GIOVAN BATTISTA PINO Ragionamento sovra de l'asino (1551 circa) Roma, Salerno editrice, 1982 Si potrebbe dire che, assieme alla musica, la quale, in letteratura, non è solo un «tema», anche la presenza, nei testi, di animali, non è questione facilmente riconducibile a una loro «funzionalità» determinata dal cosiddetto sapere del testo. Fra animali e parole c'è irreversibilità. Non importa scomodare Hegel e la funzione della favola di animali nel simbolismo che presiede alla formazione del racconto; né Hermann e le sue ricerche su logica e totemismo: molti interventi critici, saggi, romanzi (ma anche campagne pubblicitarie, convegni), hanno fornito negli ultimi anni numerosi esempi del carattere straniante, provocatorio degli animali e della loro irriducibilità al mondo della cultura. È dubbio che qualche studioso voglia impegnarsi a verificare se ad es. non siano stati i cavalli, oltreché i protagonisti, anche i veri motori dei poemi cavallereschi; o dedicarsi a un'analisi delle differenze fra i cani che in Eliot dissotterrano i morti e i 600.014 che Panurge invia in Rabelais alla dama parigina; o la differenza fra i gatti di Baudelaire e quelli del Cheshire... Non sarebbe abbastanza serio, eppure è stato mostrato molto seriamente che la presenza degli animali nei testi non è solo una metafora letteraria, e che questo porta qualche problema al livello delle tecniche utilizzate dagli scrittori. Caso estremo: si potrebbe notare, se fosse lecito, che forse in nessun altra letteratura più che in quella italiana gli animali compaiono di frequente perfino nei nomi degli scrittori, in questo superando di gran lunga anche le piante. Infatti, se dalla parte delle piante non abbiamo che Meli, Carducci, Cardarelli, o il raro Cino, o Delfico, o, al massimo, Pratolini, Pascoli e Serra; fra gli animali contiamo, con l'ambivalente Tasso, Delfini, i Verri, Vol200
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