A questo punto devo cercare di rispondere a un'obiezione che gli psicoanalisti certamente solleveranno. Essi affermeranno che nella mia descrizione dell'arte popolare ho usato la parola desiderio nella comune accezione di un desiderio più o meno conscio, laddove Freud usa il termine desiderio per un desiderio che è stato rimosso dalla coscienza e rimane attivo nell'inconscio. Il vero desiderio freudiano è incapace di soddisfazione diretta. Eccone un caso tipico: una signora di mezza età si trova costretta, a una certa ora del giorno, a r�carsi in una stanza particolare dove sistema tutti gli oggetti in maniera particolare. Non è assolutamente in grado di spiegare i motivi del suo comportamento e nemmeno perché si senta costretta a compiere quest'atto insensato. Per via psicoanalitica si scopre che nella sua primissima giovinezza la donna era innamorata di suo padre e voleva uccidere la madre. Quel desiderio, però, venne rimosso dalla coscienza e riaffiorerà più tardi nel modo peculiare e tortuoso che abbiamo visto. Forse entrambi i genitori erano già morti al tempo della sua malattia e pertanto qualsiasi appagamento nel senso desiderato sarebbe stato impossibile, ma anche se vivi, ella ha cessato di amare il padre o di essere gelosa della madre. Se intendete l'uso della parola desiderio strettamente in tal senso, convengo sulla possibilità che le nature morte di Cézanne rappresentino una sublimazione di qualcuna di queste pulsioni rimosse. Noterete però che Freud stesso, quando parla dell'artista, trascura interamente la sua stessa definizione di desiderio. Il desiderio in questo caso è la ricerca inappagata di « onore, potenza, denaro e l'amore delle donne». Ma questi non sono desideri rimossi. Sono, o possono essere, chiaramente permessi dalla coscienza e capaci di appagamento diretto. Egli procede affermando che l'artista si rifugia nel mondo della fantasia soltanto a causa delle circo152
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