volta, emergere da un pre-testo, da un'intonazione sommersa, sa poi dinamizzarli, accostandoli alla pronuncia contraffatta, allo sberleffo acustico: come in quella sorta di psicodramma che è Diffidare gola, corpo, movimenti, teatro, percorso da suoni colanti (« E colare in calore e colore»), da metamorfosi anagrammatiche (« Nel dilemma dell'albero TREESTRIPS/ Nella voce (tra noi) che concerne TRAPS per uccelli [ ...] »), da riduzioni a un poliglottismo fantasioso e vitalissimo (« Loro (i trees) sono sì cauti nell'annunciarsi e tritritri trii/ e tanto più lenti di come li udii triii triii/ oh irradicolarità iniità». « Ho solo il mio tree trii millimetrare [...] »). Ed è ancora, come puntualizzava acutamente Agosti per La beltà, eversione biologica, regressione afasica tradotta in categoria operativa, polarità di amnesia e memoria linguistica. E dunque, di fronte a una poesia senza referenti, ma ricchissima di compresenze, non storicizzabile ma permeata di storia e preistoria, incapace di parola e attraversata dalle pronunce più diverse, non ha davvero più senso, fortunatamente, chiedersi se la salvezza è nel linguaggio, se la sopravvivenza ha qualcosa da spartire con la letteratura. Raggiunto il livello biologico di un esistere come sedimentazione materica ed energia dinamica, tra proiezioni del passato e memorie di futuri anteriori, ogni direzione si mantiene aperta per l'io camaleontico che cattura il segno ,riducendolo a geroglifico, o mima la spinta verso le origini divaricando i significati, erodendo le convenzioni. La chiave di lettura di Fosfeni, sostiene Zanzotto, con una sfida beffarda al lettore-critico, si trova fuori del libro, nel work in progress della trilogia. Non ci resta che attendere la prossima fase, acquattati fra luce e gravità, pensieri vegetali e inerzie purissime, cominciando, a nostra volta, la squadratura del foglio. Niva Lorenzini 193
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