Il piccolo Hans - anno XV - n. 60 - inverno 1988-1989

Naturalmente i memorialisti scelgono cosa raccontare e cosa tacere, ma raramente affrontano la morte del nemico a freddo e quando lo fanno si sentono in dovere di fornire narrativamente un discorso retorico giustificativo; questo è ancor più. vero quando ad essere ucciso è il partigiano che ha tradito o ha infranto il codice non scritto del comportamento etico-civile che vigeva nelle bande. I dubbi laceranti che certe esecuzioni sommarie hanno comportato anche a distanza di molti anni, i rimorsi morali, le colpe obbiettive che certamente non furono rare, diventano nel testo difficoltà espressive, disagi linguistici, confusioni e incongruenze narrative. Sfuggendo alla reticenza del rimorso come all'esaltazione ad oltranza della morte del nemico, qualche autore ci restituisce una dimensione più autentica pur in mezzo alle costrizioni imposte dalla guerra: Uccidere è uccidere il ragazzotto tedesco, sullo Altipiano; aveva d�tto di aver disertato per unirsi a noi, è stato con noi qualche tempo, poi ha tentato di scappare, è stato preso, dopo un po' ha confessato, è una spia. Gli abbiamo legato le mani con lo spago in questa piccola dolina di roccia. Abbiamo scacciato il Finco che si disponeva a rosicchiargli un orecchio, senza nessuna autorizzazione. Si domanda a questo biondino se vuole lasciare detto qualcosa, per qualcuno a casa sua in Germania, se saremo ancora al mondo alla fine della guerra. Esita, poi dice di no. Gli si domanda chi vuole che resti con lui, e lui sceglie. Gli altri vanno via. Si sentono ronzare le api. Qui la stagione è tarda per loro. Si è in piedi, quasi ci si tocca. In una specie di scossa perdi quella radice che chiami te stesso, pare di morire insieme45. Alessandro Frigeri 209

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