testamento doveva essere immediatamente invalidato. a favore dei nipoti legittimi. Non commenteremo la lettera formidabile che Leonardo scrive al Capo dei Fratelli (se ne sono conservati gli appunti stipati fittamente nell'angolo superiore di un foglio, nello spazio lasciato libero da scritti e disegni sul volo degli uccelli che occupano il resto del medesimo foglio), dove il linguaggio, travolti tutti i legami sintattici e grammaticali, si sgretola in un'accozzaglia di frammenti sbreccati - e dove a un certo punto a rivolgersi a Leonardo è l'Altro in persona11 • Ci limitiamo solo a osservare che la chiusa della lettera non si comprende nella sua giusta forza se non in questa forma: «adunque, cari fratelli, non solo non volete rendermi quel che un giorno pure sarà vostro, ma volete anche che io paghi per quello di cui non verrò in possesso; oltre al fatto di essere escluso dall'eredità dovrei anche pagare dazio per siffatta esclusione». Vediamo dunque Leonardo precipitarsi a Firenze per seguire da presso la sua causa dandosi da fare per assicurarsi potenti appoggi: una lettera del re Luigi XII che lo raccomandava alla Signoria fiorentina; una lettera del D'Amboise, conte di Chaumont, che sollecita perché «essa causa sia espedita prestandogli ogni aiuto e favore giusto» affinché il maestro possa tornare rapidamente a Milano a finire una tavola per Sua Maestà. Giunto a Firenze Leonardo si assicura altra protezione in alto loco e al cardinale Ippolito d'Este chiede che lo raccomandi a Raffaele Girolami, priore della città, al quale «dall'Eccellenzia del Gonfaloniere è stata rimessa la trattazione della causa». Risultato: la causa, l'estrema domanda per essere legittimato, riconosciuto, si infogna nella fitta rete dei burocrati e dei magistrati addetti alle cause ç:ivili, per nulla convinti di cedere su qualcosa che si attribuiscono come un privilegio clientelare del loro Ordine. Così le insigni teste coronate e di potenti vari di cui Leonardo si piccava capitolano miseramente una dopo l'altra mentre, dopo 107
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