, sul modello della scrittura, il testo visivo è spesso organizzato da sinistra a destra; il fruitore ne tiene conto, ma non scansa letture da destra a sinistra, dall'alto in basso, e soprattutto dal centro alla periferia. Queste osservazioni restano ancora alquanto esteriori. Se ci si volesse avventurare in quelle zone mentali ove le rappresentazioni vengono elaborate, si dovrebbe arrivare a definire quanto venga conservato, rispettivamente, della natura verbale e temporale del testo narrativo o di quella spaziale e visiva dell'immagine. Non è compito mio affrontare un tema così formidabile. Posso però accennare a uno dei procedimenti con i quali questo tema potrà forse in avvenire essere sviscerato. Il procedimento è quello della traducibilità dei linguaggi: nel nostro caso, del linguaggio visivo in linguaggio narrativo, o viceversa. Istintivamente, questa traducibilità è riconosciuta. Il pittore o lo scultore che mette in immagini una leggenda sacra, o una storia profana, approfittano di questa traducibilità. E ne approfittano i testimoni di un fatto di cronaca o i critici d'arte, che forniscono un rapporto verbale su ciò che hanno visto o su prodotti artistici che si accingono a discutere. Si opera su uno schema di questo genere: 64
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