«Vedo un prato quadrangolare, leggermente in pendenza, coperto di erba verde e folta; tra il verde molti fiori gialli, di certo i comuni denti di leone. Sulla parte più alta del prato, una casa di contadini; sulla porta due donne, una contadina col fazzoletto in testa e una bambinaia, che parlano tra loro. Sul prato giocano tre bambini, uno dei quali sono io (di due-tre anni); gli altri due sono mio cugino, che è di un anno maggiore di me, e mia cugina, sua sorella, che è quasi mia coetanea. Cogliamo i fiori gialli e ognuno di noi ha in mano un bel po' di fiori. Il mazzo più bello lo ha la bambina, ma noi maschietti, come se ci fossimo messi d'accordo, le saltiamo addosso e le strappiamo i fiori di mano. Lei scappa piangendo su per il prato, e, per consolarla, la contadina le dà un grosso pezzo di pane nero. Appena noi ce ne accorgiamo, gettiamo via i fiori, corriamo anche noi verso la casa e chiediamo noi pure del pane. Lo riceviamo anche noi; la contadina taglia la pagnotta con un lungo coltello. Nel mio ricordo quel pane ha un sapore veramente squisito e la scena finisce così26. Il presunto narratore si interroga: «Che cosa, in questo episodio, mi ha indotto a un tale spreco di memoria?». E, tra l'altro, si chiede: «È stato il giallo del dente del leone, che, naturalmente, oggi non trovo affatto bello, a piacermi allora tanto?». E ancora: «Ho perfino l'impressione che, in questa scena, qualcosa non vada; il giallo dei fiori spicca troppo sull'insieme», come in una caricatura, aggiunge27. Nell'analisi del ricordo e della genesi del suo affiorare si presenta un'altra circostanza. A 17 anni il presunto narratore prende «una cotta» per una ragazza: «ho continuato a turbarmi ogni qual volta rivedevo, non importa · dove, il giallo del vestito che essa indossava la prima volta che ci incontrammo», malgrado la ragazza di allora gli sia diventata del tutto indifferente28 • 163
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==