barocco -, poiché la scelta dei temi, le operazioni materiali del loro sminuzzamento e composizione, non dipendono certo da una passione trasgressiva, quanto piuttosto dall'indeterminatezza dei riferimenti, dall'incapacità costante di vedere i motivi o anche solo le occasioni per costruire delle dimostrazioni - una specie di apatia che evita di prendere sul serio le regole della retorica e dello stile e che finisce perciò per pagare questa « scelta» con una mancanza di ragioni, o meglio col fatto che nessuno prenderà sul serio le sue ragioni: dell'intento polemico (antigovernativo) e del testo. Non è asino che possa stare, sembra, né nel recinto della letteratura maggiore, né in quello di quella minore, e sarebbe forse una forzatura ricordare, come fa l'introduttore del reprint, l'immagine che Flaubert usò per l'opera di Apuleio, dove « si sente l'orina e l'incenso». Ciò che si sente qui è un generico « stare in odore di santità», ma senza agnitio e senza idillio. Ciò che caratterizza la lettura è, sì, un nodo inquietante dato dall'affacciarsi dell'asino a ogni girar di pagina e in ogni breve paragrafo, ma è anche contemporaneamente il ritmo estremamente noioso in cui l'argomentazione inconcludente costringe la nostra attesa dell'asino, tanto che si può dire che la difficoltà della lettura consista soprattutto in questo: annoiare a morte. Nemmeno la pazienza dei positivisti è stata sufficiente perché questo libro fosse riedito, se si eccettua un pezzetto curato da Torraca. Ma, si dirà, perché parlare tanto di un testo che si pensa non meriti nulla? Perché arzigogolare sulle presunte « verità di ragione» quando perfino al livello delle « verità di fatto» siamo piuttosto scarsi? Perché parlare del suo stile se, molto probabilmente, si tratta « solo» di un libro scritto male? Il motivo, forse, c'è: ed è il fatto che vi sia una corrispondenza fra il suo più-di-prosaicità e l'emergenza della figura dell'asino, così come 202
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