estatica perfino di quella di Seneca frastornato sotto la grotta), e infine i frequenti contatti con Dio (asina di Balaam e numerose reliquie asinine) e l'identificazione col Cristo. Per concludere: l'osservazione fatta sopra, di un rapporto diretto fra il più-di-prosaicità, lo « scrivere male», e l'emergenza di figure e invenzioni non linguistiche determinate, potrebbe suggerire un'ipotesi per riconsiderare in termini diversi l'importante definizione logico-epistemologica della letteratura data da Klossowski (e Foucault) come bagno di Diana. La letteratura (almeno questa pessima) potrebbe non morire di lutto per-Atteone: l'asino non è un capro (o un cervo) ma un Dio, e bestemmiarlo è qualcosa che oltrepassa una questione di stile; dall'esperienza del sacerdozio dell'ultimo libro di Apuleio, alla Histoire vraie de Jésus-christ di Artaud. La polemica verso troppi obiettivi fin dall'inizio disorganizzava il racconto e ne confondeva i motivi - il bersaglio principale, il viceré Don Pedro di Toledo (ma anche il papa, altri scrittori ec.) è offeso come asino, ma dell'asino si tesse contemporaneamente l'elogio ecc. In fine la bestemmia, che è l'ultimo grado della polemica, con Dio. Il processo generativo che si innesca è un processo di scambio: l'autore confonde (cioè scambia) esuberanza per polemica; resta una figura, ma è viva, e comincia a brucare tutto l'orto del testo. Un bel po' dello « spirito del Rinascimento » può essere finito qui dentro, nella burocrazia del significato. Paolo Bollini 204
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