padre Antonio ser Piero aveva ceduto al fratello Francesco il godimento esclusivo della casa avita e dell'annesso orticello in Vinci, dove sembra che egli passasse le sue giornate coltivando e zàppando. Lo zio Francesco era amato da Leonardo e quando, dopo la morte di ser Piero, avendo bisogno di denari egli li chiese ai parenti, al rifiuto di questi fu Leonardo à imprestarglieli. Per evitare l'infido prestito i nipoti - con alla testa quel ser Giuliano, designato da Leonardo in una · lettera come il «Capo dei Fratelli», che aveva ricevuto di fresco l'investitura notarile della casata - furono concordi nel favorire e approvare un testamento dello zio Francesco che assicurava a Leonardo, in cambio della somma prestata, buona parte dei suoi beni poderali in Vinci sotto forma di fidecommesso, cioè con la clausola che alla morte dell'erede (Leonardo) sarebbero passati agli altri nipoti. In altri termini Leonardo col suo prestito aveva «ipotecato» il godimento della casa avita e uno spfraglio gli si apriva per venire in possesso di quella parte di eredità da cui era stato malamente escluso ed essere finalmep.te «legittimato» (cosa che gli premeva di più in quanto le condizioni della casa, ormai fatiscente, erano alle soglie dell'inabitabilità). Si aggiunga inoltre che lo sprovveduto Leonardo non pensò ·neppure un istante di assicurare il suo .credito in maniera vincolante. È così che dopo la morte di Francesco, nel 1507, scatta ancora la preclusione paterna. Di nuovo, il Notaio, nella figura del Capo dei Fratelli ser Giuliano, pronuncia il veto della stirpe intentando pubblica causa all'esule e illegittimo Leonardo. Per impugnare il testamento dello zio Francesco il Notaio accusa Leonardo di non essere in grado di curare i beni ereditati in quanto la sua lontananza da Vinci e la sua negligenza li avrebbero immancabilmente danneggiati, nuocendo di conseguenza agli eredi nel passaggio di proprietà mediante fidecommesso. Non era dunque ammissibile che Leonardo di tali bSeni potesse usufruire: il 106
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