Il piccolo Hans - anno XI - n. 41 - gen./mar. 1984

universo delirante. Lo ricorda in questi termini: « lavoravo in fabbrica, il padrone era molto esigente, pretendeva sempre di più, sempre di più, io mi impegnavo, ero stanca ma, alla fine, non RISULTAVA né il mio lavoro né io come persona, allora mi portarono in manicomio ». Beatrice non « risulta » nella iscrizione simbolica perché, per quanto riguarda il registro del reale, in esso, niente manca. Pieni e vuoti acquistano significazione soltanto nell'ordine simbolico. Queste riflessioni conducono ad un'interrogazione che Lacan aveva già posto nella Tesi sulla paranoia, a proposito della relazione tra passaggio all'atto e delirio in riferimento a quell'effetto retroattivo che ha l'atto di Aimée nel far crollare, precipitare, la certezza delirante quando si confronta con un'immagine speculare: l'attrice che Aimée aggredisce. È possibile reperire in questo atto un rovesciamento nel quale, attraverso l'intermediario dello specchio dell'Altro in relazione con la propria immagine, Aimée trova un'inquadratura, una posizione dalla quale poter riportare i fiori nel vaso. Beatrice ricorda un episodio accaduto negli anni trascorsi nell'istituzione. Lo ricorda in una di quelle forme particolari e curiose che assume la memoria per lo psicotico. Un giorno qualsiasi, di quelli tutti uguali del manicomio, improvvisamente, mentre si avvia verso la mensa dell'ospedale, si butta giù da un alto parapetto spezzandosi ambedue le gambe. Spiegherà poi questo gesto inopinato dicendo che: « voleva vedere la mamma». Domanda agita nel reale del suo corpo, scorciatoia che scavalca la barriera del simbolico al di là della quale c'è l'incontro col vuoto. Vedere reperibile dalla parte del reale, incontro sempre mancato, impossibile, insensato come dimostra la esperienza di Ireneo Funes. Nel salto attraverso la finestra del melancolico è l'og167

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