brucia il rammarico che essa possa giungere prima di aver visto realizzati gli scopi della lotta: Con gli occhi socchiusi guardai ancora il sole e il cielo azzurro verso il Monviso, chiedendomi se li avrei rivisti anche l'indomani e tra un mese, tra un anno e a guerra finita. Una trentina di compagni mancavano all'appello. Domani poteva toccare a me26 • Intanto la guerra si prolunga; prima di settembre [1944] non c'è da sperare che finisca e a settembre forse saremo morti. Si dice che è bello morire per una grande causa, ma ieri pensando a Sergio Diena mi pareva amarissimo vedere la vittoria sicura, ma sentire di non poterla afferrare e godere perché la morte ci strappa via e ci porta lontano21_ Sembra un paradosso, ma se il singolo partigiano di fronte alla propria morte può essere confortato dal pensiero che gli altri continueranno per lui l'opera, è chi sopravvive che sente la scomparsa del compagno come una ferita propria, come la morte di una parte di sé: 204 Succedeva allora dentro di me uno sconforto amaro. Erano i primi che uscivano dalla valle per non più ritornare. Sì, combattevamo è vero, per il bene di tutti, di quegli stessi che ci uccidevano; ma il mondo intorno era così buio, così disperato, che anche la perdita di un solo compagno ci appariva irreparabile: una luce che si spegneva in un mondo sommerso dalle tenebre28 . No quei mesi non erano riempiti dalla mia salvezza, dalle mie lacrime, dalla vittoria, dalla libertà, erano riempiti dalla loro morte. La differenza fra allora e adesso era questa, che allora Noi c'erava-. mo e ora Noi non c'eravamo più29 .
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