Nella vita del gruppo le conseguenze di questi eventi dolorosi vengono, per così dire, attenuate e trasformate in energia positiva dalla necessità di continuare a resistere, a sopravvivere per lottare, per non tradire le speranze dei caduti («perché questo tuo sogno diventi realtà»30 ). Scrive N. Dunchi: «Per fortuna il pensiero di un attacco, di come sistemare la difesa, dove ritirarsi in caso di bisogno richiamarono quel giorno tutta la nostra attenzione oscurando il dolore e lo sconforto che ci avevano preso»31 , e Revelli: «28 Aprile 1945. Finché sparo, finché sono preso dalla lotta riesco a dimenticare»32• La morte di massa nelle due guerre fa tabula rasa dell'individuo, della sua storia personale e della sua stessa morte, smarrita nelle cifre dei caduti. In quei conflitti il terrore dei bombardamenti delle artiglierie, degli aerei (nella II), le irrorazioni dei gas (nella I) provocarono incancellabili traumi della psiche rivissuti involontariamente come incubi anche molti anni dopo; la memoria quindi, più che una capacità di portare in superficie e rendere nitidi eventi e immagini sepolte dal tempo, si configura come strato della coscienza profondamente inciso di ferite che sono i traumi del ricordo. Nella Resistenza, in alcune azioni di guerriglia constatiamo invece un certo gusto per il combattere e per l'intelligenza tattica dovuto alla considerazione in cui era tenuta l'iniziativa personale; l'uso degli esplosivi per azioni di sabotaggio diventa per esempio, nel rischio, divertimento infantile, gioia autentica per la riuscita del compito. Il carrarino Dunchi è tra questi: Vian non amava sentir parlare scorretto, ma me mi sopportava, così cominciai a tirar giù la filastrocca... Arrivai per primo e guardando in alto vidi che non si alzavano più le arcate agili nel cielo stellato. Tornai indietro gridando: «Il ponte è a porta inferi!» Ci incontrammo io e Vian nella strada buia e ci abbracciammo. Vian rideva come 205
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