Il piccolo Hans - anno XV - n. 60 - inverno 1988-1989

tempi di elaborazione, la volontà di fissare l'accaduto nel timore di non poterne più recuperare in seguito l'autentica voce. La narrativa e la memorialistica partigiana furono senza dubbio scritture antagoniste, alternative per intenzioni e risultati, con statuti propri, e tranne rare eccezioni chi scrisse restò sempre fedele ad un solo genere. A parte il comune contesto extra-letterario da cui presero l'avvio, potremmo dire che la narrativa abbia svolto e una funzione difensiva-apologetica della Resistenza in generale e del partigianato in particolare, abbia cioè agito come strumento di lotta e propaganda politica a breve termine, e una funzione propriamente letteraria, dal momento che chi scriveva, oltre a costruire l'intreccio partigiano, compiva di pari passo una ricerca se non una sperimentazione stilistica ed espressiva. Anche nei testi di memorie sono presenti intenzioni agiografiche e celebrative della Resistenza, ma destinatario del testo (come confermano le prefazioni) è un futuro a venire, non immediatamente politico, dove ciò che è accaduto potrebbe tornare a ripetersi: così l'ingenua e allo stesso tempo ambiziosa missione che il memorialista affida alla sua storia _è dotare le giovani generazioni di un modello etico-civile che funzioni da antidoto e quasi da archetipo collettivo di resistenza, una volta che si ripresentino condizioni simili a quelle da lui vissute. Il memorialista partigiano, stimolato e quasi costretto a scrivere dall'urgenza e dal peso dell'esperienza vissuta e non da una inclinazione al lavoro letterar. io non si considera uno scrittore, è semmai uno scrivente nel senso espresso da R. Barthes quando scrive che essi (gli scriventi) «si pongono un fine (testimoniare, spiegare, insegnare) di cui la parola non è che il mezzo; per essi la parola sostiene un fare, non lo costituisce»1 . Mai come ora forse, nella recente storia d'Italia, l'esercizio del linguaggio fu così strettamente legato al sangue 196

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