pensiero smagliato, sradicato, impotente (« e vuoti di memoria, falle, cascatelle trattenute da un dito» -(Loghion)), sconfitto dalle presenze semplici che rappresentano la verità, la continuità nel tempo(« Tu meno esperto che quando l'uccello fa il nido/ ed è troppo ingegnere/ meno efficiente di quando/l'acqua fa la chioccia e/ sistema sabbie a manipoli»). Ma senza garanzia, senza certezza: questo esistere biologico, mineralizzato, è 'tensione verso ', 'desiderio di ', alternativamente conforto o elemento estraneo che si incarica di rivelare l'alterità, il conflitto. Oppure è una costante che risemantizza e denuncia la precarietà di un esistere come surrogato di vita (« D1mmi perché ogni nervo d'erbe verdissime su/ dal collassato campo di mura e pomerii/ percepisca quel che io non percepisco/ nello sfatato, nel collassato, nel simil-nato/in cui mi sono guadagnato e ripetuto», Collassare e pomerio). Luperini parlava giustamente di « spiraglio materialistico e leopardiano», di « materialità residuale della parola poetica» e accanto di « materialità residuale della vita», lontane, entrambe, dalla totalizzazione ideologica. Si potrebbe affermare, lungo questa direzione, che tale compatto sostrato materico esorcizza da ogni tentazione di rifugio o di abbandono metafisico: paradossalmente l'eternità, esibita in dosi massicce, quasi senza ritegno, e la terminologia che la correda (i silenzi indisseppellibili e immoti, l'infinito perfuso in oro/ e rarità, la diafanità, l'ubiquità...) sono private di ontologismo, sia per gli accostamenti che la normalizzano, facendo scattare la sproporzione che desacralizza(« Tu fureghina dài sgam- . betto verso il niente» - « e la dirittura così, per il nulla più strafottente») sia per l'aderenza a una nozione biologica, tellurica del segno linguistico. Basta aggirarsi tra le osterie di Fosfeni, itinerari di un paesaggio dell'anima quotidiano e insieme remoto, ancestrale, emblematico (« Impossibile accedere alla dolce 191
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