Il piccolo Hans - anno XV - n. 60 - inverno 1988-1989

Anche N. Revelli scrive 17 agosto 1944. [...] Superano i tedeschi questi goffi italiani, canaglie specializzate per incendiare, ricattare, impiccare, sporchi nell'animo e nelle divise, con quel nero sui grigio-verde, come se portassero indosso il lutto e il terrore15. Nella Resistenza, come in ogni guerra di Liberazione, è strettissimo il legame tra i morti e quelli che restano. I caduti, gli uccisi dal nemico in battaglia, sotto tortura o fucilati, sono nelle memorie «i nostri morti» a testimoniare un vincolo affettivo che si fortifica con la scomparsa. Revelli è un caso limite: tornato vivo dalla tragedia della ritirata di Russia mentre i suoi amici migliori cadevano nelle steppe gelate del Don, è ossessionato dal loro ricordo e non riesce ad alleviarne il dolore, anche perché si insinua il senso di colpa dei sopravvissuti verso coloro che non sono più tornati16 • La Russia diventa per lui l'archetipo di ogni esperienza successiva, un codice di immagini primarie a cui misurerà ogni futuro evento. Anche il nome della prima organizzazione armata che si costituisce dopo 1'8 settembre, prima di entrare in «Giustizia e Libertà» ne è un sintomo rivelatore: "5 ottobre 1943. Abbiamo battezzato la nostra formazione I Compagnia Rivendicazione Caduti. Vogliamo vendicare i caduti di Russia"17. Sceglie come nome di battaglia quello di un tenente degli alpini suo amico, morto nella ritirata; i suoi primi mesi di Resistenza sono, nel suo diario, un incubo popolato di fantasmi, un vivere per i morti ed esclusivamente per loro, per il loro riscatto. Poi a poco a poco riesce a dimenticare e in Ùn certo senso rinasce: «21 Febbraio 1944... Il mio nome di banda della pianura - Grandi - è scomparso. Qui a Paralup mi chiamano tutti con il mio nome vero! 18» 201

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==