tra la durata cui aspira la parola allitterante, iterativa, fonicamente protratta ad eco, e i tagli che la percorrono creando disarmonia e dissimetria. La lotta, è stato detto in relazione ad altro contesto, tra io storico e io immobile, tra una segreta speranza di ricomposizione e l'emergenza della datità del reale, spastica, frantumata, smagliata. In Fosfeni, intanto, è proprio la datità dell'esperienza a complicarsi, a farsi meno riconoscibile, mentre si affievoliscono e confondono le coordinate della cronaca, e il quotidiano si trasferisce in scansione ctonia e cosmica sulla scia, mai abbandonata, di quel « surrealismo domestico» che Contini rinveniva sino nella più lontana produzione del poeta, la raccolta Dietro il paesaggio. Già allora la scrittura di Zanzotto, che i cultori di raggruppamenti classificatori apparentavano senza riserve all'ermetismo, lanciava segnali di insubordinazione o di leggibilità plurima. Ed erano la non suggestione fonica, la pronuncia irta e diseguale, la scarsa predisposizione ai trasporti emozionali, alle parentesi evocative, agli abbandoni arrendevoli e intimistici. Era soprattutto una sotterranea inquietudine del verso, attraversato da spinte centrifughe magari subito ricomposte, e tuttavia capaci di produrre tensione, di impedire al materiale fonico di depositarsi e acquetarsi, tra geometriche trafitture e scarti semantici (gli oggetti antropomorfizzati, la cosalità del pensiero: « [ ...] vi ho lasciate lassù perché salvaste/ dalle ustioni della luce/ il mio tetto incerto/ i comignoli disorientati/ le terrazze ove cammina impazzita la grandine»). Sino da quelle prove il linguaggio pareva insomma ricercare più che l'immediatezza dell'accostamento analogico la simultaneità stratificata: una sorta di vocabolario misto, di registro polifonico fatto di interferenze, tra il biologico e l'umano, il materico e lo psichico, che dava corpo e peso di sostanza al traslato metaforico, ar187
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