Il piccolo Hans - anno XV - n. 60 - inverno 1988-1989

un ragazzo. Era la prima volta che vedevo ridere Vian. Lo intesi l'uomo più felice del mondo, nel buio di quella notte fredda e stellata33 • Concludiamo ritornando alle righe introduttive, dove si accennava al rapporto tra memorialistica e narrativa partigiana: in particolare ci interessa precisare le differenze di rappresentazione della morte nei due generi. Nella narrativa, nel racconto soprattutto (anche nel cinema neorealista che ha trattato vicende partigiane), la morte è motivo dominante perché va raggiunta nel minore spazio di tempo possibile la massima tensione e drammaticità, da qui la morte come acme e conclusione obbligata a cui tende la narrazione. Come è stato osservato è la morte dei partigiani quella più frequente, questo per un'intenzione suasoria abbastanza evidente anche se non condivisibile (si può parlare quasi di «vittimismo»): «Evidentemente gli scrittori come Venturi (ma la morte dei partigiani è frequentissima nei racconti di altri autori) puntavano ad una forma di persuasione che attirasse il pubblico ad amare i partigiani, commovendosi ai loro casi e mutasse la sconfitta in una vittoria», e la sconfitta fisica in una vittoria morale34 . Nella narrativa partigiana insomma, la morte è motivo centrale dell'intreccio, ha una valenza fortemente simbolica ed è rappresentata più «retoricamente» di quanto non avvenga nelle memorie. Se la narrativa tende a teatralizzare la morte violenta dei partigiani (secondo un principio di captatio benevolentiae del lettore cui abbiamo sopra accennato), e quindi ad edificare su questa una retorica dell'eroismo, nella migliore memorialistica la parola che descrive l'eventomorte sembra rispondere invece all'esigenza di esorcizzare l'orrore e di stemperare il dolore reale che ne deriva: 206 I corpi di Fulmine, Donez e di Vespa oscillavano sulle barelle fatte di rami, e con le prime foglie di ciliegi35 .

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==