Il piccolo Hans - anno XV - n. 60 - inverno 1988-1989

La risonanza e lo scarto L'iscrizione latina che sovrasta la porta della Sala dei Venti a Mantova, sarà il nostro motto d'ingresso nell'universo della rappresentazione nel suo rapporto con la parola: «Distat enim quae sydera te excipiant». È noto che la bella Sala dei Venti, gioiello incastonato nel Palazzo Te, costruito e decorato da Giulio Romano, è una raffigurazione del tema dell'Olimpo inteso in senso astrologico. Il saggio che Ernst H. Gombrich1 dedica al ciclo pittorico rileva un'ambiguità nel significato della frase. In effetti, «Distat enim quae sydera te excipiant» può essere tradotta come: «Poiché non è ancora deciso quali stelle si possono impadronire di te», ma excipiant (cito Gombrich) «può significare 'prenderti', 'impadronirsi di te', oppure 'piacerti', un'ambiguità che non può essere involontaria». Il primo significato è capovolto se si accetta la seconda accezione. La mia tesi è che il tempo e lo spazio di questa ambiguità, di questo percorso possibile tra un significato e l'altro, è il tempo e lo spazio che l'arte ci concede, la nuova vita che essa contribuisce a creare. Le pitture del soffitto della Sala dei Venti articolano sapientemente, secondo un modello astrologico-esoterico frequente all'epoca, l'alternanza sincronica e le corrispondenze d'obbligo tra lo zodiaco, le dodici divinità olimpiche e i mesi dell'anno; mentre i mascheroni di stucco dorato con i sedici venti forse ci rammentano la sicura dissonanza tra la serenità delle sfere e l'agitazione dell'uomo. Ma la serenità delle stelle sta per il potere del 41

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