Il piccolo Hans - anno XV - n. 60 - inverno 1988-1989

ra che si riscontra la presenza diffusa di enunciati di contenuto simile. Ma questa retorica del di. scorso sulla morte non va vista solo in senso negativo; bisogna pensare innanzi tutto alla cultura di chi scrive, generalmente scolastica, alle letture compiute sui banchi della scuola fascista e inoltre alla non disponibilità di altri modelli descrittivi (chi scrive solamente dieci anni dopo il 1945 tiene conto già di altre scritture, non ultime quelle della narrativa partigiana, Calvino e Vittorini per esempio). Ciò che oggi appare come enfasi e ridondanza, allora non era altro per molti che la misura della realtà o meglio l'unico linguaggio che fosse in qualche modo rapportabile alla drammaticità di quegli eventi: La retorica della morte diventa quasi inevitabile come di fronte a tutte le prove che richiedono di mettere in conto il sacrificio della vita. Eppure nella lotta di Liberazione italiana nonostante i facili eccessi eroici, le prevedibili esaltazioni del sacrificio supremo, una dolorosa laicità informa sotterraneamente la realtà della guerra civile antifascista e della Resistenza italiana12 . L'apologia della morte poi era esclusivo patrimonio del nemico, dei fascisti, e anche per questo è molto rara nella memorialistica, consapevole della atrocità della morte violenta 1 3. Esiste certo una identificazione fascismo-morte e nelle memorie un'ombra luttuosa sovrasta gli ultimi fascisti della Repubblica di Salò; così scrive I. Nahoum: 200 «Era un gruppo di militi con la fettuccia rossa sul polsino, con la camicia nera, la morte sul berretto e sulla giacca nera, facce nere, armi nere. Cantavano con voci roche che ricordavano bettole fumose, camminando in fila indiana al lato della strada, con gli occhi fissi alle finestre per paura che qualcuno sparasse»14 •

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