chera, trasgredendo il grande desiderio del padre che nel figlio voleva realizzato il sogno, resogli impossibile da ragioni religiose, di una vita dedita alla scienza, scelse, con la forza di un imperativo, il campo dell'arte. Per oltre quarant'anni lo percorse in varie direzioni: ora col cavalletto del pittore, ora con la bussola del critico e teorico d'arte, ora con la cartella di appunti del conferenziere. Fu un grande organizzatore, un ideatore di iniziative stordenti per un pubblico ancora sopito nel1'atmosfera post-vittoriana. Così quando nel novembre del 1910 si aprì alle Grafton Galleries la prima mostra post-impressionista lo shock, l'indignazione, le risa, riecheggiarono per tutta Londra: Roger Fry aveva assemblato sulle pareti tele di Cézanne, Gauguin, Van Gogh, Picasso... Per quanto desiderasse essere prima di tutto un grande pittore e per certi versi considerasse la sua attività critica sotto la luce del fallimento pur galleggiante sulle acque del successo, nondimeno è soprattutto il Fry saggista critico a destare interesse, indipendentemente da una motivazione solamente storica. I cardini del suo pensiero, a partire dalla raccolta di saggi Vision & Design (scritti fra il 1900 e il 1920) fino alle Last Lectures pubblicate postume nel '39, sono piuttosto stabili e ricorrono in ogni scritto modellandosi sugli oggetti più diversi. Puntualizzando gli aspetti di maggiore interesse della conferenza qui tradotta, « The Artist and Psychoanalysis », pubblicata nel 1924 dalla Hogarth Press, è possibile rintracciarli e rievocarli. Anzitutto la distinzione fra un'arte orientata al soddisfacimento di desideri e un'arte intesa come contemplazione della forma. Questa dicotomia nasce da uno dei tasselli più importanti dell'apparato teorico di Fry: la contrapposizione tra visione biologico-istintiva e visione creativa (tipica dell'artista) che si replica in un più generale contrasto tra due opposte forme di vita. Nel primo caso si tratta 158
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