tina su cui la luce si distribuisce. Ora la nostra macchietta bianca sulla carta nera sembrerebbe essere la simulazione più adeguata dello stimolo distale: osservandola noi dovremmo percepire le condizioni soggettive identiche o simili a quelle che ci derivano dalla osservazione della stella diretta. Ma la condizione energetica di una macchietta di inchiostro bianco sul foglio nero è così infinitamente inferiore a quella di una stella anche debolissima e lontana che noi non proviamo le stesse sensazioni: non vediamo aloni di buio, né soprattutto vediamo raggi. La soluzione complementare di annerire uniformemente un foglio bianco lasciandovi una piccolissima area bianca non può fornire risultati migliori: abbiamo fallito. Dobbiamo quindi ammettere che il tentativo di rappresentare una stella in questo modo non ne fornisce per nulla l'idea in chi la osserva. Infatti non si è trattato di «rappresentazione» ma semplicemente di una sorta di «copia» a basso livello di somiglianza. Inoltre la osservazione della nostra piccolissima area bianca circondata dal buio non ha potuto produrre neppure quegli effetti percettivi importanti, raggi e alone, che vanno tutti assieme sotto il nome di «stella». Occorre quindi abbandonare l'idea di una immagine identica o molto simile a quella originale e tentare la produzione di una forma che non ricorda direttamente quella che originariamente ci stimolò, ma che, una volta osservata, non possa non ricevere lo stesso nome e far dire: «Questa è una stella». Stiamo infatti passando al livello della vera e propria rappresentazione. E possiamo adesso analizzare meglio le «componenti» della percezione da cui abbiamo preso la prima ispirazione. La componente più clamorosa sono naturalmente i raggi. Adesso siamo in grado di sapere che si tratta di un effetto che ha la causa primaria in un difetto delle nostre strutture diottriche. Ma in assenza di questa informazione? I raggi dovevano 176
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