Il piccolo Hans - anno XV - n. 60 - inverno 1988-1989

morte era una possibilità quotidiana, un pensiero ricorrente che abitava la mente dei combattenti. Nelle prime due citazioni, l'immaginazione giunge addirittura a raffigurarsi crudamente la tortura stessa («Pensai per un momento a cosa poteva accadermi e quel pensiero fu così intenso che mi sembrò di viverlo.» «Mi vedo strappare le unghie, il volto sfigurato, tutto il corpo dilaniato...»). Certamente fare i conti con l'eventualità di essere uccisi ha una valenza apotropaica e inconsciamente mira ad esorcizzare la morte stessa o almeno la sua paura. Ma l'angoscia non è rivolta al momento della morte in sé, come evento inspiegabile e annichilente, ma alla tortura e al dolore fisico che si teme di non sopportare, che spingerebbe a parlare, a tradire i compagni9 • Nelle parole di Battaglia ritroviamo invece il fascino della morte violenta, dell'estremo sacrificio come espiazione di colpe collettive e allo stesso tempo riscatto individuale che illumina retrospettivamente l'esistenza e la muta in destino. A tutto ciò non è estranea una certa immagine letteraria della morte violenta. Anche nella guerra di Resistenza c'è una retorica della morte per l'ideale ed il modello rivisitato è quello del Risorgimento, dei patrioti italiani dell'Ottocento: un patrimonio di immagini, luoghi e figure «martirologiche» che costituisce in realtà l'unico precedente nella storia italiana recente che presenti aspetti in qualche caso paragonabili. Esempi come i seguenti non si spiegano senza aver presente questa eredità espressiva: «Pur nel loro indimenticabile dolore essi [i parenti dei partigiani uccisi] provano la grande fierezza di aver dato alla patria eroi purissimi e martiri gloriosi» 10 . «Le parole per le quali si chiedeva la musica erano lì [un concorso per una canzone partigiana] stampate: Segno ambito ferita vermiglia, diceva uno di quei decasillabi. Io me li lessi tutti e m'entrò addosso un gran malumore» 11 • È soprattutto nei testi del primo periodo del dopoguer199

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