Il piccolo Hans - anno XV - n. 60 - inverno 1988-1989

sin d'allora, non aveva potuto evitare di immergersi nel suo mondo visionario privilegiando, come aveva fatto l'Alighieri, un particolare senso dell'esperienza umana. In un altro saggio intitolato «Ciò che Dante significa per me» (1950) troviamo una seconda osservazione illuminante: «Dante - scrive Eliot - ha esercitato la più persistente e profonda influenza sulla mia poesia»2 . Una dichiarazione, questa, che si ricollega anche a quanto scrisse in una lettera del 1930 ad Elmer More; argomentando sui contenuti del suo saggio su Dante del 1929, il poeta anglosassone confessò che si trattava di «un semplice resoconto della sua esperienza» e aggiunse: «L'unico contributo originale riguarda forse alcune considerazioni sulla VitaNuova, che a mio giudizio è un'opera di capitale importanza per una disciplina delle emozioni»3 • Dunque lo stesso Eliot riteneva che la terza (ed ultima) parte di quel saggio (la prima concerne l'Inferno, la seconda Purgatorio e Paradiso) fosse la più interessante e che fosse proprio la VitaNuova ad incarnare la sua personale concezione dell'esperienza. Il che è giustissimo e depone a favore della sua bontà, oltre che come poeta, come critico di se stesso. In effetti egli non ha lesinato mai apprezzamenti .diretti a tutta l'opera dantesca, ma quando si è accostato alla Divina Commedia ha sempre lasciato trasparire un certo senso di inadeguatezza (meno percepito, forse, dalla critica inglese non particolarmente adusa alla cultura medievale italiana), come se il poeta fosse costretto a «forzare» la sua visione personale entro quella dantesca per virtù d'una fascinazione immaginifica non necessariamente collocabile entro la struttura allegorica del poema italiano. Ma appena ci immergiamo nella terza parte del saggio, quella sulla VitaNuova per l'appunto, le cose cambiano e ci rendiamo conto di quanto l'esperienza dantesca possa giustificare quella eliotiana, che, in ultima analisi, si presenta come «esperienza d'amore carnale e spirituale» in una sorta di intermittenza. 180

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