molti interrogativi, ma anche di alcune certezze. È indubbio, per esempio, che l'attività motoria della mano e l'attività verbale sono inseparabili; che il rapporto tra di esse è organico, nel senso che l'emancipazione della mano e l'emancipazione della faccia fanno parte di un progetto unico. Se si ammette che l'avventura paleontologica che porta all'uomo è una successione ordinata di «liberazioni» (come vuole Leroi-Gourhan)4 -e cioè: liberazione del corpo dall'elemento liquido, della testa rispetto al suolo, della mano rispetto alla locomozione, del cervello rispetto alla maschera facciale- è inevitabile concepire che l'utensile per la mano e il linguaggio per la faccia s' ono i «due poli di uno stesso dispositivo». La stazione eretta libera la mano da compiti vincolati alla locomozione. Essa si rende disponibile dunque per adoperare l'utensile, che è diventato comunque indispensabile data l'assenza nella faccia di canini offensivi (faccia corta). La faccia corta, ultima manifestazione di profondi cambiamenti strutturali (modificazione della colonna e della sua meccanica, della sospensione cranica, della dentatura, della barriera frontale, etc.) è una condizione necessaria per l'apparizione del linguaggio. È ragionevole quindi la pretesa del nostro autore di considerare che la parola e la figurazione sono come un «cemento che lega gli elementi della cellula etnica». Solo le esigenze descrittive di una sintesi possono, involontariamente, introdurre nel discorso delle priorità o delle separazioni che sono senz'altro arbitrarie. Se si organizza una esplorazione dell'argomento che ci occupa, ossia i rapporti tra figurazione grafica e linguaggio, dal vertice osservativo e di riflessione proposto dalla paleontologia, saltano alla vista alcune indicazioni interessanti che possono, se non altro, infrangere certe idee preconcette o consuetudinarie. La prima indicazione, già menzionata, è alla base della costruzione generale: la mano libera (e quindi l'utensile, la tecnica, la figurazione 44
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