Il piccolo Hans - anno XV - n. 60 - inverno 1988-1989

NOTE 1 R. Barthes, Saggi critici, Torino, Einaudi 1976, p. 124, dove inoltre si legge: «Il linguaggio viene dunque ricondotto alla sua natura di strumento di comunicazione, di veicolo del pensiero. Anche se lo scrivente presta qualche attenzione alla scrittura, questa cura non è mai ontologica: non è preoccupazione. Lo scrivente non esercita alcun intervento tecnico essenziale sulla parola; dispone di una scrittura comune a tutti gli scriventi, sorta di Koiné in cui è certo possibile distinguere dei dialetti (per esempio marxista, cristiano, esistenzialista), ma molto raramente degli stili». 2 Cfr. Maria L. Guaita, La guerra finisce, la guerra continua, Firenze, La Nuova Italia 1954; Giovanna Zangrandi, / giorni veri 1943-1945, Torino, Einaudi 1963; L. Meneghello, I piccoli maestri, Milano, Feltrinelli 1964; I. Nahoum, Esperienze di un comandante partigiano, Milano, La· Pietra 1981. 3 Cfr. in questo senso i testi «partigiani» di Calvino e di Vittorini. Non rientra nel nostro discorso l'originale opera di Fenoglio, perché la profondità e complessità della presenza autobiografica nell'impianto letterario richiederebbe una trattazione specifica. 4 Per la memorialistica i titoli alla n. 2 ci sembrano tra i più interessanti; dei diari segnaliamo: G. Artom, Diari: gennaio 1940-febbraio 1944, Centro di documentazione ebraica-contemporanea, Milano 1966; D.L. Bianco, Guerra partigiana, Torino, Einaudi 1954; J. Lombardini, in S. Mastrogiovanni (a cura di), Un protestante nella Resistenza, Firenze, La Nuova Italia. Ricognizioni critiche su diari, memorie e racconti partigiani, sono davvero in numero esiguo: cfr. G. Falaschi, La Resistenza armata nella narrativa italiana, Torino, Einaudi 1976; Maria Corti, Il viaggio testuale, Torino, Einaudi 1978. 5 I Nahoum, Esperienze... , cit., pp. 89-90. 6 G. Monaco, Pietà l'è morta, Milano-Roma, ed. l'Avanti 1955, p. 159. 7 L. Meneghello, I piccoli maestri, cit., p. 164. 8 R. Battaglia, Un uomo un partigiano, Torino, Einaudi 1965, p. 19. 9 «La diminuzione dell'angoscia di morte, dominante in situazioni normali, sarebbe dovuta nei periodi di guerra, alla trasformazione di essa in odio omicida contro il nemico», G. Zilboorg, «Fear of Death» in Psychoanalitic Quarterly, 12, 1943, cit. da W. Fuchs, Le immagini della morte nella società moderna, Torino, Einaudi 1973. 10 A. Franzone, Vento del Tobbio, Genova, Sambolino 1962, p. 25. Il capitolo I e II parte terza hanno come epigrafe versi dell'inno di Mameli. 11 F. Fortini, Sere in Valdossola, Milano, Mondadori 1963, p. 34. 12 F. Giovannini, La morte rossa. I marxisti e la morte, Bari, Dedalo 1984, p. 49. 13 Le canzoni da una parte e dall'altra sono rivelatrici del diverso atteggiamento di fronte ad essa: «I fascisti cantavano forse più dei partigiani, perché i fascisti tendevano a spettacolarizzare la loro ideologia (anche la loro ideologia della morte), mentre i partigiani erano costretti a nascondersi, a dissimularsi. Ma anche attraverso la forma comunicativa della canzone passa l'opposizione tra una cultura di mera esal210

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