abbiamo teorizzato come «luogo della fobia», un tempo, uno spazio che non è semplicemente caratterizzato dall'apparire di una fobia, per esempio quella per i cavalli nel piccolo Hans, ma che della fobia ci dà una struttura che, dalle analisi, emerge in modo così caratteristico: un luogo fatto di due parti adiacenti, due locali, due spazi divisi da un muro, o da una vetrata, o da una parete scorrevole, un di qua nel quale il soggetto si pone come osservatore e un al di là che si immagina di raggiungere: un al di là con determinate caratteristiche che ricalcano appunto quelle segnalate da Freud per il recinto del Dazio di fronte alla casa del piccolo Hans: un luogo che ha a che fare con la Legge, ma insieme con la sua trasgressione, come nel caso di Telma di cui ha parlato Virginia Finzi Ghisi in cui la camera di bambina dell'analizzante confinava con lo studio dello zio «giusto», così chiamato per la sua probità, che aveva lavorato a lungo per lo Stato ma che ora esercitava la professione privata di consulente fiscale ed era perciò insieme il difensore dello Stato e il suggeritore di piccoli sistemi per non pagare, appunto, il Dazio1 . La toponomastica di questo luogo ci ha ricordato la formazione dell'apparato psichico, le sue adiacenze, le divisioni che nel «luogo della fobia» vengono rappresentate da quella che abbiamo chi. amato una «barriera molle», elastica, tentabile, o trasparente, come una vetrata. In più esso è abitato dall'animale, i cavalli, una giraffa, dei lupi, un cane. Il luogo della fobia rintracciabile nelle analisi intorno appunto all'età dei quattro anni, riporta in primo piano un rapporto uomo-animale, che le formazioni di difesa che si sono strutturate per n soggetto a partire da quel luogo, avevano coperto, occultato. Il caso di cui ho parlato recentemente nella giornata di studio a Firenze è quello della paziente di un giovane psicoanalista che vedo per controllare la sua pratica, si dice 10
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